Corriere della sera
Auschwitz. Diario di un corvo nero. Testimoni - Riaffiora dopo decenni in Israele l'orrore assoluto, nel ricordo di un ebreo obbligato a lavorare nel crematorio. La voce di una vittima dimenticata
di
Il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, l'inferno in
terra, ha inghiottito vite e con esse nomi e storie, intere famiglie di ebrei.
L'orrore prodotto dagli uomini contro gli uomini ha superato ogni possibile
immaginazione e tuttavia, proprio questo centro dell'esperienza dello
sterminio sembrava fosse destinato, per sempre, al silenzio. Lo ha scritto Primo
Levi: «Non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. Chi ha visto la
Gorgone non è tornato per raccontare». Lo hanno gridato ad alta voce tutti
coloro che, sopravvissuti al campo di lavoro di Auschwitz, hanno anche soltanto
intravisto quelle lunghe file di uomini, donne e bambini diretti alle camere a
gas. «Siamo un po' come i personaggi pirandelliani, in cerca di un autore
capace di raccontare l'inferno - scrivono Simon Laks e René Coudy, in un
loro diario del 1948, di ritorno dal lager - ma siamo sicuri che non ne
troveremo mai uno». Ebbene, oggi questo centro indicibile dell'esperienza
estrema dello sterminio ha trovato il suo cantore: Salmen Gradowski; un giovane
ebreo sionista nato nel 1910 a Suwalki (Città polacca
al confine con la Lituania) che venne deportato ad Auschwitz-Birkenau nel
dicembre del 1942, dove fu subito selezionato per entrare a fare parte del Sonderkommando,
la squadra speciale di detenuti, per lo più ebrei, obbligati a compiere il
loro lavoro all'interno dei crematori e delle camere a gas. Insieme a lui altri
giovani tra i diciotto e i
venticinque anni, strappati alle loro famiglie, rasati, tatuati, frustati e
poi portati a suon di bastonate nella zona segreta dove scoprivano
improvvisamente tutto: fosse comuni, montagne di cadaveri aggrovigliati e lividi
che irrompono dalle porte delle camere a gas, le fauci delle fiamme. Corpi straziati tra i quali riconoscevano la madre, la sorella, il
figlio, gli amici o i conoscenti arrivati al campo con loro da poche ore. Il giovane Gradowski dapprima si dispera, come altri che non
sopportando quell'orrore si gettano nel fuoco dei crematori vivi, ma decide di
vivere e testimoniare. Così come racconta il suo compagno di prigionia Shlomo
Dragon, «Quando il tempo del lavoro lascia spazio al riposo, diventa un
cronista scrupoloso della catastrofe». Il manoscritto di cui pochissimi
compagni di sventura di Gradowski erano al corrente e che «descrive l'intero
processo di morte» verrà sepolto tra le ceneri e la terra del crematorio IV,
poco prima che lo stesso autore
guidando la rivolta contro i nazisti, venga ucciso in quell'unico atto di
resistenza armata che il campo di sterminio di Auschwitz conosca. Quel testo «sacro»
come lo definisce Elie Wiesel, sarà ritrovato dopo la guerra da Haim Wollerman,
un ebreo polacco trasferitosi in Israele nel 1947, e da quel momento nessuno ne
saprà più nulla. La voce del Sonderkommando, per molti anni, sarà
considerata come la parola dei fratelli che hanno collaborato con i nazisti: «i
corvi neri del crematorio». Così, dopo il rifiuto di diversi editori a
pubblicarne il testo, Wollerman decide di stamparlo
in poche copie a sue spese, per realizzare un impegno morale: restituire
al mondo il racconto dell'inferno. Ma ancora una volta il documento di Gradowski,
pubblicato a Tel Aviv nel 1977 scompare tra gli archivi di Yad Vashem e di
qualche altro museo e non raggiunge il pubblico. Oggi, dopo quasi sessant'anni di silenzio, il desiderio dell'autore di
far conoscere a tutti quel che è accaduto nella terra di Birkenau si realizza.
L'oblio è spezzato. Salmen Gradowski, come i suoi compagni del Sonderkommando vissuti nella morte e rimasti per sempre ancorati alla comunità umana, può
di nuovo essere un uomo tra gli uomini, e compiere la sua missione estrema:
dirci del male assoluto, del bisogno d'altri uomini di infliggere
violenza, ma anche della volontà di vivere e di amare.
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