Il nazismo  e i campi di concentramento

«Plus jamais ça»

mostra fotografica e documentale

testi - Il Museo Cervi e la Resistenza nelle campagne: i sette fratelli Cervi fra emancipazione, lotta, solidarietà e senso della responsabilità civile

a cura di Paola Varesi del Museo Cervi

Storia del Museo Cervi

 

Il Museo Cervi nasce come sviluppo della casa colonica dei Campirossi di Gattatico, nella bassa pianura reggiana, dove la famiglia Cervi (il padre Alcide, la madre Genoeffa Cocconi e i nove figli Gelindo, Antenore, Diomira, Aldo, Agostino, Ferdinando, Rina, Ovidio, Ettore) si stabilisce come affittuaria all'inizio degli anni '30 del secolo scorso. La trasformazione della casa contadina in Museo avviene già nell'immediato dopoguerra, a partire dalla raccolta degli oggetti di vita e di lavoro, dei documenti che la famiglia conserva fin dagli anni precedenti alla guerra e di quelli donati successivamente. Luogo di pellegrinaggio prima ancora che luogo di memoria, Casa Cervi è meta di numerosissime visite già dall'inizio degli anni '50 del secolo scorso, quando è ancora abitata dalla famiglia. Sono spesso gruppi organizzati (e fra questi sono frequenti le comitive delle A.N.P.I. - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - quelle dell'Unione Donne Italiane, dei Pionieri e quelle organizzate dal P.C.I.), ma anche singoli visitatori che vi giungono per tributare un omaggio - attraverso la semplice visita e molto spesso anche attraverso il dono di un oggetto - alla vicenda dei sette fratelli fucilati per mano dei fascisti insieme a Quarto Camurri all'alba del 28 dicembre 1943. Ad Alcide Cervi (papà Cervi come verrà poi da tutti chiamato, a significare quasi un padre della patria) si deve una primissima formalizzazione della trasformazione di Casa Cervi in Museo: in una lettera del 1964 al Sindaco di Gattatico e al Presidente della Provincia di Reggio Emilia, Alcide confessa, infatti, di avere "molto pensato, in questi ultimi tempi, al futuro della raccolta dei ricordi e delle testimonianze dell'olocausto dei miei figli, che mi hanno nel corso di questi ultimi anni validamente sorretto. Andrà disperso, ad un certo momento - mi sono chiesto - quanto raccolto e conservato in tanti anni di paziente lavoro? Non rimarrà traccia concreta che indichi ai giovani il cammino percorso dai miei figli ed il significato del loro sacrificio?" Testimone infaticabile della vicenda dei suoi sette figli, sopravvissuto anche alla morte della moglie Genoeffa Cocconi, avvenuta nel novembre del 1944 per il dolore della perdita subita, Alcide Cervi racconta la sua storia con le modalità orali tipiche della cultura contadina, rendendosi presto conto della necessità di saldare la testimonianza al luogo, il ricordo all'oggetto che evoca, la parola al documento: in altri termini della necessità di un 'luogo' come possibile riconciliazione fra storia e memoria e come garanzia della permanenza della memoria stessa. Intuisce anche che attraverso il riconoscimento e l'azione delle Istituzioni la Casa da luogo privato, custode di una memoria che rischia di essere 'solipsistica', può diventare luogo dell'esercizio pubblico, e soprattutto condiviso, di quella stessa memoria. La volontà di Alcide Cervi contribuisce così a determinare il futuro del Museo, nel senso di un luogo fortemente ancorato alle Istituzioni e al territorio: sarà la stessa famiglia infatti, nel 1975, a decidere di conferire il podere e la casa - dei quali nel frattempo era divenuta proprietaria a seguito di un mutuo però mai estinto - alla Provincia di Reggio Emilia. Si avvia così un percorso che non condiziona la natura spontanea del Museo, che nasce e si sviluppa senza un preciso progetto, per volontà popolare: caso singolare e piuttosto unico nel panorama museale italiano, che rende il Museo Cervi più vivo e più libero, nel tempo, di tante altre strutture analoghe. Il pellegrinaggio delle visite contribuisce, infatti, ad incrementare il patrimonio originario conservato presso Casa Cervi con le centinaia di doni portati dai visitatori, sorta di laicissimi ex voto che si aggiungono, sedimentandosi nel tempo, ai documenti dell'attività antifascista dei Cervi e agli oggetti di vita e di lavoro. Ma contribuisce anche - insieme ad alcune tappe pubbliche fondamentali - a consolidare il mito dei Cervi, e a fare della loro vicenda un forte momento simbolico nella costruzione della memoria collettiva del dopoguerra. C'è qui una precisa volontà sostenuta anche dall'A.N.P.I. Nazionale e dal Partito Comunista Italiano, che faranno inoltre di Alcide Cervi e della sua famiglia uno dei punti di riferimento per la formazione dei militanti comunisti e socialisti e di tutti i democratici. L’acquisto del podere da parte della Provincia di Reggio Emilia e la costituzione nel 1972 dell'Istituto Alcide Cervi "per la storia contemporanea, per la storia dell'agricoltura, dei movimenti contadini, dell'antifascismo e della Resistenza nelle campagne", secondo la volontà della stessa Provincia, del Comune di Gattatico, dell'A.N.P.I. Nazionale, della Alleanza Nazionale dei Contadini (oggi Confederazione Italiana Agricoltori), avviene nel momento in cui la memoria della Resistenza si trasferisce dalla 'dimensione evocativa' dei monumenti a quella più razionale, narrativa, ma anche fruibile dei Musei. Casa Cervi comincia così a organizzare i suoi spazi nella prospettiva di una fruizione organizzata: iniziano i lavori di ampliamento della struttura, mentre viene creata un'apposita saletta per l'accoglienza del pubblico. Insieme ad Alcide e ai familiari che ancora continuano ad abitare nella Casa, sono i volontari che si occupano di illustrare la storia, tramandando nello stesso tempo la loro personale esperienza del contatto con la famiglia. Solo nel 2001 si arriva all'allestimento di un percorso compiuto, che comprende per la prima volta tutti gli spazi di Casa Cervi, li qualifica ai fini delle esigenze espositive, raccontando negli ambienti di vita e di lavoro le vicende della famiglia Cervi e insieme il contesto in cui esse maturano: la storia delle campagne italiane e dei movimenti contadini nel Novecento; la guerra, l'antifascismo e la Resistenza; il dopoguerra e la costruzione della memoria repubblicana e democratica, in un dialogo continuo fra dimensione privata e pubblica, dove anche le memorie familiari cercano una loro possibile composizione. Casa Cervi si trasforma così in moderno "Museo per la storia dei movimenti contadini, dell'antifascismo e della Resistenza nelle campagne".

 

La famiglia Cervi: una precoce scelta di libertà (fatta di lavoro, cultura e sacrificio).

 

La vicenda della famiglia Cervi, della sua terra, della sua Casa è intrecciata con la mitologia della Resistenza, rappresentandone peraltro un'irriducibile eccezione per la dimensione civile della lotta al fascismo. Nasce dalla terra, e nella terra ritrova sempre la sua ragion d'essere. Non c'è confine, in questa storia contadina e antifascista, tra la lotta sociale e quella ideale, tra il percorso di emancipazione nel lavoro e la ribellione al pensiero unico imposto dal fascismo. La parabola dei Cervi affonda le radici nella militanza politica nel partito popolare e nei movimenti cattolici giovanili. Coniuga fin da subito la concretezza del padre con la spiritualità della madre, in un'originale sintesi di dedizione al lavoro e buona pratica della lettura, della capacità di immaginare un avvenire diverso per le classi rurali. Testimoni della nascita del fascismo, i Cervi assistono alla caduta dei propri punti di riferimento: il loro campo d'azione politico, come il retroterra sociale delle campagne, sono spazzati via, come tutto ciò che non si adegua in fretta alla nuova Italia. Nella famiglia, però, c'è un patrimonio che non si può sradicare: la costante tensione verso il progresso, per essere artefici del proprio destino. Insieme a questo, c'è l'inquietudine di una coscienza familiare costruita sulla libertà, alla costante ricerca di nuovi punti di riferimento per dare voce a questa domanda di autodeterminazione. È Aldo Cervi il primo ad incontrare la rete clandestina comunista. È un credo forte, assoluto, che si nutre facilmente del mito della lontana Unione Sovietica, costruito su una pratica rivoluzionaria che ne consente la sopravvivenza. Le parole di Aldo scaldano gli animi dei fratelli e sono ascoltate con attenzione dal papà. Comincia il progressivo allontanamento dalla fede cristiana per molti membri della famiglia; non così per Alcide e Genoeffa che mantengono un forte legame con l'identità cattolica. Il nuovo messaggio ideale, tuttavia, non muta l'agenda sociale dei Cervi. Poco dopo, anzi, la famiglia farà un passo decisivo nella propria storia di 'imprenditori agricoli', prendendo in affitto un grande podere ai Campi rossi di Gattatico. Inizia così l'avventura di innovazione della famiglia Cervi. La casa è grande, la terra è buona, ma necessita di una poderosa trasformazione, che i Cervi iniziano con grande entusiasmo e fatica. Ma l'Italia del 1934 non è la patria delle opportunità per chi cerca una propria via al progresso. Non lo è certo per i Cervi, che non si piegano e non si adeguano, mentre il fascismo vive l'apice del suo consenso. È questa la svolta decisiva per comprendere la portata della scelta dei Cervi: nel momento del massimo 'sforzo produttivo', la famiglia persegue, con altrettanta tenacia, la costruzione di una rete antifascista clandestina: non si potrà mai essere contadini padroni delle proprie fatiche, senza essere uomini liberi. Il percorso di libertà dei Cervi ha una cifra precisa: la cultura. Così nel lavoro come nella politica, alla scoperta di una cittadinanza diversa da quella imposta dal fascismo. Non è un caso che il primo atto veramente rivoluzionario dei Cervi sia la costituzione di una biblioteca popolare, insieme all'embrionale cellula clandestina comunista di Campegine. È un episodio dirimente per afferrare il senso dell’ ‘antifascismo umanistico’ dei Cervi, che non a caso affermano, in uno dei primi volantini scritti a mano da Aldo, "studiate se volete capire la nuova idea". La resistenza di Casa Cervi è stata essenzialmente disarmata, fatta di libri, volantini e stretto rapporto con i contadini della zona. Più in generale, nel passaggio dalla stalla alla piazza, matura attorno ai Cervi la consapevolezza di tutto un territorio che un'altra via poteva essere praticata. A tutti gli effetti, il percorso antifascista dei Cervi, giunto fino ai primordi della lotta partigiana, è un tragitto anomalo e originale. Pur elaborando sul campo risposte di grande respiro morale, in nessuno modo sono intellettuali o 'antifascisti di professione'; il loro opporsi al regime è un naturale portato del loro modo di intendere il lavoro contadino, la comunità. La stessa lotta partigiana (questa sì armata) che i Cervi inaugurano nella Provincia di Reggio Emilia, con la formazione della prima banda, contrasta con gli ordini di scuderia. Ancora una volta non si piegano: la cautela dei dirigenti è per loro incomprensibile, ormai troppo esposti e troppo motivati per tirarsi indietro dopo l'8 settembre 1943. La cascina è già in piena attività come casa di latitanza, e le incognite tattiche della lotta partigiana non ancora organizzata sono per loro irrilevanti. L’epilogo tragico della famiglia partigiana più celebre d'Italia è noto a tutti. Catturati nella loro casa insieme ai compagni di lotta, ai rifugiati stranieri e all'anziano padre, la loro fine è segnata. Si consumerà un mese dopo, mostrando per la prima volta il volto della Repubblica Sociale a Reggio Emilia, come risposta ad un omicidio politico. La fucilazione dei Cervi (avvenuta il 28 dicembre 1943) è un paradigma tutto fascista di risposta alla Resistenza: al Poligono di Tiro di Reggio Emilia va in scena una drammatica pagina di guerra civile, così come era accaduto durante la cattura a Casa Cervi un mese prima ad opera di soli italiani. Una storia di straordinaria normalità civile in tempi abnormi, la cui modernità è sopravvissuta anche alla vulgata resistenziale, che ha tramandato i Cervi come eroi partigiani, medaglie d'argento e icone della tradizione ideale comunista. E che ancora oggi, distillata dai cascami dell'uso pubblico, conserva una genuina forza ideale di irriducibile umanità e cittadinanza consapevole.

 

Il tempo, la storia e la memoria: i percorsi di apprendimento didattico-educativo.

 

Dalla sezione "Queste mura cadranno" raccolta in I miei sette figli di Alcide Cervi, il presagio annunciato si sta materializzando: "... e alla sera si avverò la mia profezia. Altro terremoto, e le mura del carcere crollano in mezzo a un iradiddio di schianto e di polvere…'. Sono parole riconducibili al periodo detentivo, che Alcide scontò insieme ai figli nel carcere di San Tomaso (Reggio Emilia) alla fine del 1943; su questa visione si apre l'attualità del nostro lavoro. Intorno alla metafora del muro prende vita l'operato di questo luogo; divenuto oggi per mano di Papà Cervi e la sua famiglia prima, e l'Istituto che reca il suo nome poi, un vero fronte dialettico dell'incontro. Voce che suona come un invito nel nostro lavoro ad operare secondo una prospettiva aperta e di confronto, dove il confine è rappresentato dal luogo del dialogo e della costruzione; dove la pluralità dei soggetti esercita diritto di esistenza e dove l'educazione alla conoscenza e l'esercizio allo spirito critico fanno di questa esperienza un momento formativo. Qui, in questa Casa, di persone ne sono passate tante; chi cercava rifugio, chi ospitalità, chi per sete di conoscenza e chi per desiderio di capire e conoscere. I giovani da sempre rappresentano per lo spirito di questa Casa l'ospite privilegiato, dove instillare quel 'seme' di conoscenza di cui parlava Papà Cervi: è l'ideale nella testa dell'uomo. Parlare alle giovani generazioni di pace per la costruzione democratica della società nel rispetto delle differenze, ascoltare e capire le nuove parole costituisce, ancor oggi, la vera poetica dell'oralità a fondamento della tradizione di questa famiglia. Conoscere la Casa-Museo attraverso il percorso dei Campi rossi offre spunti, riflessioni, sguardi, esercizi ed approfondimenti per vivere nel luogo: il luogo della storia. Sentire e far scoprire il luogo attraverso una personale ed intima vicinanza con questa dimensione pare essere una pratica che porta ad una consapevolezza critica per saper leggere, riconoscere ed interpretare con giudizio critico i fatti e gli eventi. Giocare sulla sfera emozionale e partecipata dei giovani e degli studenti attraverso un contesto di fondo, affrontando le tematiche inerenti la storia del Novecento, la questione agraria, la nascita e l'organizzazione della rete partigiana, il nascere della Repubblica democratica dall'unificazione d'Italia ad oggi, risulta molto più accattivante ed avvincente. L’interazione che si è venuta costruendo e consolidando nel tempo tra l'operatore ed il suo interlocutore-scuola viene oggi sempre più fondata su questa relazione di apertura e confronto nella lettura consapevole dei fatti e dei documenti. Una lezione sempre aperta ad accogliere il divenire storico nelle sue fasi dialettiche, esperibile quindi attraverso discussioni sull'attualità nel confronto diretto tra le parti. Un lavoro che si costruisce ogni giorno nella relazione tra chi la storia l'ha scritta e chi la legge in un percorso che, almeno in parte, ci consente di poter interpretare e sentire questo farsi della storia. È attraverso la sperimentazione attiva che crediamo si fondino le basi educative e cognitive di un sapere importante per la formazione di quel senso critico necessario alla società degli individui, i cittadini del presente. Fondiamo in questo 'paesaggio' storico ed emozionale la tela su cui quotidianamente tessiamo il nostro lavoro. Un proposito educativo che mira soprattutto, più che a dare risposte, a porre domande, a sollevare questioni, a suggerire ed interrogare i fatti. La didattica oggi si ritrova a dover assolvere ad una nuova funzione, quella di parlare e comunicare ad una pluralità di individui: i cittadini, la scuola, i giovani, gli stranieri, gli adulti. La necessità di un nuovo codice comunicativo ci impone continue revisioni.

Le attività vengono quindi proposte per grado di approfondimento e per età; la modalità della visita guidata si accompagna sempre ad un'attività di approfondimento laboratori aie variabile per tema.

I filoni di lavoro si articolano su attività differenziate:

·          conoscenza della condizione dei contadini attraverso la vicenda dei Cervi nel laboratorio teatrale;

·          esperienze laboratoriali sui documenti d'archivio e sulle fonti;

·          incontro-intervista con ex-partigiani;

·          mostre foto-tematiche di approfondimento e laboratorio collegato;

·          esperienza multimediale della quadrisfera;

·          sintesi di visita con il documentario Casa-Cervi che ricostruisce cronologicamente le principali tappe della vicenda familiare;

·          esperienze laboratoriali nel parco agro-ambientale per ricostruire attraverso la relazione uomo-ambiente le fasi e le evoluzioni del nostro paesaggio.

Ancora oggi l'esempio democratico della Famiglia Cervi costituisce la chiave di volta del nostro lavoro.

 

Da Tempi di scelta. Storie di 4 luoghi. Guida didattica, Museo Cervi, Fondazione ex Campo Fossoli, Fondazione Villa Emma, Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole. Progetto di Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna e Anne Frank House, Amsterdam.

sommario