Corriere della sera
Il silenzio di Pio XII scuote Berlino
Costa - Gravas affronta l’Olocausto in un film e attacca
il Vaticano. Proteste dai vescovi francesi. Il regista: «Denuncio le complicità
con il regime nazista»
di Giuseppina Manin
Berlino – Una croce rossa su sfondo nero con tre delle
braccia piegate a svastica e la quarta dritta in giù: è lo scioccante poster
inventato da Oliviero Toscani per
Polemiche – Il tema del resto è quanto
mai spinoso: dibattuto e occultato negli ultimi 40 anni, a maggior ragione oggi
suscita polemiche, con la beatificazione di papa Pacelli in dirittura
d’arrivo. «Canonizzare significa indicare un esempio morale per le
generazioni future: Pio XII non mi sembra il più adatto», riflette il regista
greco che proprio ieri ha compiuto qui 69 anni, festeggiato da molti applausi
per questo suo nuovo film sulla nostra storia recente, dopo «Zeta» e «Missing».
Applausi, quindi, ma non di tutti. Se all’incontro con la stampa un gesuita
spagnolo è andato a congratularsi con Mathieu Kassovitz (interprete del prete
ribelle alla «neutralità» papale) un sacerdote della Radio Vaticano, Ettore
Segneri, ha accusato regista e autore di avere «manipolato la verità»
prendendo in considerazione solo una parte dell’enorme mole di documenti, a
suo dire tutt’ora all’esame della commissione di storici voluta da Wojtyla.
«Ho notizie che i lavori si siano conclusi da oltre un anno – ha risposto
Costa – Gravas -. E il risultato stato:
non abbiamo materiali sufficienti per definire il comportamento di Pio XII.
Inoppugnabile però resta il suo silenzio, il non aver mai pronunciato la parola
ebreo in un discorso durante il periodo nazista».
Anticomunismo - «La Chiesa è stata la
multinazionale con il logo – prosegue Kassovitz, che non scorda le sue origini
ebraiche, i nonni deportati nei campi di sterminio -. Quel silenzio era in
sintonia con l’anticomunismo sotterraneo, ma non troppo, che accomunava il
Vaticano e Hitler. E che faceva comodo anche agli Stati Uniti, smaniosi di
eliminare Stalin. Insomma, sapevano gli americani, sapevano gli inglesi,
sapevano gli svizzeri. Mezza Europa è responsabile di non aver detto nulla, di
non aver denunciato quelle atrocità. Un silenzio terribile».
Il testo teatrale - Ribattezzato «Amen», la pièce di Hochhuth che ha ispirato
Costa – Gravas, s’intitola in realtà «Il Vicario». Negli anni ’60, dopo
una prima messa in scena a Berlino con la regia di Erwin Piscator, approdò a
Parigi, nell’allestimento di Peter Brook e Michel Piccoli nel cast. «Una
serata tempestosa – ricorda Costa – Gravas -. Parte del pubblico salì in
piedi sulle sedie e gridava, qualcuno arrivò persino in scena e schiaffeggiò
gli attori. Il più minacciato fu il poveretto che interpretava Pio XII. Una
bagarre che richiese l’intervento della polizia».
Cattiva coscienza - «Questo film avrebbero dovuto
farlo i tedeschi, ma nessuno ha osato – ha tuonato lo scrittore Hochhuth -.
Capisco l’imbarazzo, fa parte della loro cattiva coscienza. Pacelli era i
tempi il primo interlocutore della diplomazia internazionale. La sua rete di
informatori era capillare, sapeva ogni cosa, anche dei 3000 cattolici
assassinati dai nazisti. Ciò nonostante, distolse lo sguardo. Eppure una sua
parola avrebbe forse cambiato il corso della storia se consideriamo che il 45
per cento dei soldati tedeschi erano cattolici».
L’altra Chiesa – Accanto alla Chiesa del
potere, ce n’era però un’altra, che non scese a patti. «Il personaggio di Kassovitz riassume quella posizione coraggiosa –
riprende il regista - . Ma la Chiesa per natura è un po’ schizofrenica: di
recente ha condannato i massacri del Ruanda in cui però erano coinvolti dei
sacerdoti. In Argentina ha “assolto” i piloti che gettavano in mare gli
oppositori del regime, spiegando che era il loro dovere. Oggi però a farmi
paura sono più le parole dei silenzi. Le invettive di un cardinale come Biffi
contro i musulmani possono essere molto pericolose. Possono legittimare il
vostro capo del governo a ripeterle, convincere la gente che forse è proprio
così L’opinione pubblica la si plasma un po’ alla volta. In Germania è
stata la Chiesa protestante a preparare il terreno all’antisemitismo. Così,
quando iniziò la persecuzione, l’ebreo era già bollato cole il Male. I lager
potevano cominciare a lavorare».
In
Platea
Dal teatro allo schermo, un “Amen” avvincente
di
Tullio Kezich
Berlino - Oggi che il teatro sembra sempre parlar d'altro, si rimpiange l'impatto prodotto quarant'anni fa da un dramma come «il Vicario». Basti ricordare che da noi, per averne tentato una messa in scena spontaneista, Volontè fu trascinato in questura e diffidato in nome del «carattere sacro della città di Roma». Altri tempi? Lo sapremo fra poco, quando arriverà sugli schermi il film «Amen» di Costa-Gavras. Nel libro che fin dal titolo, «il Papa di Hitler» (Garzanti), non è un contributo positivo all'avviata beatificazione di Pio XII, John Cornwell definisce l'opera di Rolf Hochhuth come «fiction storica ben scarsamente basata sulla documentazione»; e tuttavia sottolinea che proprio il discusso pamphlet teatrale «diede impeto alla ricerca di documentazione autentica». Il tema è quello del preteso silenzio del Papa sullo sterminio degli ebrei. Nel dramma vivono fino alle estreme conseguenze la tremenda situazione due personaggi, uno realmente esistito, l'SS Kurt Gerstein incalzato dai rimorsi, e l'altro di fantasia, un giovane prete idealista, uniti nel vano tentativo di far parlare il Vicario di Cristo. Chi difende la Chiesa afferma che se il Papa avesse apertamente condannato i nazisti ne sarebbe stato travolto insieme a tanti cattolici; e del resto il presidente americano Roosevelt tacque anche lui per motivi tattici. In cambio la dirigenza ecclesiastica, evitando di uscire allo scoperto, si prodigò per salvare tutti coloro che poteva. Tranne che dopo il 1945 il Vaticano diventò l'ancora di salvezza dei criminali nazisti in fuga. Fedele alla fama di regista impegnato, Costa-Gavras ha affrontato una riscrittura di «il Vicario» tenendo conto di tutto ciò che si è testimoniato e scritto, dopo. Senza dubbio il film è meno rozzo e aggressivo del testo da cui deriva. Evitando le facili scene di orrore concentrazionario, il regista si sofferma sui personaggi (eccellenti il tedesco Tukur e il prete Kassovitz) e ne puntualizza l'itinerario spirituale. L'ambientazione è credibile, il ritmo avvincente e il significato cristallino: non si tratta di condannare Pio XII ma di capire la differenza che passa fra un leader politico, che agisce secondo l'opportunità, e l'uomo comune, che agisce secondo coscienza.
Lo storico Frenato dalla diplomazia. Ma salvò anche tanti ebrei
di Cesare Medail
«Il film di Costa – Gravas riapre interrogativi ai quali no siamo riusciti a dare una risposta decisiva, fin da quando Rolf Hichhtu li propose drammaticamente con il “Il Vicario” (1963); e non avremo una parola definitiva finché non saranno aperti gli archivi vaticani» afferma Francesco margotta – Broglio, storico dei rapporti fra Stato e Chiesa, a proposito del dibattito attorno ad «Amen».
In
assenza di documentazione, il silenzio di Pio XII sui crimini nazisti va
interpretato alla luce dei fattori d’opportunità?
«Va subito detto che pochi valutano adeguatamente la figura
di Pacelli come segretario di Stato di Pio XI. Per esempio la bozza
dell’enciclica “Mit Brennender Sorge” (Con estrema angoscia), scritta in
tedesco e pubblicata nel maggio 1937, reca correzioni autografe di Pacelli. In
essa vi era un’esplicita condanna del nazismo, nella quale ebbe parte decisiva
il futuro Pio XII: si condannavano in particolare il paganesimo e il razzismo
presenti in quell’ideologia, oltre a ogni violazione dei diritti dell’uomo.
Anche se gli ebrei non erano menzionati».
Una
volta eletto dal conclave, però, Pio XII non riprese lo spirito della “Mit
Brennender Sorge”. Anzi, vi fu una «enciclica nascosta».
«Dopo essere salito al soglio nel marzo 1939, Pio XII mostrò
il documento ai cardinali tedeschi, i quali gli chiesero tutti allarmati di non
proclamarla. L’episodio anticipa quel che sarebbe avvenuto dopo: a fronte
delle sollecitazioni affiorate nella Chiesa in favore di una presa di posizione,
la Santa Sede recepì le preoccupazioni dei vescovi tedeschi e polacchi, i quali
temevano di vedere estesa la persecuzione dagli ebrei agli stessi cattolici».
Insomma, fu il timore delle conseguenze a
indurre il Vaticano a muoversi con prudenza?
«Pacelli puntava
sulla propria perizia diplomatica per evitare danni maggiori alla Chiesa. In
certi casi la usò per salvare degli ebrei, come avvenne a Roma quando, grazie a
due collaboratori tedeschi, la famosa “razzia d’ottobre” fu ritardata quel
tanto da mettere al sicuro un po’ di israeliti».
La prudenza per evitare il peggio è un’alternativa
plausibile alla condanna solenne?
«La visione di Pio XII fu più diplomatica che profetica:
certo, se avesse scritto un’enciclica “contro”, ne sarebbe uscito meglio
di fronte alla storia. Ma prevalsero altre considerazioni: e il quadro generale
ha una sua complessità, non ancora risolta».
Dal
Corriere della sera