Corriere della sera

Totalitarismi. Museo di orrori sovietici a Sachsenhausen. La Russia protesta

di Serena Zoli

No, non ci stiamo a «emettere sullo stesso piano i crimini del fascismo e gli atti delle forze sovietiche di occupazione». Qui si tenta ancora una volta di «sbiadire le atrocità dei criminali nazisti» e proprio in  un posto dove sono stati massacrati migliaia di nostri compatrioti. Giovedì, parlando all’agenzia Itar-Tass, Aleksandr Yakovenko, portavoce del ministero degli Esteri russo, era stato categorico, e ieri i russi non hanno presenziato all'apertura del museo Campo speciale sovietico 711». Non è il museo in sé che Mosca contesta, ma il luogo, da cui discende per loro un inaccettabile accostamento: Sachsenhausen. Un Lager. Ē vero, dopo che i russi lo liberarono, il 22 aprile 1945, vi installarono un loro campo di prigionia, quello appunto che il museo inaugurato ieri intende ricordare e condannare: fino al ’50  vi furono, infatti, rinchiuse 60.000 persone di cui ben 12.000 morirono di fame e di stenti. I russi hanno anche fornito parte dei documenti ora esposti. E Yakovenko ha ricordato che, stante la loro condanna delle repressioni staliniste, le autorità moscovite hanno già riabilitato 8.000 cittadini tedeschi, che furono ingiustamente condannati, ed altri lo saranno. Però a Sachsenhausen no, non è giusto creare questo museo: è «una delle testimonianze più terribili dei genocidio nazista». Né li placa, evidentemente, il fatto - anzi sembrerebbe rafforzare le loro ragioni - che in altra parte dell'ex Lager sia in corso un'esposizione sul massacro dei soldati sovietici catturati dopo l'offensiva lanciata da Hitler nel '41 contro l'Urss. Sachsenhausen, a 35 chilometri da Berlino, non è noto come Dachau o Buchenwald, altri Lager su suolo tedesco, forse perché liberato dai sovietici (e senza cinepresa) anziché dagli  americani, e perché poi ricadde oltre la «cortina di ferro». Ma fu uno dei primi a essere costruito, nel ’36, e come Dachau fu un campo di Classe I: dove si addestravano i nazisti poi destinati ad altri Lager. Come Dachau, portava sul cancello la scritta Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi, ed era un campo di sterminio, come appare dai resti di una camera a gas. Il Centro Wiesenthal di Los Angeles dichiara che qui furono uccise 30.000 persone e che la gran parte erano per l’appunto prigionieri di guerra russi.

Dal Corriere della sera, 10 dicembre 2001

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