Corriere della sera

Mayr - Il martirio di un soldato. Per fede non giurò a Hitler 

Tra pochi giorni sarà avviato il processo di canonizzazione per un altoatesino finito a Dachau dopo il coraggioso rifiuto Dirigente dell’Azione cattolica fu arruolato con la forza nelle SS

di Isabella Bossi Fedrigotti

Josef Mayr – Nusser, orfano di un piccolo viticultore sudtirolese, contabile di professione, sposato con un figlio, fece durante l’ultima guerra un gesto che solo in sette osarono fare nel corso dell’intero conflitto, sei austriaci più lui, italiano, nato nel 1910 in un maso tra le vigne a poche centinaia di metri da dove oggi c’è il casello dell’autostrada Bolzano nord. Arruolato a forza e in spregio alle convenzioni internazionali che vietavano alle potenze occupanti di intruppare uomini di un Paese occupato, nelle SS combattenti, si rifiutò di giurare fedeltà a Hitler firmando così la sua condanna. La grande storia, si sa, la fanno i grandi numeri, ma ce n’è un’altra, parallela ed esemplare, non sempre ricordata, fatta da quelli piccoli: ci fu solo Salvo D’Acquisto, ci furono solo dodici professori contro Mussolini e solo sette SS contro il Fürher. Peter Egger, professore di storia, filosofia e teologia nel seminario di Bressanone, i cui genitori furono intimi amici di Josef Mayr – Nusser (laddove Nusser è il nome del maso di famiglia aggiunto per distinguere questi Mayr dagli altri molti Mayr della zona), ha concluso, dopo dieci anni, il suo lavoro di postulatore e tra poche settimane consegnerà il risultato della ricerca commissionatagli dal vescovo di Bolzano che darà il via al processo di canonizzazione del mancato soldato SS, per i credenti un martire, per i laici un eroe. Martire ed eroe – ma anche questo è normale – che di sicuro non portava in viso i segni della sua grandezza: la foto, qui riprodotta, scattata nel giorno del suo matrimonio, mostra un uomo non forte, non duro, ma semplicemente ordinato, ravviato e sorridente. È suggestivo che la Chiesa si disponga a premiare un gesto che, a prima vista, appare di ribellione squisitamente civile. Sebbene la biografia spirituale composta da Egger sulla base di scritti, lettere, articoli di giornale e testimonianze di chi conobbe Josef, parli di un giovane uomo di solidissima fede, e sebbene quel 4 ottobre 1944, data del gran rifiuto, May – Nusser – dichiarasse che soltanto su Dio poteva giurare, il martire continua, infatti, ad avere altrettanto precise sembianze d’eroe. Eroismo estremo, il suo, culminato nella fatale dichiarazione antihitleriana, che però ebbe un lungo antefatto, meno vistoso ma non meno memorabile. In mezzo a una popolazione per la stragrande maggioranza filotedesca e filonazista, egli ricusò fin dal principio l’ideologia totalitaria, senza stancarsi di remare contro. Lo fece dall’interno dell’Azione cattolica della quale divenne un giovanissimo dirigente,, dall’interno della San Vincenzo e dall’interno dell’Andreas Hofer Bund, movimento di resistenza tirolese che difendeva i «non optanti», la piccola minoranza decisa a rimanere nella propria terra e a non trasferirsi nella Grande Germania come autorizzava l’accordo Mussolini – Hitler dell’aprile del ’39 e come a gran voce propagandava il Partito nazista sudtirolese (Vks), ancora clandestino ma non perciò meno attivo. Minoranza malvista e svillaneggiata, erano i cosiddetti «restanti», appunto, perché minoranza ma anche perché ritenuti meno patriottici, meno legati all’antica Heimat tedesca e, in fin dei conti, quasi complici dell’Italia di cui accettavano di essere sudditi. E l’Italia, quella fascista, che per quasi dieci anni aveva tenacemente tentato di sradicare dalla regione lingua, cultura e tradizioni, arrivando a proibire costumi, processioni, canti, cibi nonché l’insegnamento del tedesco, era considerata il massimo nemico. Ragion per cui gli optanti che scelsero di partire furono l’ottanta per cento della popolazione, un vero e proprio esodo formato soprattutto da operai, impiegati, insegnanti e professionisti di città (meno numerosi i contadini, che non vollero lasciare i campi), incalzati anche dalla diceria diffusa dai nazisti secondo la quale che restava sarebbe stato trasferito in Sud Italia o addirittura in Abissinia. Decisamente Josef Mayr andava controcorrente. Filoitaliano certo non era, anche se per ben due volte era stato richiamato dall’esercito regio in servizio di leva in Piemonte e Sardegna. Aborriva tuttavia il nazismo, di cui aveva colto assai presto l’ideologia feroce. In realtà, al pari di molti conterranei, sperava di ridiventare austriaco, come erano stati i suoi padri. E non è escluso che proprio a causa della sua battaglia per i «restanti», una volta che, dopo l’8 settembre, la Germania si fu annessa le province di Trento, Bolzano e Belluno riunite nella Zona d’operazione Prealpi, egli venne arruolato di forza e spedito a Koenitz in Polonia per l’addestramento. Tre settimane dopo l’arrivo, nel giorno del giuramento, tra lo spavento dei commilitoni giunse il suo «no», accolto dagli ufficiali prima con incredulità, poi con furore. A nulla servirono, per far ritrattare Mayr – Nusser, la mano pesante del caposquadra, specialista nell’arte della «sottomissione», e il carcere duro. Interrogato sulle ragioni che gli proibivano di giurare, Josef rispose: «Per motivi religiosi». «Dunque lei non è nazionalsocialista al cento per cento?». «No, non lo sono». Pressato dai camerati a rinunciare al rischiosissimo gesto, stancamente disse: «Se nessuno ha mai il coraggio di dire che è contrario alle loro idee, non cambierà mai nulla». Processato, fu condannato al campo di correzione di Dachau, ma gli atti furono distrutti, probabilmente perché era italiano e, quindi, non si sarebbe nemmeno dovuto trovare lì tra le Waffen SS. Morì di broncopolmonite, di dissenteria, di fame e di freddo nella notte del 24 febbraio ’45, in un carro bestiame, durante il trasferimento. Una guardia SS, Fritz Habicher, austriaco di Sankt Anton, che viaggiava con lui, ne ebbe pietà e, già in fin di vita, lo trascinò fino al lazzaretto di Erlangen, vicino a Norimberga, dove il treno si era fermato, ma il medico lo rimandò indietro dichiarando che stava benissimo. Se, come è probabile, la Chiesa accoglierà l’istanza di canonizzazione di Mayr – Nusser vuol dire che avrà riconosciuto in lui l’antico martire cristiano che, rifiutandosi di adorare gli dei pagani, viene gettato nell’arena dei leoni. Ma se anche l’iniziativa ecclesiastica è meritoria, i riconoscimenti arrivano comunque in ritardo, perché, tranne in una ristrettissima cerchia, la vita e la morte del piccolo contabile bolzanino sono state al lungo «insabbiate». Spiega Peter Egger: «Dopo la guerra e ancora negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, i sudtirolesi hanno fatto quadrato in funzione antitaliana, hanno deciso di non rivangare, di dimenticare il passato e, dunque, anche il solitario eroe del maso Nusser». Fu un gesuita di Monaco, padre Iblacher, che nel ’79 girò un documento sulla sua vita, a strappare Mayr – Nusser dall’oblio. Poi venne una biografia scritta dal giornalista Francesco Comina “Non giuro a Hitler”, ed. San Paolo). Adesso siamo alla vigilia del processo canonico.  La sua salma è stata traslata nella chiesa di San Giuseppe e Stella di Renon, sopra Bolzano. Intanto, al maso Nusser continua a vivere la famiglia del fratello. E Albert, figlio di Josef, che aveva due anni quando suo padre morì, è, invece, professore di musica elettronica a Firenze, Italia.    

Dal Corriere della sera, 2 febbraio 2002

sommario