Corriere della sera 

La doppia vita dell'uomo che voleva uccidere Hitler

Misteri – L’incredibile storia do Otto John, uno dei congiurati che nel ’44 partecipò all’attentato. Sfuggito all’arresto, dopo la guerra rientrò in Patria. Ma accusato di spionaggio per i sovietici, passò a Berlino Est. Una testimone rievoca in un libro l'attacco alla «tana del lupo». Ecco chi erano gli uomini che finirono nelle mani della Gestapo

di Sergio Romano

Secondo una versione della storia tedesca, diffusa da una certa propaganda alleata dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Hitler fu la moderna incarnazione di un militarismo prussiano che si era progressivamente ramificato sino a infettare l’intero corpo della società germanica. Fummo educati a credere, come nel libro della genealogia di Adamo (Genesi, 5), che il grande Federico aveva generato Bismarck, Bismarck aveva generato Guglielmo II, Guglielmo II aveva generato Hitler, e che tutti i capi del grande stato maggiore tedesco, da von Molte a von Schlieffen, erano zii o prozii del piccolo caporale austriaco. In Unione Sovietica la nascita del male fu audacemente retrodatata. In Aleksandr Nevskij, un film del 1938 diretto da Sergej Ejzenshtejn, gli antenati del militarismo tedesco sono i cavalieri portaspada e quelli dell’Ordine teutonico che evangelizzarono il Baltico con la forza nel corso del Duecento. Uno dei primi ad accorgersi che i conti non tornavano fu Rosario Romeo. Osservò che la propaganda alleata non teneva alcun conto delle tradizioni politiche prussiane: il nazional-liberalismo, il socialismo, il rigore protestante, il sentimento dell’onore e il servizio dello Stato. Ma quella versione resistette tenacemente per alcuni anni, servì a educare una intera generazione tedesca ed ebbe l’effetto di rendere incomprensibile la congiura contro Hitler del luglio 1944. Chi erano gli uomini che avevano cercato di uccidere il Führer nella tana del lupo e avevano pagato con la vita, nelle settimane seguenti, il loro «tradimento»? Chi erano Beck, Bernstorff, Stauffenberg, Schulenburg, Hassel, Moltke, Wartenburg, Lehndorff, Trott? Con un frettoloso giudizio storico fu deciso che erano tradizionalisti, forse opportunisti, certo non rappresentativi  della cultura politica e dei reali sentimenti della natura tedesca. Nel 1994, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’attentato, una donna che partecipò alla congiura decise di ricordarli in un breve libro apparso ora in italiano presso le edizioni del Minotauro con una prefazione di Roberto de Mattei. L’autore è Marion Dönhoff, morta nello scorso marzo all’età di 92 anni. Era nata in Prussia Orientale e ne era fuggita a cavallo prima che l’Armata Rossa incendiasse il castello della sua famigli. Ad Amburgo, dove trovò rifugio, partecipò alla fondazione di un settimanale «liberal», Die Zeit, e ne divenne prima direttrice, poi coeditrice. Fece battaglie progressiste e fu nota per molti anni come la  «baronessa rossa». Ma i congiurati del 20 luglio appartenevano al suo ambiente familiare e alla sua classe sociale. Sapeva che Hitler li odiava quanto gli ebrei. Sapeva che la liturgia delle esecuzioni (furono appiccati a un gancio di macelleria mentre gli operatori delle SS ritraevano la scena) era stata voluta dal Führer. E non volle chiudere la sua vita senza ricordare l’ «altra Germania» di cui lei stessa era stata cittadina. Non tutti i congiurati erano militari e non tutti furono trucidati dopo un processo sommario. A Londra, tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, conobbi uno dei pochi che erano riusciti a fuggire. Si chiamava Otto John e non figura tra le persone ricordate da Marion Dönhoff. Il lettore comprenderà le ragioni dell’assenza quando avrà ascoltata la sua storia. John era nato nel 1909. Il padre, vecchio funzionario dello Stato, gli aveva trasmesso un certo rispetto per l’Ancien Régime e una spiccata insofferenza per la brutalità delle squadre naziste. Quando terminò gli studi di giurisprudenza trovò lavoro nell’ufficio legale della Lufthansa. Voleva andarsene dalla Germania e sperava di avere un incarico all’estero. Ma fu impiegato a Berlino dove cominciò a frequentare Karl Bonhoeffer, fratello del teologo luterano che i nazisti impiccarono nel lager di Flossenbürg, dopo un processo sommario, l’8 aprile 1945. Fu così che conobbe alcuni congiurati e divenne membro di quel gruppo informale che i servizi nazisti definirono, dal nome della tenuta di Molte in Slesia, il «circolo di Kreisau». Dopo alcuni tentativi falliti, venne finalmente l’occasione sperata e attesa. Era il 20 luglio 1944. Per alcune ore, dopo l’esplosione della bomba di Stauffenberg nella «tana del lupo», i congiurati cedettero che Hitler fosse morto e uscirono all’aperto. Fu questa la ragione per cui la Gestapo, nel giro di poche ore, riuscì ad arrestarli. Informato per tempo, John approfittò del suo impiego alla Lufthansa e riuscì a trovare posto su un volo di linea per Madrid. Due giorni dopo si presentò all’ambasciata di Gran Bretagna e in novembre, dopo una lunga quarantena portoghese, era a Londra. Agli inglesi quel giovane alto, biondo e coraggioso fece una eccellente impressione. Si servirono di lui nel reparto dell’Intelligence per la «guerra psicologica» e gli dettero qualche incarico in Germania dopo la fine del conflitto. Piacque anche a una signora di origine tedesca, Lucie Mankiewitz, che aveva dieci anni più di lui e che lo sposò di fronte a un ufficiale di stato civile del distretto londinese di Hampstead nel dicembre del 1949. Più tardi i suoi avversari diranno che quel matrimonio con una figura materna era un segno evidente della sua fragilità psicologica. Lo conobbi in quel periodo e vidi in lui, invece, un uomo gioviale, dinamico e soprattutto soddisfatto dell’incarico che la Repubblica federale di Germania, nata da qualche mese, gli aveva affidato. Era diventato capo di una nuova agenzia, chiamata eufemisticamente «Ufficio per la protezione della costituzione», che era in realtà il servizio segreto della nuova Germania. Doveva la sua nomina, apparentemente, all’insistenza del governo britannico. Non appena mise piede a Bonn, quindi, dovette constatare che molti tedeschi, e forse lo stesso Adenauer, lo trattavano con sospetto e lo consideravano uno «straniero». I rapporti con le autorità federali peggiorarono quando gli Stati Uniti, dopo lo scoppio della guerra di Corea, vollero che la Germania fosse autorizzata a riarmarsi e partecipasse alla difesa comune contro l’Unione Sovietica. A John sembrò che il riarmo avrebbe sdoganato i vecchi nazisti e scavato fra le due Germanie un fossato incolmabile. Divenne cupo, sospettoso, introverso e in certi momenti pericolosamente eccitabile. La crisi scoppiò a Berlino nel luglio 1954, in occasione delle cerimonie per il decimo anniversario della congiura fallita contro Hitler. Mentre veniva pronunciato un discorso in memoria delle vittime, qualcuno si accorse che John aveva il volto rigato di lacrime. Forse era convinto che i congiurati fossero morti inutilmente e che la Germania stesse scivolando all’indietro verso il suo peggiore passato. Quella sera, anziché incontrare due agenti inglesi con cui aveva un appuntamento, andò nel gabinetto medico di un vecchio amico, il dottor Wohhlgemuth, che aveva molte amicizie nel settore orientale della vecchia capitale. Poche ore dopo, accasciato sul sedile anteriore di una piccola automobile, attraversava la linea di demarcazione ed entrava nel settore sovietico di Berlino. Di ciò che accadde nei 17 mesi seguenti esistono due versioni. Quando riuscì a fuggire, con l’aiuto di un giornalista danese, John disse che era stato drogato, rapito, costretto a collaborare con le autorità comuniste e trasportato per qualche settimana in Unione Sovietica. I suoi accusatori replicarono che il racconto non era credibile. Nei mesi trascorsi a Berlino est, John aveva pronunciato discorsi, partecipato a conferenze-stampa, rilasciato interviste, scritto articoli, pubblicato opuscoli.  E in ciascuna di queste occasioni aveva criticato il governo Adenauer, denunciato i pericoli del riarmo tedesco e dichiarato di volere dedicare la sua vita alla riunificazione delle due Germanie. L’ho fatto, rispose John, per ingannare i miei carcerieri, convincerli che si potevano fidare di me e preparare in questo modo la fuga. Questo duello verbale ebbe luogo verso la fine del 1956 in un’aula del tribunale di Karlsruhe dove Otto John venne processato per tradimento. L’imputato non fu creduto e la sentenza, pronunziata alle dieci del mattino del 22 dicembre, lo condannò a quattro anni di carcere. Restò in prigione sino al luglio del 1958. Da allora e sino al momento della sua morte ebbe soltanto uno scopo: dimostrare che i giudici si erano sbagliati. Scrisse un libro di memorie che apparve in inglese col titolo Twice through the lines (Due volte attraverso le linee) e ripeté la sua versione nel corso di un lungo film televisivo sul «caso John» durante gli anni Novanta. Morì a Monaco nel 1997, all’età di 88 anni. Secondo la conclusione di una commissione parlamentare tedesca «una parola definitiva (…) sulle circostanze in cui Otto John passò nella zona sovietica di Berlino è ancora oggi impossibile».

  Il fatto  

Il 20 luglio 1944 una bomba esplode nel quartier generale di Hitler a Rastenburg. L'attentato fallisce e il Führer resta illeso

Otto John (1909-1997) è uno dei pochi congiurati che riusciranno a sfuggire alla Gestapo

Le memorie autobiografiche di Otto John sono state pubblicate col titolo Twice through the lines (Due volte attraverso le linee) 

Dal Corriere della sera, 10 agosto 2002

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