Olocausto
- Due ipotesi sul nome del delatore al vaglio
dell’Istituto olandese che custodisce i quaderni
di Alessio
Altichieri
Londra – Chi vendette Anna Frank ai nazisti? Tra i misteri
che hanno circondato la vita e la morte della ragazzina ebrea di Amsterdam (non
ultime le diverse versioni del suo Diario), restava tuttora ignoto il nome
dell’informatore che, con una telefonata anonima nell’estate del 1944, rivelò
alla Gestapo che dietro una porta segreta, all’indirizzo Prinsengracht 263, si
nascondeva la famiglia di Otto Frank, negoziante di alimentari e spezie. Per
molti anni si fece il nome di Willem van Mareen, che lavorava nel magazzino
accanto a casa Frank, sul canale. Ma egli si dichiarò sempre innocente e morì
nel 1971 senza che alcuno potesse imputarlo. Neppure Simon Wiesenthal, il
cacciatore di nazisti che interrogò l’ufficiale incaricato degli arresti di
ebrei, riuscì a scoprire quel nome. Così gli storici, convinti che non esista
traccia scritta di quella delazione, avevano rinunciato alla ricerca.Ma ora una studiosa inglese, Carol Anne Lee, il cui libro «The
Hidden Life of Otto Frank» (la vita segreta di Otto Frank) esce in questi
giorni a Londra, ritiene d’avere trovato l’autore della denuncia che fece di
Anna Frank una martire del nazismo e una delle scrittrici più lette al mondo.
Nulla di definitivo, naturalmente, ma abbastanza per convincere l’Istituto
olandese per la documentazione sulla Guerra, che dipende dal governo, a riaprire
ufficialmente il dossier su Anna Frank. Anche perché la Lee non è sola: c’è
pure la tesi avanzata da Melissa Mueller, una scrittrice austriaca, che cerca il
responsabile della della delazione in un’altra direzione: «Per me sono solo
teorie: non c’è la prova provata» dice David Barnouw, lo storico incaricato
di fare i controlli. Ma forse c’è una punta di insofferenza: «L’Istituto
non ha mai cercato chi tradì i Frank» ha detto la Lee al Guardian. Con
due nuovi stimoli, quel nome infamante potrebbe infine uscire.Secondo la ricercatrice inglese, l’uomo che denunciò Anna
Frank fu Anton Ahlers, che lavorava con Otto ed era un fervente nazista. Aveva
26 anni, era un ladruncolo e nel 1944, a corto di soldi perché aveva fatto
bancarotta, decise di prendersi la taglia offerta a chi denunciasse gli ebrei ai
nazisti occupanti. Non c’ alcun dubbio che Ahlers sapesse dove i Frank erano
nascosti, dice la Lee, «e perfino sua madre diceva che era un brutto tipo, che
si vantava sempre delle conoscenze naziste». Aveva bisogno del denaro e voleva
farsi bello con le autorità collaborazionistiche, dice la scrittrice, eppure
non fu lui che fece materialmente la telefonata: l’anonimo informatore sarebbe
stato Marteen Kuiper, un altro losco personaggio che viveva vendendo ebrei alla
Gestapo e che, vedi caso, era andato a vivere con Ahlers proprio il giorno prima
del raid in Prinsengracht 263.Convince il racconto della Lee o regge invece l’ipotesi di
Melissa Mueller, che punta il dito su Lena Hartog, una donna delle pulizie?
Saranno gli storici olandesi a decidere, ma nella ricostruzione dell’inglese
c’è una circostanza che suona, assieme, sconcertante e convincente: come mai
Otto, l’unico della famiglia a sopravvivere allo sterminio, non fornì indizi
per trovare il delatore, nel dopoguerra? Secondo Carol Anne Lee, non poté
denunciare Ahlers perché ne era ricattatati: il fanatico nazista sapeva infatti
che Frank, prima di nascondersi, aveva commerciato con la Wermacht e rischiava
quindi l’accusa di collaborazionismo. La prova? Quando Ahlers fu arrestato
proprio per il suo passato nazista, fu Otto a scrivere una lettera per chiederne
il rilascio. Invece di dissiparsi, i misteri di casa Frank, con il passare degli
anni, s’infittiscono.