Corriere della sera  

E padre Turoldo nascose le armi dei partigiani

Anniversari – Dieci anni fa moriva il frate «degli ultimi». Il ricordo di Aniasi, Rigoni Stern, Zanzotto. Come Pasolini fu portatore di un’utopia «splendente»

di Giuseppina Manin

Fosse vivo oggi padre Turoldo, cosa direbbe di questo Paese? «Di sicuro una parolaccia in friulano» risponde Mario Rigoni Stern, scrittore e amico del frate servita scomparso dieci anni fa, il 6 febbraio 1992, a 76 anni. E a Udine le manifestazioni del decennale in sua memoria organizzate dal «Forum» dello scrittore Paolo Maurensig, sono in corso fino a metà mese. Fosse vivo oggi Turoldo, da che parte starebbe? «Da quella di sempre, con gli ultimi, magari al fianco dei no global» aggiunge Andrea Zanzotto, poeta e anche lui amico di don David. Tornasse oggi a predicare a Milano, cosa gli capiterebbe? «Lo caccerebbero di nuovo» sostiene Aldo Aniasi, ex sindaco della città lombarda, che le vicissitudini di quello scomodo religioso seguì da vicino. E che David Maria Turoldo sia stato uomo  e prete scomodo non c’è dubbio. «Ancora oggi don David resta un corpo estraneo, persino nel suo stesso Ordine – riprende Zanzotto -. L’unico ad avvicinarsi a lui, anche se solo alla fine, è stato il cardinale Martini. Un po’ tardi, Turoldo era già malato». Difatti, consegnandogli il Premio Lazzati, Martini si scusò: «La Chiesa riconosce la profezia troppo tardi». Certo, un carattere impetuoso e intransigente come quello di don David, incapace di bugie e di mezzi toni, non era consono all’ambiente cattolico. Il suo aspetto stesso – un gigante di due metri, capelli rossastri al vento, mani da taglialegna, vocione da basso – gli rendeva impossibile il compromesso. Nel ’48 rifiutò di sostenere la DC: «Non bisogna confondere la Chiesa con un partito» tuonava. Un uomo ingombrante. «Lo amavi o lo odiavi – assicura Rigoni Stern -. Una volta eravamo al Premio Nonino, ci lasciò nel bel mezzo per andare a Verona, dove migliaia di giovani lo aspettavano all’Arena». «Come Pasolini e Fortini, Turoldo era portatore di un’utopia splendente, volta a cambiare il mondo, capace di coniugare impegno e poesia» rincalza Zanzotto, che agli slanci ideali comuni dedica un saggio nei suoi recenti Scritti letterari (Mondadori). E sempre Mondadori manda in libreria l’autobiografia di Turoldo, La mia vita per gli amici, corredata da due saggi di Maria Nicolai Paynter e di Marco Garzonio. Quest’ultimo impegnato a focalizzare uno degli ultimi, grandi, interrogativi del frate-poeta: «Sperare sarà sempre uno scandalo?». «Una preoccupazione – spiega Garzoni – a cui Turoldo cercava di dare la forma di un progetto. Il suo cruccio si muoveva intorno all’esigenza che non fosse lasciato cadere il “testimone” di una generazione: quella che a vent’anni si era trovata in guerra e poi alle prese con la lotta di Liberazione, con le esigenze della Ricostruzione». «Fu una figura importante dell’antifascismo – conferma Aldo Aniasi – ma, stranamente, il suo nome non compare in nessun dizionario o enciclopedia della Resistenza. Eppure Turoldo vi partecipò attivamente ben prima dell’8 settembre. In molti sostengono che sotto la cupola della Chiesa di San Carlo erano nascoste le armi dei partigiani. Inoltre, con il confratello Camillo De Piaz, David redigeva L’Uomo, giornale clandestino che diffondevano in migliaia di copie nel Nord Italia. Insomma la Corsia dei Servi era diventata un punto di riferimento. La sua scelta di uomo della Resistenza si indirizzò soprattutto verso la sinistra. Amico di Rossana Rossanda, Eugenio Curiel, aveva rapporti con comunisti, socialisti, azionisti. Ossessionato dalla ferocia nazista, dopo la Liberazione peregrinò per 29 campi di sterminio a raccogliere i sopravvissuti. Riportò a Milano oltre 200 deportati, nove gli morirono per strada». Sacerdote, rivoluzionario, poeta. E anche autore di un film, Gli ultimi, girato nel ’63 col critico di sinistra Vito Pandolfi: la pellicola è stata restaurata e presentata in anteprima ieri a Udine. David vi raccontava la sua infanzia in un Friuli dove la povertà sconfinava nella miseria. Quindici anni dopo tornò Ermanno Olmi con L’albero degli zoccoli. «Vidi Gli ultimi solo allora – ricorda il regista – e vi trovai una fratellanza di intenti ed emozioni. Le nostre radici sono là, in quel mondo contadino. Bisogna scoprirle se vogliamo capire il presente e anche il futuro».

Dal Corriere della sera, 7 marzo  2002

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