Corriere della sera

Olocausto, i «colletti bianchi» dalle mani insanguinate

Protocollo di Wansee: lo storico inglese Mark Roseman ricostruisce i retroscena di un genocidio freddamente programmato. Così le mezze figure del regime, più feroci di Hitler, concepirono lo sterminio degli ebrei

di Dino Messina

Il 20 gennaio 1942 a Berlino era una mattinata nevosa: in una delle ville più eleganti nel sobborgo di Wannsee arrivarono quindici alti gerarchi del Terzo Reich. Rappresentanti dei ministeri e degli organismi più importanti, erano quasi tutti sotto la quarantina, ma nessuno, tranne l'ospite che aveva di­ramato gli inviti, Reinhard Heydrich, braccio destro di Himmler e responsabile del Servizio di sicurezza, poteva considerarsi una stella di prima grandezza del regime nazista. Al più basso in grado, Rudolph Eichmann, che avrebbe ispirato ad Hannah Arendt, durante il processo di Gerusalemme, l'immagine della «banalità del male», fu dato il compito di prendere appunti. Quelle minute precise, che riassumevano la conversazione, furono catalogate come «documento segretissimo» e fatte circolare in sole trenta copie ai massimi livelli. Perché tanta segretezza attorno a una riunione di mezze figure? La risposta a questa domanda apparve subito chiara nel 1947 a Robert Kemper, che stava cercando capi d'accusa per il processo di Norimberga. Kemper mostrò subito «il documento forse più ignominioso della storia moderna» al generale Telford Taylor, che esclamò: «Ė mai possibile una cosa simile?». I due giudici Alleati erano stati i primi a leggere il «Protocollo del Wannsee», da allora considerato come l'atto ufficiale che sanciva la soluzione finale degli ebrei. Ora uno studioso britannico, Mark Roseman, professore all'Università di Southampton, ricostruisce i precedenti e le terribili conseguenze di quell'incontro alla luce delle ricerche storiografiche più recenti. Il volume, Il protocollo del Wannsee e la «soluzione finale», appena uscito dal Corbaccio nella collana storica diretta da Sergio Romano, racconta in maniera appassionata e puntuale l’altra parte dell’orrore, quella dei colletti bianchi (metà dei quindici aveva il titolo di dottore in legge) che non si sporcavano le mani, ma riuscivano a elencare con freddezza il numero degli ebrei europei da «evacuare»: 131.800 in Germania, 700.000 nella Francia non occupata, 69.600 in Grecia, 58.000 in Italia, cinque milioni in Unione Sovietica... sino ad arrivare al totale di undici milioni. Per i dottorini, che alla fine brindarono con un brandy all’esito positivo della riunione in cui si era discusso molto anche del destino dei Mischlinge, gli ebrei sposati con cristiani o di sangue misto, era molto chiaro che il termine evacuazione fosse sinonimo di sterminio. Ecco le parole di Heydrich che più di altre spiegano le vere intenzioni dei nazisti: «Nel quadro della soluzione finale e sotto una guida adeguata gli ebrei devono essere mandati a lavorare all’Est. In grandi colonne divise per sesso gli ebrei abili al lavoro si apriranno la via verso Est costruendo strade. Non c’è dubbio che la stragrande maggioranza sarà eliminata per cause naturali. Sopravviveranno solo gli elementi più resistenti. Di questi ci si dovrà occupare adeguatamente, altrimenti, grazie alla selezione naturale, costituiranno la cellula germinale di una rinascita ebraica». Il dado era tratto. Non c’è dubbio che dopo la conferenza del Wannsee le azioni contro gli ebrei assunsero una violenza senza precedenti, furono organizzati nuovi campi di concentramento, vennero ampliati quelli esistenti, alla violenza brutale ma disordinata si sostituì lo sterminio sistematico che prevedeva anche l'uso di nuovi metodi di morte, come le gassazioni. Ma lo studio di Roseman è interessante non tanto per l’elenco dell’orrore, quanto per la capacità di porre alcune domande cruciali attorno a un documento che nell’immediato dopoguerra venne considerato, a torto, una sorta di «stele di Rosetta» che, poteva spiegare i motivi dell’Olocausto. Innanzitutto quale fu il ruolo preciso di Hitler? Perché a una riunione così importante non parteciparono gli alti gerarchi del Reich? Perché il protocollo del Wannsee rimane una tappa fondamentale dell'orrore se è dimostrato che alcuni campi per lo sterminio erano già stati costruiti alla fine del 1941? Roseman non ha esitazione a ribadire la centralità del ruolo di Hitler anche per le riunioni in apparenza meno importanti. Per capire Wannsee bisogna partire dal Mein Kampf, passando dalla Notte dei Cristalli e dalle leggi di Norimberga per arrivare nel 1939 alla profezia del Führer sullo sterminio degli ebrei. Ma secondo lo storico britannico fino al 1941, nonostante i massacri in Polonia o gli eccidi in Serbia, nessuna decisione sulla soluzione finale era stata presa. Per un certo periodo Hitler e i suoi gerarchi pensarono realmente di evacuare tutti gli ebrei d’Europa in una sperduta riserva tra i fiumi Vistola e Bug o addirittura di concentrarli in un territorio del Madagascar. A far scattare la decisione dello sterminio fu la guerra contro l'Unione Sovietica, soprattutto dopo la decisione di Stalin di far deportare in Siberia i tedeschi del Volga. Il desiderio di vendetta del demone Hitler contro «la lobby ebraica» aumentò con l'entrata in guerra degli Stati Uniti. Questa escalation non prese mai la forma di un ordine preciso, anche se Hitler nei discorsi ufficiali si riferiva sempre più spesso alla sua profezia del ‘39 e nelle riunioni segrete dava via libera ai suoi gerarchi. L'anti­semitismo divenne uno strumento per far carriera: la riunione del Wannsee si deve leggere anche come il tentativo di Heydrich di consolidare il proprio potere. Naturalmente con il permesso del suo superiore e rivale Himmler. Così, nel clima di macabra euforia di quel 20 gennaio, un arrivista come Josef Bühler arrivò a chiedere che la carneficina cominciasse nei territori da lui controllati nel Governatorato generale. Heydrich non poté assistere alle estreme conseguenze della follia nazista. Morì nel giugno 1942 per le ferite riportate in un attentato contro la sua persona. Altri avrebbero portato avanti il suo progetto: prima di tutti Himmler. E il fido, metodico Eichmann.


Shoah: intesa fra l'Italia e Spielberg

Paolo Conti

L'Archivio centrale di Stato diventa partner della Survivors of the Shoah Visual History Foundation allestita da Steven Spielberg" nel 1994. L’accordo verrà annunciato mercoledì 16 ottobre, anniversario del rastrellamento nazista degli ebrei romani nel 1943. Archivisti statali italiani lavoreranno per diversi mesi alla Shoah Foundation per catalogare e analizzare le quattrocento testimonianze di sopravvissuti raccolte nella nostra lingua. L'Archivio, sempre con la Shoah Foundation, distribuirà in 300 scuole del Lazio (poi l’esperimento verrà allargato a molti altri istituti italiani) un audiovisivo di 40 minuti con le storie di ebrei scampati e il racconto di chi contribuì a salvarli. Ha commentato Steven Spielberg: «Se le future collaborazioni verranno intraprese con lo stesso spirito di reciproco rispetto che ha animato il nostro lavoro qui in Italia, il sogno dei sopravvissuti che i loro volti siano visti e le loro voci ascoltate molto tempo dopo la loro scomparsa, continuerà».

Dal Corriere della sera, 12 ottobre 2002

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