Corriere della sera  

Il nazista che odiava Hitler e amava la dolce vita

Il generale Senger maturò l’idea che la vittoria del Führer sarebbe stata una sventuraAutobiografie – Un volume racconta la Seconda guerra mondiale vista da un protagonista. Dalla prefazione di Sergio Romano un ritratto inedito. Ē in uscita dall’editore Longanesi una nuova edizione delle memorie del generale della Wehrmacht Frido von Senger und Etterlin («La guerra in Europa», pagine 514, euro 17,00). Anticipiamo un brano della prefazione di Sergio Romano»

di Sergio Romano

Frido von Senger und Etterlin non era solo uno Junker (l’aristocrazia agricola delle marche orientali) e non apparteneva quindi alla casta militare prussiana. Era nato nel 1891, in una famiglia cattolica della nobiltà del Bande-Wüttemberg, aveva fatto la prima guerra mondiale in un reggimento di cavalleria e aveva deciso di scegliere, nonostante la sconfitta, il mestiere delle armi. Ma non era né una testa calda, attratta dai militari che progettavano putsch e rivincite, né un oppositore della Repubblica di Weimar. Amava la carriera militare, ma aveva passato due anni a Oxford prima della guerra e aveva imparato a considerare le cose con intelligente distacco. Amava la cavalleria e le sue leggende, ma sapeva che i cavalli, in futuro, sarebbero serviti soltanto alle parate o, tutt’al più, all’ordine pubblico. Quando i tedeschi dettero l’assalto alla Francia nella primavera del 1940, Senger ritornò sui luoghi in cui aveva combattuto più di vent’anni prima e comanda una brigata corazzata. Ma non è ancora guerra. Mentre l’esercito francese, il più forte d’Europa nel lungo intervallo fra il 1918 e il 1940, si sbriciola e si dissolve, gli inglesi corrono verso la Manica e riescono a salvare buona parte del corpo di spedizione. La resa di Cherbourg, dove la brigata von Senger precede di qualche ora il generale Rimmel, ricorda nella descrizione dell’autore uno splendido film di cinque anni prima (La kermesse hèroique) in Jaques Feyder descrive il trionfale ingresso della fanteria spagnola in un pacifico borgo delle Fiandre durante la guerra dei Trent’anni: il sindaco è deciso a salvare la sua città dagli orrori della guerra, il consiglio comunale è impaurito ma dignitoso, i borghesi sono prudenti e preoccupati soprattutto della salvezza dei loro beni, gli osti e i trattori sono indifferenti alle uniformi dei loro nuovi clienti. Ma nella descrizione del «conquistatore» non c’è ombra di disprezzo o arroganza. Senger sa che la democrazia della Terza Repubblica è necessariamente più debole della dittatura tedesca e non ama ripetere i luoghi comuni della propaganda nazista sulla decadenza morale della Francia. Il piacere della vittoria non esclude la simpatia per i francesi, l’ammirazione per la loro cultura e un sentimento di umana compassione per le condizioni psicologiche degli sconfitti. Agli del governi di Vichy riconosce l’onore delle armi: «hanno giocato come il destino imponeva, per il bene della loro patria». Se avesse conosciuto Frido von Senger, Maupassant non avrebbe scritto probabilmente Bouble de suif e i suoi racconti sulla guerra franco-prussiana del 1870. Non basta. Il generale della Wehrmacht approfitta del breve intervallo tra una campagna e l’altra per visitare i castelli e scegliere tra le dimore possibili quella che meglio gli permette di gustare la douceur de vivre della provincia francese. Il guerriero ama la compagnia, la buona tavola, i letti comodi, i «lucidi utensili di ottone sulle pareti» delle antiche cucine, una stanza adorna di belle cose. Non né frivolo né ingordo. Ē un tedesco colto, umano e, sotto l’uniforme, un viaggiatore del Nord attratto dai piaceri della tavola e dell’arte. Persino in Russia, durante la fase più drammatica della guerra, nulla gli impedirà di apprezzare il sorriso di una donna, il calore di un’isba e il lime dell’icona in un angolo della stanza. Prima della campagna di Russia, tuttavia, trascorse un lungo intermezzo come ufficiale di collegamento presso la commissione italo-francese. Conobbe Giaime Pintor, che prestava allora servizio presso gli stessi uffici?. Probabilmente, ma fra il generale cinquantenne e il giovane tenente non potevano esservi allora rapporti di familiarità. Senger era stato più volte in Italia e poteva, dopo l’avvento del nazismo in Germania, confrontare le due dittature. Giunse subito alla conclusione che il nuovo regime, instaurato dopo la marcia su Roma, era in realtà una diarchia in cui Mussolini e il re avevano concluso una sorta di tregua. Profondamente conservatore, era convinto che uno Stato bene ordinato avesse bisogno di una élite aristocratica, composta da «uomini indipendenti, al di sopra dei partiti, capaci di esercitare la critica»; e gli parve che «in Italia questa classe [… non fosse così radicalmente esclusa dal potere come in Germania». Certo il suo giudizio sulla situazione italiana era fortemente influenzato dal desolante spettacolo della Germania, dove le vecchie élite si erano in larga parte sottomesse al potere di Hitler; ma gli servì a comprendere e a giustificare gli avvenimenti fra il 25 luglio e l’8 settembre. «Il soldato italiano», scrisse, «non è né migliore né peggiore dei soldati di qualsiasi altra nazione […] L’Italia di Mussolini non era un Paese privo di qualità guerresche. Come si spiegano altrimenti le pesanti, lunghe e vittoriose battaglie sull’Isonzo durante la prima guerra mondiale?» Quando la Germania invase l’Unione Sovietica, Senger chiese e ottenne di combattere sul fronte orientale. Non era nazista, non credeva alla superiorità del popolo tedesco sul popolo russo e andava maturando la convinzione che la vittoria di Hitler sarebbe stata, per la Germania e per l’Europa, una sventura. Ma era profondamente persuaso che un soldato, in quelle circostanze, non avesse altra scelta morale fuor che quella di combattere. Non vi era contraddizione, agli occhi di Senger, fra il suo giudizio politico sulla guerra e il desiderio di battersi in prima linea, dove il pericolo era più grande. Gli sembrò che il solo modo per tranquillizzare la sua coscienza fosse quello di fare con onore e serietà il suo mestiere. Quando giunse in zona di operazioni ebbe il piacere di constatare che altri generali erano giunti alla stessa conclusione e che il fronte russo era divenuto paradossalmente, nell’Europa occupata dalla Germania, il solo luogo in cui fosse possibile parlare male di Hitler.

Dal Corriere della sera, 13 marzo  2002

sommario