Da Parigi ad Auschwitz, treno senza ritorno.
Il caso - Documenti e testimoni mettono sotto accusa le
Ferrovie per la loro collaborazione con i tedeschi nelle deportazioni. La “Société nationale” ottenne pagamenti per i
“convogli della morte” anche dopo la Liberazione
diMassimo Nava
PARIGI - «Le porte del vagone si aprivano. La luce del
giorno feriva gli occhi. Davanti a noi, una piccola stazione di provincia, con
scritta a caratteri gotici, Arbeit macht frei». Le testimonianze di
sopravvissuti ad Auschwitz, Dachau, Buchenwald hanno permesso di ricostruire
pianificazione e molte responsabilità dei campi di sterminio nazisti. Ma, fra i
buchi neri della storia, c'è quello dei «convogli di morte», ossia la
gestione del trasporto e dello smistamento dei prigionieri. Una lacuna che una
recente causa giudiziaria in corso alla corte federale di Brooklyn potrebbe
colmare, se i giudici accoglieranno l'istanza avanzata da un centinaio di
sopravvissuti per ottenere risarcimenti dalla Sncf, la compagnia ferroviaria
francese. Un procedimento per ora sospeso, in forza di una legge americana del
1976 che prevede la non perseguibilità di enti e società pubbliche straniere,
ma che potrebbe avere seguito, in considerazione di recenti sentenze che hanno
affermato il diritto alla compensazione e condannato banche e società svizzere
e tedesche a pagare. Al di là degli "sviluppi, ricerche, dibattiti e
polemiche attorno alla storia della Société nationale des chemins de fer
potrebbero riaprire in Francia le ferite del passato, così come avvenuto con il
processo a Maurice Papon, l'alto funzionario della Repubblica di Vichy,
processato e condannato tre anni fa da una corte di Bordeaux in cui affiorò la
cattiva coscienza dei francesi per la complicità con gli occupatori nazisti. E
quel processo si lega, sul piano storico, ai segreti delle Ferrovie. Se Papon,
come altri grandi e piccoli funzionari di Vichy, dava ordini di arresto e
deportazione, il sistema di trasporto dei prigionieri non poteva essere
indifferente o estraneo a una tragedia che coinvolse tremila cosiddetti «convogli
speciali» e settantacinquemila deportati dal suolo francese nei campi di
sterminio. La maggior parte ebrei, la quasi totalità sparita nel nulla. Ē la tesi dei sopravvissuti, i quali si avvalgono di
testimonianze e della documentazione della Fondation pour la mémoire de la déportation,
istituzione con sede a Parigi che, dal '96, cura l'edizione dei libri-memoriale
sulle deportazioni decise in applicazione di ordini dell'occupante nazista o del
governo di Vichy. «Le Ferrovie francesi collaborarono direttamente con il
comando nazista. Tutta l'infrastruttura era a disposizione dei tedeschi.
Dirigenti, funzionari e impiegati sapevano quello che facevano», ha detto uno
degli avvocati del collegio di difesa delle vittime. «La questione dei
risarcimenti è relativa. Nessuno ci ripagherà per i nostri cari e per il tempo
della paura. Ma sono francese ed è giusto che si sappia che cosa c’è stato
di orribile nella nostra storia», ha dichiarato nelle udienze preliminari
Nicole Silberkleit, 74 anni, il solo sopravvissuto di una famiglia di undici
persone finita ad Auschwitz nel 1944. «La questione più importante - ha detto
Serge Klasfeld, avvocato, presidente dell'Associazione dei figli dei deportati -
è la consapevolezza o meno della destinazione finale». Ancora più grave, sul
piano morale, è il fatto che, secondo Klasfeld, le Ferrovie francesi vennero
pagate per il servizio e presentarono fatture anche dopo la Liberazione. Dopo la
Liberazione, pochissime furono le epurazioni. Nel 1951, la Sncf ricevette la
Legion d'Onore in considerazione del lavoro di salvaguardia dell'impresa durante
l'occupazione. A sostegno dell'accusa, ci sono i ricordi dei
sopravvissuti, caricati sui treni a Bordeaux, Tolosa e Drancy, la cittadina a
nord di Parigi, considerata l'anticamera della morte, l'ultima stazione per il
viaggio di non ritorno. Recentemente, i sotterranei delle stazioni e dei centri
di raccolta hanno messo in evidenza graffiti e indicazioni riferite alle ultime
ore prima della partenza. Ai ricordi, si aggiungono i documenti originali che, nel linguaggio burocratico
delle disposizioni amministrative, dimostrerebbero il ruolo delle Ferrovie
francesi, oltre all'obbedienza di centinaia di dipendenti della società. La
scoperta di tracce documentali si deve a Kurt Werner Schaechter, figlio di
deportati, che anni fa riuscì a fotocopiare dodicimila pratiche amministrative
custodite negli archivi di Tolosa e ancora coperte dal segreto. Un documento del consiglio d'amministrazione afferma ad
esempio che il sistema ferroviario in zona d'occupazione «è sotto il comando
tedesco competente per i trasporti» e che il comando è rappresentato a Parigi
dal generale tedesco Kohl e dal delegato francese, colonnello Paquin. L'ordine
del giorno 36, del 18 agosto 1940, afferma: «La direzione generale richiama
l'attenzione del personale sul dovere assoluto di tutti gli agenti, di qualsiasi
grado, di applicare in totale lealtà gli obblighi previsti» e ricorda che «il
segreto più assoluto deve essere osservato sui trasporti militari tedeschi come
su tutti i trasporti effettuati su richieste delle autorità tedesche». Un
altro ordine minaccia «le sanzioni più severe previste dal consiglio di guerra
tedesco per quanti favoriscano l'evasione di prigionieri di guerra francesi» e
un altro ancora impartisce che «tutte le manifestazioni a carattere comunista
devono essere immediatamente segnalate». Nell'agosto del 1941, il direttore generale delle Ferrovie presenta al comando tedesco
un primo bilancio della repressione: «Le autorità francesi hanno arrestato e
inviato nei campi 230 agenti colpevoli di attività comunista e sospeso dal servizio e segnalato alla polizia altri 320 agenti.
In tutto oltre 600 agenti sono stati eliminati». Inoltre, veniva annunciata la
costituzione di linee speciali per non intralciare il normale traffico
passeggeri e commerciale. Sono sufficienti indizi di singole colpevolezze e di
responsabilità aziendale collettiva? Sull'argomento si è espressa anche la
dirigenza attuale della Sncf, durante una conferenza convocata l'anno scorso
all'Assemblea nazionale. Il presidente, Luis Gallois, affermò in
quell'occasione il «dovere di un'impresa pubblica alla memoria, la cui vita e
la cui storia sono intimamente legate a quelle della collettività nazionale».
L’accertamento della verità, ha ricordato il presidente, non deve però far
dimenticare un'altra storia ampiamente documentata: le sofferenze, gli atti di
eroismo, sabotaggio e resistenza di numerosi fra i circa 500 mila impiegati e
dirigenti delle Ferrovie.