Dal settembre 1943 all’aprile ’45 l’esercito tedesco
in Italia uccise oltre diecimila civili. Mimmo Franzinelli racconta in un libro
come furono occultate le prove della carneficina. Il giudice militare Enrico Santacroce stabilì nel 1960
l’archiviazione di 695 fascicoli. Su indicazione dei ministri Martino e
Taviani
di
Dino Messina
Si dice «memoria rimossa», ma nel gennaio 1960 con un
semplice timbro e una illegale scritta in burocratese, «archiviazione
provvisoria», il procuratore generale militare, Enrico Santacroce, aveva in un
colpo solo sepolto 695 fascicoli riguardanti le stragi naziste in Italia: una
scia di sangue che dal settembre1943 alla primavera del ’45 aveva accompagnato
le truppe tedesche nella lentissima ritirata da Sud a Nord: da Castellaneta, in
provincia di Taranto, a Bolzano. Quei documenti, che in molti casi contenevano
nomi e cognomi dei responsabili tedeschi o italiani delle stragi commesse contro
la popolazione civile, erano nascosti in un armadio con le ante rivolte verso il
muro degli scantinati di palazzo Cesi, sede della Procura generale militare a
Roma.L’accesso a quella remota stanza era protetto da un
cancelletto, chiuso con un lucchetto. A rompere, quasi involontariamente quel
segreto che il dottor Santacroce si era portato nella tomba nel 1975, dopo
sedici anni ininterrotti a capo della Procura generale militare, fu
nell’estate 1994 il giudice Antonino Intelisano, che alla ricerca di prove a
carico del capitano delle SS Eric Priebke, incriminato per la strage delle Fosse
Ardeatine, incaricò i suoi collaboratori di setacciare ogni angolo possibile
degli archivi. Quei falconi forse non furono determinanti
nell’incriminazione di Priebke, ma hanno aperto sicuramente un capitolo nuovo
nella storia dell’occupazione nazista in Italia, soprattutto per quanto
riguarda le responsabilità personali delle stragi e la volontà politica negli
anni del Centrismo e della Guerra Fredda di non perseguire i colpevoli. La
Ragion di Stato, furono le conclusioni del documento approvato dalla Commissione
Giustizia della Camera nel 2001, aveva prevalso sull’accertamento della verità.Alla storia infinita del biennio di sangue ha ora dedicato un
aggio molto documentato Mimmo Franzinelli, studioso del periodo fascista che si
è già fatto conoscere per le eccellenti ricerche sull’OVRA: in « Le stragi
nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di
guerra nazifascisti», che Mondatori manderà in libreria domani, Franzinelli
racconta questo grande giallo storiografico che ha come punto di partenza
l’uccisione di almeno diecimila civili italiani, molti dei quali bambini,
donne, vecchi o uomini per niente coinvolti con la guerriglia partigiana. Anzi,
alcuni addirittura fascisti con tanto di tessera, ma considerati dagli
estremisti di Salò e dalle SS troppo tiepidi verso il nuovo regime per restare
in vita.L’appassionato saggio di Franzinelli, accanto a una
meticolosa ricostruzione storica dei fatti, pone alcune domande sull’uso
politico della memoria e racconta i nuovi scenari, processi penali compresi,
aperti dal ritrovamento di quei documenti nascosti un armadio. L’occultamento
della verità sulle centinaia di stragi naziste in Italia, argomenta l’autore,
è stato favorito da una scelta fatta nell’immediato dopoguerra di concentrare
il ricordo dell’orrore attorno agli episodi più eclatanti, soprattutto le
Fosse Ardeatine, dove nel marzo 1944 furono giustiziate 335 persone come
rappresaglia per l’attentato di via Rasella, e l’eccidio di Marzabotto, che
costò la vita a circa ottocento civili.Per un lungo periodo sugli altri sacrifici è calato un pigro
silenzio, complice anche la scelta politica di favorire il pieno inserimento
della Repubblica federale tedesca all’interno dell’Alleanza atlantica. Nel
1956 il ministro degli Esteri, Gaetano Martini, e quello della Difesa, Paolo
Emilio Taviani, si opposero all’estradizione di una trentina di ufficiali
responsabili degli eccidi avvenuti nell’autunno 1943 nell’isola di
Cefalonia. Il sacrificio di cinquemila soldati della divisione Acqui veniva
ignorato e intanto la Procura militare avviava contro gli ex ufficiali
superstiti un procedimento per «cospirazione e insubordinazione», avendo «disobbedito
agli ordini di desistere da ogni atto ostile e di predisporre ai tedeschi la
cessione delle armi pesanti». L’ex ministro Taviani, con coraggio e onestà
intellettuale, ammise poi le sue responsabilità: «Un eventuale processo per
l’orrendo crimine di Cefalonia avrebbe colpito l’opinione pubblica
impedendo, forse per molti anni, la possibilità per l’esercito tedesco di
risorgere dalle ceneri del nazismo. Io sono stato uno dei precursori della
necessità del riarmo della Germania». Il giudice Santacroce, accentuando per
la verità una linea di condotta già tracciata dai due predecessori, aveva
fatto le cose per bene. Non aveva occultato tutti i fascicoli, ma negli anni ne
aveva mandati almeno 1300 alle procure territoriali competenti. Peccato che si
trattasse di documenti senza testimonianze probanti. Quelli più pericolosi, con
nomi, cognomi, descrizioni circostanziate, giacevano nel sempre più polveroso
armadio. Ma il casuale ritrovamento del ’94 ha agevolato l’apertura di
quattro importanti processi: uno a Roma contro Priebke; due a Verona contro
Thoedor Saevecke (responsabile dell’eccidio di piazzale Loreto a Milano) e
Friedrich Engel (capo delle SS a Genova e organizzatore delle stragi in
Liguria); infine uno a Verona che si è concluso con la condanna all’ergastolo
dell’SS ucraino Michael Seifert, rifugiatosi in Canada dopo aver seviziato e
ucciso con il suo camerata Otto Sein decine di prigionieri nel campo di
prigionia di Bolzano.Fra le stragi rimaste senza colpevoli e di cui finora si è
parlato troppo poco, quella nel campo di prigionia di Fossoli, a due chilometri
da Carpi, ricordato da Primo Levi con questi versi: «Io so cosa vuol dire non
tornare. / A traverso il filo spinato / ho visto il sole scendere e morire».
Centro di smistamento per ebrei, politici, detenuti comuni in attesa di esser
deportati nei Lager del Reich, il 12 luglio 1944 a Fossoli furono trucidati 67
prigionieri come ritorsione per l’uccisione a Genova di tre, o sei, soldati
tedeschi. Una rappresaglia completamente immotivata perché condotta contro
prigionieri inermi e in un’area lontanissima dal luogo degli attentati. A
Fossoli, in quell’alba d’estate andarono a morire insieme il cinquantenne
Giovanni Bretoni, truffatore doppiogiochista scaricato dai fascisti che nel
carcere di San Vittore si era presentato al prigioniero Indro Montanelli come
generale Della Rovere, incaricato da Badoglio di allestire una rete cospirativa
al Nord, e il vero inviato del governo del Sud, il capitano di fregata Jerzy Sas
Kulczycki. Il povero Bretoni nel dopoguerra fu depennato dall’elenco dei
martiri da Fossoli, ma è l’unico ucciso nel poligono di tiro a Carpi di cui
gli italiani si ricordino ancora, grazie al romanzo di Montanelli e alla
straordinaria interpretazione di Vittorio De Sica nel film di Roberto Rossellini.
Eccidi
Meina
(Novara)
Cefalonia
Fosse
Ardeatine
Fossoli
(Modena)
Sant'Anna di
Stazzema
Piazzale
Loreto
Marzabotto
Ventimiglia
Tra il 15 e il 23 settembre
1943 depredano e massacrano 54 ebrei sfollati
Tra il 22 e il 25 settembre 1943
vengono massacrati oltre cinquemila tra sottufficiali e soldati italiani
Il 24 marzo 1944 i nazisti
massacrano a Roma 335 persone come ritorsione all'attentato di via Rasella
Il 12 luglio 1944 vengono
fucilati 67 prigionieri
Il 12 agosto 1944 vengono uccisi
362 abitanti senza distinzione di sesso e di età
Il 10 agosto 1944 a Milano
vengono fucilati 15 prigionieri politici
Tra il 29 settembre e il 5
ottobre 1944 trucidati 771 civili
Il 7 dicembre 1944 furono
massacrati 12 civili, tra cui 4 donne e 3 bambini