Testimoni - Le memorie dell’aristocratica tedesca
deportata e separata dai suoi perché figlia di uno dei responsabili
dell’attentato al Führer del 1944
diSergio Romano
Nella sua grande biografia, apparsa ora in italiano presso
Carocci, Pierre Milza racconta che l'ultimo viaggio di Mussolini in Germania
cominciò il 15 luglio del 1944 a bordo di un treno speciale tedesco. Per tre
giorni passò in rassegna tre divisioni della Repubblica Sociale (Italia, San
Marco e Littoria) e si rimise in viaggio per la «tana del lupo», nella Prussia
Orientale, dove Hitler aveva stabilito il suo comando supremo. «Mentre si
avvicinava al quartier generale del Führer - continua Milza - il treno si fermò
improvvisamente in aperta campagna. Porte e finestrini furono rapidamente
chiusi. Vennero tirate le tende e
fu chiesto agli ufficiali italiani di rimanere al loro posto».
Quando ripresero il viaggio e giunsero finalmente alla stazione di Görlitz,
Mussolini vide sulla banchina Hitler assieme a Ribbentrop,
Himmler Dönitz, Keitel e Bormann. Nonostante il caldo,
indossava un cappotto nero, era pallido, portava il braccio destro al collo,
aveva i capelli bruciacchiati. «Mi hanno tirato addosso - spiegò a
Mussolini - una macchina infernale ». La «macchina infernale»
era una bomba a orologeria che il colonnello Claus von Stauffenberg aveva
nascosto in una borsa e lasciato, prima di uscire dal bunker, accanto al tavolo
dove Hitler stava presiedendo una riunione. L'attentato uccise alcuni ufficiali
e ne ferì altri, ma risparmiò Hitler che dichiarò alla radio, il giorno
stesso, di essere sopravvissuto grazie alla «divina provvidenza». La vendetta fu fulminea e feroce. Stauffenberg venne
arrestato con altri tre ufficiali e immediatamente fucilato. Il generale Beek,
leader dell'opposizione militare, si suicidò. Friedrich Goerdeler, già sindaco
di Lipsia e designato alla successione di Hitler, fu impiccato il 2 febbraio
1945. Molti altri, nel frattempo, erano stati impiccati, fucilati, decapitati o
sgozzati con i ganci di una macelleria mentre le SS registravano con una
macchina da presa la loro morte. Morì in quei mesi il Gotha del l'esercito tedesco e della
nobiltà prussiana, ufficiali e funzionari che si erano angosciosamente
dibattuti per molti anni tra l'amor di patria e la ripugnanza morale che il
regime nazista suscitava nelle loro coscienze. Morì fra gli altri un uomo,
Ulrich von Hassell, che era stato ambasciatore di Germania a Roma sino al 1938 e
aveva conservato con l'Italia forti legami familiari e affettivi. Quando gli
Editori Riuniti, nel 1996, pubblicarono una nuova edizione dei suoi «diari segreti»,
i lettori scoprirono di quale dignità, coraggio, sentimento religioso fosse duramente impastata la resistenza dell'«altra Germania» al regime
nazista. Il forte legame di von Hassell con l'Italia era una figlia,
Fey, sposata con un giovane ufficiale, Detalmo Pirzio Biroli, e madre di due
bambini. Dopo l'8 settembre del 1943 Detalmo era rimasto a Roma, dove si era
unito a un gruppo della Resistenza, e Fey, con i bambini, custodiva la grande
villa di famiglia a Brazzà, in Friuli,, che era stata in gran parte occupata da
un distaccamento tedesco. Andò tutto bene sino al giorno dell'autunno 1944 in
cui un ufficiale le annunciò brutalmente che suo padre era stato giustiziato e
che lei sarebbe stata sottoposta, da quel momento, a una rigorosa sorveglianza.
Qualche giorno dopo la sorveglianza divenne prigionia. Trasportata a Innsbruck
con i figli, Fey fu separata, dai bambini e gettata in prigione. Comincia
da allora un duplice dramma: dei bambini, segretamente assegnati a uno degli
ospizi per l'infanzia in cui il regime nazista, come quello di Stalin, custodiva
i figli dei suoi nemici, e della madre, trascinata attraverso alcuni fra i
maggiori campi di concentramento nazisti, da Stutthof a Buchenwald. Fey von
Hassell, che oggi ha 83 anni, ha raccontato la sua giovinezza in Italia e la
storia di quei mesi in un libro («Storia incredibile») che fu pubblicato da
noi nel 1987 e tradotto da allora in Francia, Germania, Inghilterra, Stati
Uniti. Riviste e ampliate, quelle memorie riappaiono ora con un nuovo titolo («I
figli strappati») e una bella prefazione di Giuliano Vassalli. Non sono
soltanto un libro di ricordi. Sono anche uno straordinario quadro dei regime
nazista nei mesi della sua agonia. Dopo alcuni giorni di dura prigione
a Innsbruck, Fey si vide improvvisamente promossa, con sua grande sorpresa, al
rango di «prigioniera di riguardo» e alloggiata per qualche settimana in un
isolato albergo della Slesia. Non appena vi mise piede, dopo avere attraversato
in treno un Paese spettrale e devastato dai bombardamenti, scoprì di essere
finita in una sorta di club composto dai familiari di coloro che
avevano partecipato alla congiura del 20 luglio. Ma, dopo qualche settimana, il
gruppo venne bruscamente sloggiato e trasferito nelle baracche del campo di
concentramento di Stutthof. La storia diventa da questo momento tragicamente surreale. I
prigionieri sono uomini e donne della migliore società tedesca, decisi a
difendere la loro dignità umana e a conservare, per quanto possibile, i valori
e le tradizioni civili della società a cui appartengono. Il trattamento dei
loro carcerieri è, a seconda dei casi, freddamente cortese o brutalmente
sprezzante e minaccioso. Vi sono momenti in cui le SS si comportano con spietata
durezza, altri in cui danno prova di una certa premura per la sorte dei loro
prigionieri. Dietro questa ambiguità vi è probabilmente l'ambiguità del
regime. Hitler vuole vendicarsi dei
suoi nemici e coinvolgere nella vendetta i loro familiari. Himmler li considera
un bottino di guerra, da usare e scambiare al momento opportuno. Che questa fosse la strategia del comandante della Gestapo
appare evidente nei mesi seguenti. Mentre le truppe sovietiche occupano la
Prussia orientale e avanzano verso il cuore della Germania, i prigionieri
vengono trasferiti sempre più frettolosamente da un campo all'altro e uniti
lungo la strada ad altri gruppi. Nei giorni della grande rotta tedesca, emergono
così dalla clausura in cui erano stati custoditi alcuni grandi fantasmi
europei: Léon Blum, primo ministro francese all'epoca del Fronte popolare, Kurt
von Schuschnigg, cancelliere austriaco sino all'annessione tedesca, i ministri
dell'ultimo governo ungherese prima del colpo di mano con cui i tedeschi si
erano impadroniti del Paese, Hjalmar Schacht, «mago» della finanza tedesca,
Fritz Thyssen, grande industriale dell'acciaio, Miklos Horthy, figlio
dell'Ammiraglio Reggente, Mario Badoglio, figlio dei maresciallo italiano, il
pastore Martiri Niemüller, leader della resistenza protestante, il vescovo di
Clermont-Ferrand, il vescovo di Monaco, il principe Xavier di Bourbon-Parme, il
principe Filippo d'Assia, ancora ignaro della tragica sorte toccata alla moglie,
Mafalda di Savoia. Tutti insieme, sospinti da un carcere all'altro, i
prigionieri di Himmler attraversarono un Paese ammutolito dal regime di terrore
con cui il Reich nazista reprimeva qualsiasi manifestazione di malumore o
dissenso. Nel momento in cui la sconfitta fu evidente, la guerra di Hitler
divenne anzitutto una guerra contro il popolo tedesco. L’odissea si concluse al di qua del Brennero, dove la
carovana giunse alla fine di aprile del 1945. Sembra che le SS, quando
il bottino di Himmler era divenuto inutile, si apprestassero a uccidere i loro
prigionieri. Furono salvati da un reparto della Wehrmacht, finalmente libero di
ribellarsi agli ordini di Hitler. Qualche giorno dopo, Fey ritrovò Detalmo e si
mise con lui alla ricerca dei figli perduti. Vennero ritrovati in un ospizio del
Tirolo dove nessuno ormai conosceva la loro origine. Pochi mesi dopo riapparvero
in Svizzera, dove erano stati nascosti, i diari
di von Hassell e furono pubblicati con il titolo «Vom anderen Deutschland» («Da
un'altra Germania»). Provenivano dalla Germania di cui erano stati cittadini i
congiurati del 20 luglio e i prigionieri di Himmler.