Corriere della sera  

Uccise 59 italiani, Engel condannato a sette anni

Amburgo, l’ex capo delle Ss di Genova riconosciuto colpevole della strage al Passo del Turchino. Forse non finirà mai dietro le sbarre. I giudici: responsabile anche se non sparò. Il legale dei parenti delle vittime: siamo soddisfatti. L’imputato: «Reagirò, l’ho imparato in guerra»

di Paolo Valentino

Berlino – Solo sette anni per il «boia di Genova». Il tribunale penale di Amburgo ha riconosciuto Friedrich Engel colpevole del massacro per rappresaglia di 59 italiani, nel maggio del 1944 al Passo del Turchino. Ma non ha accettato la richiesta di ergastolo, formulata dal pm e dalla parte civile, optando per una pena mite, che non mancherà di suscitare polemiche. Anche perché, data la sua età, ormai prossima ai 94 anni, l’ex ufficiale delle SS riuscirà molto probabilmente a evitare il carcere. «Dottor Engel – ha detto, motivando la sentenza, il giudice Rolf Seedorf, che presiedeva il collegio giudicante – lei ricevette l’ordine della rappresaglia per telefono e discusse dove e quando eseguirla. Ma fu lei il solo responsabile delle modalità dell’esecuzione. E il fatto che non abbia sparato personalmente, non la solleva da questo peso». La strage del Turchino seguì di qualche giorno l’attentato partigiano al cinema Odeon, a Genova, nel corso del quale erano stati uccisi sei marinai tedeschi. Nel corso del processo, iniziato il 7 maggio scorso, Engel ha sempre sostenuto di aver svolto, in quanto capo delle SS nella città ligure, un ruolo di semplice appoggio logistico. Sarebbe stata la Marina, questa la tesi della Difesa, a farsi carico della fucilazione di massa. Uniche, parziali ammissioni di colpa da parte dell’imputato, quella di aver letto e approvato la lista dei partigiani da eliminare. E di essere stato presente «da spettatore» in quell’alba  di morte, sul luogo della strage. Ma, nel corso del dibattimento, pubblica accusa e parte civile sono riusciti a dimostrare sia la diretta responsabilità di Engel, sia, ed era il punto centrale, la particolare crudeltà della rappresaglia. «La natura disumana dell’esecuzione – ha spiegato il giudice Seedorf – supera ogni possibile giustificazione, perfino in tempo di guerra». Prelevate di notte dal carcere di Marassi, le vittime, gran parte delle quali non ancora ventenni, furono trasportate a bordo di camion al Passo del Turchino. Lì, a gruppi di sei, vennero fatte salire su delle tavole, disposte sopra una fossa comune, in modo che ogni gruppo, prima di cadervi direttamente dopo la scarica, potesse vedere i cadaveri di quelli che l’avevano preceduto. «Questo non faceva parte dell’ordine», ha detto il presidente del tribunale, ricordando che almeno due dei partigiani gridarono «Viva l’Italia», un attimo prima di essere colpiti. Alla luce della motivazione, appare risibile che il Tribunale, una volta accettato l’impianto accusatorio del pm, non abbia anche comminato l’ergastolo. Seedorf ha citato il precedente del processo berlinese, del 1995, contro Erich Miele, il famigerato capo della Stasi, la polizia segreta della Germania Est. Accusato di omicidio commesso nel 1931 (per la legge tedesca già caduto in prescrizione, a meno di non riconoscere l’aggravante della crudeltà), Miele, malato e prossimo alla morte, venne ugualmente condannato a 6 anni: invece di scegliere tra l’ergastolo e l’assoluzione, la corte volle ugualmente comminare una condanna che avesse soprattutto valore simbolico.  Ragionamento quasi identico è stato quindi seguito con il boia di Genova, omicida efferato ma carcerato soltanto virtuale. «Eppure, sono soddisfatta – spiega la dottoressa Olivia Bellotti, che ha rappresentato i parenti delle vittime -, Engel è colpevole e questo era il risultato essenziale. Il caso era attaccato a un filo. Non potevamo produrre un solo teste in grado di dire che Engel aveva sparato al Turchino. E poi, so che i pareri del Tribunale erano discordanti: la rappresaglia era una pratica accettata durante la guerra, a sostegno dell’aggravante della crudeltà, c’era purtroppo soltanto la testimonianza scritta di Sergio Nicoletti, l’ex interprete di Engel, che è morto». Non ha tradito alcuna emozione l’ex ufficiale nazista: «Ho due guerre alle spalle – ha detto Engel dopo la condanna – e ho imparato sin da ragazzo a reagire con durezza agli avvenimenti». Poi, appoggiandosi a un bastone, si è fatto strada tra la folla di giornalisti e curiosi, è salito su un taxi ed è tornato a casa. Per oltre mezzo secolo, il boia di Genova ha vissuto indisturbato nella ricca Amburgo. Per quel poco che gli resta da vivere, potrà farlo ancora adesso.


 LA SCHEDA     GLI ALTRI

Herbert Kappler Walter Reder Eric Priebke

Tenente colonnello SS responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Condannato all'ergastolo nel '48, viene trasferito all'ospedale militare del Celio, dal quale fugge nell'agosto '77. Muore in Germania nel '78

Maggiore SS, esecutore della strage di Marzabotto. Catturato degli americani, viene consegnato all'Italia nel ' 51. Il tribunale di Bologna lo condanna all'ergastolo, graziato nel 1985, muore nel ' 91

Capitano della SS accusato del massacro delle Fosse Ardeatine, viene estradato in Italia dall'Argentina. Assolto in primo grado, in appello a Roma, nel 1988, è stato condannato all'ergastolo


 Il commento   «Giudicare il passato tra pene e compromessi»

di Vittorio Grevi

Il tema del rapporto tra il tempo del reato e il tempo del giudizio ha sempre rappresentato uno dei nodi cruciali delle scelte legislative nel campo della giustizia penale. Ed è proprio questo il tema subito evocato dalla notizia della condanna a sette anni inflitta ieri dal Tribunale di Amburgo al 93enne ex ufficiale delle S.S. Friedrich Engel, ritenuto responsabile «con crudeltà» dell’eccidio del Passo del Turchino, perpetrato per rappresaglia nel 1944 contro cinquantanove civili italiani. Ma il tema legato al tempo del reato s’intreccia sempre con l’altro tema relativo alla difficoltà di celebrare un processo a distanza di tanti anni dai fatti, quando ormai la maggior parte delle fonti probatorie è venuta a  mancare. Ed anche questo sarà uno degli argomenti delle polemiche che senza dubbio si intrecciano sulla conclusione del processo ad Engel, soprattutto a causa della esigua misura della pena che gli è stata applicata, decisamente sproporzionata rispetto alla gravità dell’accusa. Quanto al primo tema, è principio largamente accolto dalle legislazioni penali (e da ultimo ribadito, rispetto ai crimini di guerra, dallo statuto della Corte penale internazionale) che per i più gravi delitti, come sono quelli puniti con l’ergastolo, il decorso del tempo non debba impedire la punibilità. In sostanza, per tali delitti si deve comunque far luogo a processo, ed arrivare alla sentenza, non operando le regole sulla prescrizione. Si tratta di un principio di grande rigore morale, evidentemente ispirato all’idea che il tempo non possa cancellare la memoria dei delitti più efferati. E così è accaduto in Germania rispetto ad Engel, che nonostante l’età assai avanzata è stato sottoposto a processo per un crimine risalente a 58 anni fa. Se non che la natura della condanna pronunciata ieri lascia intendere che qualcosa probabilmente non ha funzionato fino in fondo, rispetto all’impostazione dell’accusa, che aveva puntato sul riconoscimento della piena responsabilità dell’imputato, con conseguente applicazione dell’ergastolo. Proprio la difficoltà di celebrare simili processi, a tanti anni di distanza dal fatto, per via del progressivo affievolirsi delle fonti di prova, potrebbe talora indurre anche a dubitare della stessa opportunità del loro svolgimento, tanto più di fronte alla prospettiva di una sentenza di condanna di contenuto compromissorio. Un dubbio del genere, tuttavia, non merita consenso. Dinanzi a certi terribili reati, la macchina giudiziaria non si deve fermare, ma deve comunque sforzarsi di arrivare ad un pubblico giudizio, sia pure dopo molti anni. Ē il minimo che si deve alle vittime ed ai loro familiari: non per spirito di vendetta, ma per senso di giustizia. Dopo di che, la misura della pena, magari applicata ad un vecchio criminale che nemmeno la sconterà, finisce per rivestire un aspetto secondario. La cosa più importante è sempre l’accertamento dei fatti e delle responsabilità

Dal Corriere della sera, 6 luglio 2002

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