Sulla via di Auschwitz. Pagando l'affitto al
vescovo
Rivelazioni - L’incredibile storia di Grosseto: un campo
di internamento per ebrei in un’ala del seminario – Per gli ottanta
prigionieri, una reclusione "bonaria"
diEttore Vittorini
Grosseto -Come
in gran parte dell’Italia, anche Grosseto e la sua provincia subirono, dopo
l’armistizio del settembre 1943, le dure conseguenze dell’occupazione
tedesca e le sopraffazioni dei fascisti rimasti fedeli a Mussolini. Per
ricordare quel periodo, l’Istituto storico della Resistenza ha allestito in
città una mostra che vuol ricordare le vittime del terrore nazifascista in
quella zona.Vengono così riportate alla memoria tante drammatiche
microstorie, ignorate dalla grande storiografia e dimenticate dalle istituzioni,
nelle quali compaiono come complici dei carnefici anche personaggi non legati al
fascismo. Una di queste storie, di cui nessuno in passato aveva mai parlato, si
è svolta a Grosseto alla fine del ’43. Ha avuto per protagonisti il vescovo
della città Paolo Galeazzi e il capo della provincia Alceo Ercolani, un
fanatico fascista più feroce e più attivo dei tedeschi.Il gerarca, nel novembre del 1943, aveva deciso di internare
gli ebrei del luogo ancor prima che Salò emanasse ordini precisi. Si mise
quindi alla ricerca di una sede adatta per rinchiudere i 148 ebrei censiti tra
Grosseto, Pitigliano e altre località, e la trovò subito senza bisogno di
ricorrere a requisizioni. Infatti gliela fornì in affitto la Curia grossetana
guidata dal vescovo Galeazzi. L’episodio è venuto alla luce poco tempo fa, a
seguito delle ricerche della professoressa Luciana Rocchi, direttrice
dell’Istituto grossetano, effettuate per allestire la mostra.Tra le «prove» esposte si può osservare una copia del
contratto di affitto firmato dal vescovo e dal maresciallo di Pubblica sicurezza
Gaetano Rizziello, designato a dirigere il campo di internamento. Vi è scritto,
tra l’altro, che monsignor Galeazzi «in prova speciale omaggio verso il nuovo
governo» (la Santa sede non ha mai riconosciuto la Repubblica di Salò, ndr)
cede in affitto al direttore «del campo di concentramento ebraico» un’ala
del seminario vescovile estivo di Roccatederighi. L’edificio, oggi
abbandonato, si trova ai margini del paese, una frazione del comune di
Roccastrada, a circa 35 chilometri da Grosseto.Nel documento è scritto che il canone è di circa 5.000 lire
mensili, una somma notevole per l’epoca, e in più che l’amministrazione del
lager si impegna a pagare lo stipendio di lire 300 a ciascuna delle suore
addette all’infermeria e alla camerata delle donne. Quindi monsignor Galeazzi,
non solo era a conoscenza dell’uso dei locali, ma ebbe modo di vivere per mesi
accanto agli internati perché, a causa dei bombardamenti, la sede vescovile era
stata trasferita nel seminario di Roccatederighi.Per disposizione del capo della provincia il lager fu
recintato col filo spinato e vi furono posti a guardia ventimiliti repubblichini armati di mitragliatrici e bombe a mano. Vi furono
internati ottanta ebrei italiani e stranieri e, a quanto raccontarono i
sopravvissuti, la detenzione non fu molto dura. Le guardie erano bonarie e lo
stesso vescovo si intratteneva con i reclusi distribuendo doni e carezze ai più
piccoli. Ma una parte degli ebrei venne ugualmente deportata ad Auschwitz su
sollecitazione delle autorità locali: erano trentasette stranieri e nove
italiani. Gli altri, tutti nati e residenti nella provincia di Grosseto, furono
rilasciati poco prima della Liberazione, forse perché i loro custodi volevano
assicurarsi benemerenze per il futuro.Col ritorno della democrazia, il capo della provincia subì,
nel 1946,un processo per le stragi
che aveva ordinato nella zona.. Condannato a trent’anni di carcere, fu
rilasciato nel 1953. Contro il Vescovo, rimasto al suo posto fino al 1960, non
ci fu alcuna sanzione, neanche da parte del Vaticano. Anzi, egli fece richiesta
di risarcimento al governo italiano per l’affitto e gli stipendi che i
repubblichini non avevano pagato.