testi - Il museo Cervi
UNA FAMIGLIA TRA STORIA E MEMORIA
Da Valle Re ai Campi Rossi
Ugo Benassi
Presidente Istituto Alcide Cervi
Presentazione
Abbiamo pensato di riprendere la numerazione degli "Annali", che risalgono al 1979 e attraversano una fitta ragnatela di studi e ricerche di storia agraria e lotte contadine, con un fascicolo quanto meno insolito, o inusuale, ma destinato, con ogni probabilità, a emulazioni: un audiovisivo sulla vicenda dei Cervi (regista Jeris Fochi, testo di Franco Boiardi e Antonio Zambonelli, realizzazione video di Mediavision), in successione e nel medesimo formato della rivista. Un prodotto diverso, a scorrere le pagine e i vari fascicoli degli "Annali", ma tutt'altro che estraneo alloro spirito informatore. La rivista, giunta al suo ventiduesimo anno, si può dire, senza esitazioni, che sia costantemente rimasta in primo piano per la serietà degli scavi critici, per la qualità e l'originalità degli apporti, per la sicura notorietà dei suoi collaboratori (tra i quali è giusto ricordare Gaetano Arfé, Alberto Caracciolo, Franco Cazzola, Luciano Cafagna, Guido Crainz, Franco Della Peruta, Gabriele De Rosa, Luigi Ganapini, Roberto Finzi, Massimo Legnani, Giuseppe Giarrizzo, Pasquale Villani, Rosario Villari, Francesco Renda, Antonio Parisella, per rimanere a qualche esempio). Gli "Annali" hanno saputo tenere il campo sino ad oggi e riprenderanno da oggi ad uscire regolarmente, con la sorpresa di questo audiovisivo, "Casa Cervi": uno stacco né presuntuoso, né incoerente: una finestra europea sull'antifascismo nelle campagne, sul cammino doloroso e impervio per la riconquista della democrazia, sui nuovi approdi della "modernizzazione". "Casa Cervi", del resto, è il punto d'arrivo di un tenace lavoro dell'Istituto per trasformare la vecchia residenza contadina di Alcide e Genoveffa Cervi e dei loro sette figli in un vero e proprio Museo dell'antifascismo e della resistenza nelle campagne, luogo d'incontro, di conferma di sentimenti d'appartenenza, di condivisione di scelte di campo, pietra miliare di un percorso storico emblematico nella lotta di emancipazione del mondo contadino, ma anche, con l'assunzione di impegni, centro di nuove elaborazioni e riflessioni, di altri studi e confronti: un Istituto in grado di produrre cultura, di sviluppare iniziative, convegni, colloqui sulle campagne che, in qualche modo, ricordino i "colloqui mediterranei" di Giorgio La Pira o i vecchi convegni de "Il Mondo" o le "tavole rotonde" che hanno segnato l'esperienza, in passato, di riviste di grido. Si tratta di dar vita a nuovi dialoghi, a più vasti ripensamenti, a riesami in connessione con le trasformazioni che hanno investito la società e che presuppongono adeguamenti istituzionali e riforme. Il Museo Cervi, ristrutturato, arricchito di nuovi spazi e di nuovi strumenti, quali per l'appunto, lo stesso audiovisivo "Casa Cervi", farà la propria parte. È stato inaugurato il 21 aprile di quest'anno al pianterreno il nuovo percorso museale (ricco di materiale documentario sui Cervi, le lotte sociali del '900 e la resistenza), quindi, il 18 maggio, "l'aula didattica" per gli incontri che si terranno sempre più numerosi. Si passerà tempestivamente alla costruzione di un Parco agronomico-ambientale sulle 56 biolche del podere che circonda Casa Cervi, volto a riprodurre gli elementi tipici del paesaggio agrario della media e bassa pianura padana nei primi decenni del Novecento. Si può dire che l'incontro col Ministro per i Beni Culturali, Walter Veltroni, avvenuto il 25 aprile 1997, a Gattatico, abbia segnato un nuovo punto di partenza per i programmi di qualificazione e d'impegno del Museo Cervi. In primo cantiere di opere di sistemazione del vecchio edificio per il al ore di 1 miliardo e 300 milioni è giunto con ottimi risultati a conclusione. Un secondo cantiere verrà inaugurato tra poco per la concessione, da parte del Ministro dei Beni Culturali (succeduto a Veltroni) on. Giovanna Melandri, di un ulteriore finanziamento per 2 miliardi e 500 milioni di lire, per il completamento del lavoro, secondo progetto presentato al Governo il 25 aprile 1997. Il sogno di Alcide Cervi, che sin dagli inizi degli anni '60 aveva indicato nella difesa della storia dei suoi figli, della memoria del loro sacrificio, una via da seguire (un orizzonte per il quale continuare a vivere, non lasciarsi travolgere dalla disperazione), è dunque diventato realtà. Il nuovo secolo ha offerto le condizioni per compiere un risolutivo salto in avanti e l'Istituto non se l'è lasciato sfuggire, profondendo il proprio impegno in opere concrete, in risultati da toccare con mano. È sorto come museo "spontaneo": una raccolta attenta, scrupolosa di documenti, fotografie, oggetti in grado di dar conto, ricostruendone gli ambienti, della vita di una famiglia contadina di tipo patriarcale, degli impegni di lavoro (il ciclo della canapa, la stalla, il ciclo del vino, la cucina, le camere da letto, l'insieme degli arnesi di lavoro). Si sono via via aggiunti altri materiali: una raccolta d'arte contemporanea (documentata con un catalogo pubblicato nella primavera di quest'anno per iniziativa dell'Istituto e col patrocinio dell'Istituto per i Beni Culturali Naturali della Regione Emilia-Romagna), costituita per lo più da donazioni di singoli artisti o di associazioni in particolari ricorrenze, con opere, per restare a qualche indicazione, di Calabria, Zancanaro, Pizzinato, Treccani, Borgonzoni, Covili, Cavicchioni, Leonardi, ecc. Il Museo "spontaneo" era giunto alle soglie di un necessario salto di qualità: diventare a tutti gli effetti un luogo della "memoria", il simbolo di una eroica vicenda umana, un "santuario" della democrazia e, insieme, col passaggio ormai registrato di circa 15.000 visitatori all'anno, un dato di appartenenza a un versante della storia, di passione popolare, altrettanto spontaneamente offerta, partecipata. Oggi, il Museo Cervi è uno strumento vivo di consultazione di pagine di portata eccezionale della nostra storia, della nostra ferma e ineludibile ascendenza culturale, calata dai Campi Rossi di Gattatico sino a quel grande entroterra europeo che era stato investito, tra due guerre mondiali, dalle devastazioni e dagli stermini di politiche autoritarie e fascismi, sciovinismi diffusi, infrenabili abominevoli eccidi razziali. Il Museo Cervi dalla storia di una famiglia contadina ha ricavato esemplarmente la traccia, sino ai limiti del mito, di una saga europea sui valori dell'uomo: una bussola per gli orientamenti da perseguire con tenacia, senso delle cose e spirito di libertà. Per questo, al termine di due-tre anni di lavoro duro e fecondo, abbiamo deciso, con l'audiovisivo "Casa Cervi", di consegnare uno strumento culturale e educativo: un "faro" o, come si è detto, una "bussola" per nostra azione, per una testimonianza viva e incalzante, per aver presenti le nostre ragioni originarie, le nostre passioni e le nostre scelte irreversibili, alla autorevole numerazione degli "Annali". E non si tratta, beninteso, di un episodio, ma di un segno di rilancio di attività, del passaggio a un progetto permanente di ripresa delle ricerche storiche, di elaborazione critica, di slancio, facendo perno sul Museo Cervi, sull'apporto dei suoi materiali, sul fatto d'essere, assieme, un luogo di esposizione, di lettura più agevole e diretta di una vicenda d'importanza e rilievo internazionale, e una sede di studi, d'incontro e riesame, di vive frequentazioni culturali. È già pronto per l'autunno di quest'anno, per il 27 ottobre, nella casa dei Campi Rossi, un convegno di studi su "Realtà contadina e aperture democratiche agli inizi del '900": un ripasso del problema delle campagne e del costituirsi, con la nascita delle Federterra, giusto nel 1901, di nuove posizioni di lotta, di spinte solidali di crescita civile, sin dagli albori della svolta politica liberale impersonata dal governo Zanardelli. Parteciperanno al convegno del 27 ottobre studiosi di chiara fama quali Giuseppe Galasso e Mario Belardinelli, Gabriele Pepe e Franco Della Peruta, Mario Pacelli e, nella veste di coordinatore, Franco Boiardi. Gli atti saranno oggetto di un nuovo fascicolo degli "Annali" che vedrà la luce agli inizi dell'anno prossimo. Sarà quindi la volta di un workshop sulla situazione delle strutture museali sulla Resistenza e sulle lotte contadine in Europa, con la partecipazione di operatori alla ricerca di nuovi collegamenti, di iniziative da sviluppare fianco a fianco, cominciando da una sorta di censimento degli istituti esistenti, dal sorgere di prese di contatto e di forme associative possibili, in vista di un convegno, previsto per l'anno prossimo, sull'antifascismo nelle campagne europee, sulla resistenza, sulle lotte di cui la vicenda dei Cervi costituisce un richiamo esemplare. Riprenderemo al più presto i contatti, particolarmente con la Provincia di Mantova, per un convegno, da qualche tempo allo studio, su "La cascina lombarda e padana: storia ed evoluzione", facendo perno sulla situazione del XX secolo. Seguiranno altre iniziative, altre sollecitazioni a scavare anche negli archivi e a riprendere il filo di ricerche interrotte, di materiali di valore storico ancora inesplorati o lasciati da troppo tempo in disparte. Alle soglie di un corso nuovo dopo l'attenzione riservata al rinnovo di strutture fondamentali per un impiego di massa delle risorse didattiche disponibili, nasce l'esigenza di stabilire rapporti di stretta collaborazione non solo con gli istituti analoghi al Cervi per interessi finalità, ma più in complesso coi centri di ricerca e il mondo dell'università, dell'editoria e delle riviste, ricercando intese di tipo associativo, promuovendo iniziative in comune, superando gelosie, tentazioni autonomistiche, chiusure nel privato, per dare spazio al dialogo, a fecondi e fitti ragionamenti, a necessarie alleanze culturali. Non c'è, con evidenza, alcuna strada da intraprendere in modo avventuroso, come se occorressero innovazioni e punti a capo: occorre camminare con impegno lungo una pista tracciata fin dal 1972, dall'esordio dell'Istituto Cervi e, in particolar modo dal 1979, con l'uscita del primo numero degli "Annali". Si può parlare, dunque, di attualità del Cervi e del suo campo d'indagine e testimonianza. E, proprio per questo, diventa di particolare importanza riproporre con "Casa Cervi" il diagramma della propria ispirazione.
____________________________________________
UNA FAMIGLIA TRA STORIA E MEMORIA
Da Valle Re ai Campi Rossi
di Franco Boiardi e Antonio Zamhonelli
La casa
I Cervi vivevano nella casa ai Campi Rossi di Gattatico, nella media pianura reggiana, dal 1934: una famiglia contadina numerosa, straordinariamente unita, ben radicata nelle campagne reggiane. La famiglia era giunta nella zona verso la metà del secolo XIX. Proveniva da un altro comune reggiano, Rubiera. Per questo i Cervi ebbero come soprannome, in dialetto, "i Rubàn". Avevano preso in affitto un grande podere: 53 biolche di terra, più di 20 ettari, potendo contare sull'apporto delle proprie braccia. Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi avevano messo al mondo nove figli (sette maschi e due femmine) e la successione dei matrimoni aveva arricchito la famiglia di nuove figure. Erano in 22 nel 1943. E vivevano in pieno accordo, senza memoria di un solo litigio. I sette fratelli vennero fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia, il 28 dicembre 1943, insieme al loro compagno Quarto Camurri. Avevano resistito al fuoco dei fascisti sparando dalle finestre, ma si erano arresi; avevano donne e bambini; i fascisti avevano incendiato il fienile e minacciavano di incendiare tutta la casa. Li avevano messi in fila a mani alzate contro un muro della casa, poi li avevano portati a Reggio: non avevano avuto il coraggio di passarli subito per le armi, si rendevano conto che sarebbe stato inammissibile, disumano. È racchiusa intorno a queste terre la vicenda dei Cervi, che avevano via via associato al lavoro un preciso impegno di lotta.
Radici cristiane e fede socialista
La famiglia Cervi aveva radici cristiane. La giustizia sociale appariva al giovane Alcide - già iscritto negli anni '20 al Partito Popolare, fondato nel 1919 da don Sturzo - come una risposta o un bisogno da non trascurare. Nelle veglie invernali, con la famiglia riunita in cucina o nella stalla, mamma Genoeffa, profondamente devota, leggeva ad alta voce brani della Bibbia. I figli militavano nelle associazioni cattoliche. La predicazione prampoliniana aveva poi preparato Alcide ad un salto di versante; il mito dell'Unione sovietica farà il resto. Nessun segno, ancora, di una nuova militanza, ma non mancano, invece, quelli di una sicura , volta negli orientamenti. Il reggiano è, del resto, terra di cooperazione, di organizzazione politico-sociale nelle campagne e di emancipazione civile e culturale. Fervono gli incontri, le discussioni e, negli anni del fascismo, i riferimenti ai profili di un futuro sempre più vicino. Circolano i libri come non è mai sinora accaduto, e se ne parla, si traggono conclusioni. Aldo, soldato nel 1929, subisce un'ingiusta condanna. I due anni di carcere saranno la sua "università": conosce gli antifascisti, resta affascinato dalle loro idee, dal coraggio con cui le sostengono. Quando torna a casa, nel 1932, coinvolge nella nuova prospettiva ideale l'intera famiglia. Con alcuni dei fratelli contribuisce al sorgere di una cellula clandestina comunista e a dar vita a una piccola biblioteca popolare, con romanzi di London e di Gorki, scritti di Labriòla e di Lombroso. È la scoperta di un nuovo versante della cultura. E i fascisti cominciano a rendersi conto del diramarsi di forme d'opposizione da tenere sotto vigilanza e da reprimere. I Cervi vengono ammoniti dalle autorità; uno dei loro compagni, Didimo Ferrari, nel 1934 viene condannato a 5 anni di confino.
Contadini di scienza
L'attesa di un mutamento sociale complessivo si accompagna, nella famiglia Cervi, ad un impegno immediato per il miglioramento della propria condizione, secondo uno spirito che possiamo ben definire di "imprenditorialità contadina" . Ecco il salto da mezzadri ad affittuari, ecco il passaggio del podere di Valle Re a quello dei Campi Rossi. Il mondo appare adesso ai Cervi sotto una luce diversa. Si impegnano a fondo nel lavoro e non trascurano la ricerca di tecnologie in grado di migliorarne la resa. Hanno un podere di terre sicuramente fertili, ma sconnesse, cosparse di buche e di ristagni d'acqua. Si danno da fare per appianare i dislivelli e consentirne, al meglio, l'irrigazione; riescono a ritoccare in aumento i livelli produttivi e ad incrementare l'allevamento del bestiame e la produzione di latte. Nessuno di loro patisce la fame. Sono protagonisti di una sorta di scalata sociale verso una condizione finalmente più libera. Leggono persino "La Riforma sociale", una rivista diretta da Luigi Einaudi, dalla quale traggono spunti operativi. Conoscono gli studi e i consigli delle cattedre ambulanti d'agricoltura, conquistano diplomi, possiedono numerosi opuscoli, da "contadini di scienza", per l'appunto, come erano diventati. Nel 1939, la famiglia prende una decisione importante. Aldo (che tutti chiamavano "Gino") viene incaricato di andare a Reggio per comprare un piccolo trattore "Balilla", tra i primi che si vedessero nella zona. "Quando comparve sulla strada polverosa - narrerà il vecchio Cervi - alla guida del trattore, reggeva in pugno un meraviglioso globo", un mappamondo, il simbolo di un campo enigmatico di espansione della conoscenza.
Opposizione alla guerra e Resistenza
Con la dichiarazione di Mussolini del 6 giugno 1940, il fascismo trascina l'Italia in guerra; gli antifascisti, sottoposti a rigidi controlli, ricominciano, tra mille difficoltà, a raccogliere le forze. in dal '40 i Cervi si trovano in prima fila contro la guerra e nel prestare aiuto ai compagni incarcerati. Ed ecco l'abbattimento di un traliccio elettrico, la produzione e la diffusione di volantini, la raccolta di fondi per il "Soccorso osso", il boicottaggio degli ammassi nascondendo ingegnosamente parte dei loro prodotti. Gelindo e Ferdinando vengono per questo incarcerati nel '42. in questa fase che avviene l'incontro coi Sarzi, e con Lucia in primo luogo, funzionaria del partito comunista clandestino. Sarzi sono teatranti viaggianti attivi su una vasta fascia territoriale, in grado di tenere collegamenti, di sfuggire a molti controlli, di spostarsi tra un paese e l'altro e di smistare corrispondenza e materiale di propaganda. Dopo l'8 settembre ’43 la casa dei Cervi divenne un luogo d'accoglienza per prigionieri di guerra fuggiti dal campo di concentramento di Fossoli o dalla forzosa aggregazione a reparti germanici. Nel giro di poco più di due mesi un'ottantina di persone saranno ospitate e nutrite, per periodi più o meno lunghi, nella casa ai Campi Rossi: inglesi, sudafricani, russi. Con la costituzione della Repubblica di Salò al servizio degli occupanti nazisti, i Cervi si getteranno con coerenza nella lotta annata. Con l'ex confinato politico Otello Sarzi, fratello di Lucia, più qualche compaesano e alcuni degli ex prigionieri di guerra di varie nazionalità loro ospiti, attuano disarmi di presìdi militari fascisti per procurarsi anni e munizioni. Le loro azioni vogliono anche essere, come ricorda Otello Sarzi, un segnale forte per far sì che altri li seguano nella lotta aperta contro gli occupanti nazisti ed i fascisti rispuntati alloro servizio. E per accelerare la fine di una guerra che ha portato rovine e distruzioni in tutti i continenti. Salgono anche in montagna, dove vengono accolti da don Pasquino Borghi. Nella sua canonica di Tapignola, in comune eli Villaminozzo, don Pasquino ospita a sua volta ex prigionieri in transito, li aiuta a passare le linee per raggiungere il sud già liberato. Verrà arrestato da militi fascisti il 21 gennaio 1944 e fucilato nove giorni dopo, assieme ad altri 8 patrioti. La lotta al fascismo diventava di giorno in giorno un fatto internazionale, un'alleanza di popoli e nazioni, un incontro solidale tra uomini e donne di diverse fedi religiose e politiche uniti nell'aspirazione alla libertà. Era un nuovo concetto di Patria che andava nascendo, entro un orizzonte aperto alle donne e agli uomini di tutta la terra.
La crudele rappresaglia
Nella notte del 25 novembre 1943 la casa dei Cervi è circondata da militi fascisti che sparano verso le finestre e incendiano il rustico. Nel fienile ci sono sei rifugiati: Dante Castellucci, due russi (uno, Anatoli Tarassov, racconterà anni dopo la vicenda in un libro autobiografico), due sudafricani e un irlandese. In casa c'è anche un altro rifugiato, il giovane Quarto Camuffi, che ha disertato dall'esercito fascista. Donne e bambini, alcuni dei quali in tenera età, bruscamente strappati dai loro letti, vengono brutalmente spinti, nel freddo, lungo la strada per Campegine. "I bambini erano tutti piccoli; la più grande, Maria, aveva nove anni. - racconterà Irnes Bigi, moglie di Agostino -. Camminavano piano, piangevano, tutti seminudi perché li abbiamo alzati con quella camicina o quel pigiamino che avevano addosso". Trovano ospitalità nella casa di una vicina che si oppone coraggiosamente ai militi intenzionati a far proseguire il dolente corteo. I sette fratelli, arrestati insieme al vecchio padre e a Quarto Camuffi, vengono portati in carcere a Reggio. Gli stranieri sono condotti a Panna, compreso Castellucci che, avendo a lungo vissuto in Francia, si fa passare per francese. La casa viene saccheggiata. All'alba del 28 dicembre i sette fratelli e Quarto Camuffi vengono prelevati dal carcere e condotti alla fucilazione. Il vecchio Alcide avrebbe voluto restare con i suoi figli. Ma glielo impedirono. Fu un brutale atto di rappresaglia per l'attentato del giorno precedente al segretario comunale di Bagnolo. Papà Cervi, ancora trattenuto nel carcere di San Tommaso, ignora il tragico evento. Ai suoi compagni di detenzione parla di timori e speranze. Come un antico profeta biblico, secondo la narrazione dello scrittore Arrigo Benedetti, suo compagno di cella, pronunciò anche queste parole: "Perché io vi dico, che questi muri cadranno e i tormentatori del popolo prenderanno il posto dei tormentati". L'8 gennaio '44, in effetti, bombe angloamericane esplosero anche in prossimità del carcere, e i muri davvero caddero. Caddero anche sul cimitero di Villa Ospizio, e le salme di tre dei sette fratelli furono sbalzate fuori dalle loro tombe. Molti prigionieri, tra cui Alcide, in seguito al bombardamento ebbero modo di fuggire. Così papà Cervi poté tornare al podere dei Campi Rossi, dalla moglie, dalle vedove e dagli undici nipoti. Una famiglia di cui era rimasto, all'età di 68 anni, l'unico maschio a potersene occupare. Ma da subito ebbe l'aiuto di Massimo, figlio del fratello Pietro. "Il cugino Massimo", rimarrà poi per sempre nella famiglia e sposerà una delle vedove, Irnes. Non si ebbe subito il coraggio di informare Alcide dell'avvenuta fucilazione dei figli. Glielo dissero solo dopo alcune settimane e avrebbe voluto esser morto con loro: "... avevo sette figli, cresciuti con quarant'anni di fatiche. ...mi hanno mietuto una generazione di maschi. Avevo sette figli e sette me ne hanno presi", detterà a Renato Nicolai per "I miei sette figli". Non gli era stato facile scuotersi di dosso l'angoscia. Ma pensò, e disse, "Dopo un raccolto ne viene un altro. Andiamo avanti".
La memoria
Quello dei Sette Fratelli divenne da sùbito un nome simbolo della Resistenza. Due distaccamenti garibaldini operanti sull'Appennino portarono, rispettivamente, il loro nome e quello di don Pasquino Borghi. I Sette fratelli ed il prete partigiano, uniti dalla morte in uno stesso luogo e per la stessa causa, furono insieme assunti dalla memoria dei partigiani. Anche seguendo il loro esempio la lotta popolare contro il nazifascismo assunse caratteri di massa nel reggiano. Decine di case contadine divennero basi ospitali e sicure per i partigiani: le "case del nostro rifugio", ha scritto uno di loro. E proprio quella pianura reggiana che aveva visto operare, come contadini di scienza e come patrioti, i sette fratelli, nell'estate '44 si trasformò in un territorio quanto mai insicuro per fascisti e tedeschi attaccati dai distaccamenti dei SAP e dei GAP. Intanto sulle montagne crescevano in entità ed efficienza le brigate garibaldine. Anche la casa dei Cervi, nonostante la tragedia vissuta dalla famiglia, poté di nuovo essere punto di riferimento per la resistenza. Ma anche, di nuovo, oggetto di feroce attenzione da parte di squadre fasciste che nella giornata del 14 ottobre ’44 tentarono ancora vigliaccamente di incendiaria. Per mamma Genoeffa fu il rinnovarsi di una profonda angoscia. Si mise a letto senza più riprendersi. Mori poco più di un mese dopo, il 15 novembre '44. Grande fu l'emozione dei reggiani nell'ottobre 1945, quando le salme dei sette fratelli furono esumate dall'originaria sepoltura e traslate, con funerali solenni, al cimitero di Campégine. Anche il vecchio Alcide ebbe la forza di prendere la parola tra i vari oratori. Parlò dal balcone del Municipio: "Non chiedo vendetta, ma giustizia", disse con voce ferma; e concluse ripetendo la frase diventata famosa: "Dopo un raccolto ne viene un altro".
Un moderno Museo della Civiltà contadina e della Resistenza
La casa ai Campi Rossi, oggetto di veri e propri pellegrinaggi, divenne col tempo una sorta di "museo spontaneo", assurgendo a luogo simbolo di una secolare lotta dei contadini italiani per la propria emancipazione e della resistenza contro il nazifascismo. Una casa nel cuore di una terra, come quella reggiana, che aveva visto oltre 9.500 volontari della libertà, dei quali 626 caduti. Che aveva subito la deportazione di 1200 civili, l'incendio di villaggi, l'internamento nei lager tedeschi di oltre 8.000 militari, l'uccisione, ancora, di 350 persone (tra loro anche donne e bambini) in crudeli rappresaglie contro popolazioni inermi. Una casa ed una famiglia che anticipano la dedizione e il sacrificio di altre case e di altre famiglie contadine reggiane, come i Manfredi e i Miselli di Villa Sesso, i Vecchi di Villa Gavasseto. .. Con la sua storia Alcide Cervi diventa simbolo e riferimento per tutte le sofferenze e le tragedie che hanno colpito l'Italia nei lunghi mesi della lotta partigiana. È chiamato ovunque a testimoniare questo forte legame, nella costruzione di una memoria della Resistenza che passa più attraverso il ricordo dei caduti che non l'esaltazione delle vittorie. Ormai settantenne, rivelando un'energia straordinaria, non si sarebbe più fermato un sol giorno, diventando, forse senza rendersene conto, un affabulatore eccezionale, mentore di verità vissute, di grandi conquiste civili passate attraverso il crogiolo della sofferenza. Con la scomparsa della moglie aveva, dinanzi ai nipotini, sciolto le timidezze, le esitazioni: c'erano undici bambini da crescere e "non c'era tempo per piangere", come intitolerà un suo quaderno di ricordi la vedova di Antenore, Margherita Agolèti. In un primo tempo era sembrato che non avesse più la forza di andare avanti, e "i vicini lo rividero ancora curvo alla fatica dei campi". "Dovevo avere ancora la forza di lavorare, per tirare su un'altra generazione. Dovevo campare a lungo; prima non dovevo morire". Papà Cervi sarà di parola: morirà il 27 marzo 1970 a quasi 95 anni, rimanendo un esempio tra i più alti del versante della civiltà democratica e del lavoro. Ai suoi funerali erano presenti più di 200.000 persone, tanti giovani, pronti - sosterrà nel discorso commemorativo Ferruccio Parri - per "preparare altri raccolti". Aveva detto, da ultimo, di essere stato "un buonuomo, non altro"; era stato di più, secondo Parri, "perché seppe per cosa vivere, con la logica serenità di un eroe antico". La casa dei Cervi è da più di mezzo secolo un luogo d'incontro, di riflessione, d'ascolto di pulsioni, forse di proponimenti. Solo adesso, tuttavia, nel riordino cui si è messo mano, grazie al sostegno della Fondazione Pietro Manodori, la Casa-Museo è in grado di trasmettere un "racconto" vero e intelligibile, una storia che ha tempi, memorie e chiavi di lettura proiettate verso il domani: una storia che non finisce, ma che, in buona sostanza, apre una finestra sulla realtà contadina dell'Europa. È il museo di una famiglia contadina sfuggita fin dagli esordi del XX secolo, e forse già da prima, a ogni banale classificazione: una famiglia unita e concorde, ricca di passione e di ingegno, di coraggio, di dedizione e di consapevolezza. Una famiglia la cui storia si intreccia a quella di tante altre famiglie contadine che in Italia e in Europa hanno lottato e operato per la propria emancipazione da secolari forme di oppressione. Si tratta di un museo "aperto", in grado di arricchirsi, rimodularsi e aprire campi di iniziativa. Il grande podere dei Cervi è ancora lì, intorno alla casa, coinvolto nel progetto di riqualificazione e di adeguamento degli spazi a più moderni criteri di fruibilità museale e didattica. Il disegno di un parco agronaturalistico e l'accentuazione della valenza storico-testimoniai e del territorio intendono ripristinare sul terreno che fu dei Cervi gli elementi tipici del paesaggio agrario della media e bassa pianura padana agli inizi del Novecento. Casa Cervi diventa così luogo di conservazione di un ricco e molteplice patrimonio di documenti e materiali e un centro d'iniziative, d'incontri, di studi; un luogo del "fare", del verificare, del consolidare la volontà di cambiamento, l'intelligenza del nuovo: la scia disegnata dai Cervi.
da Annali 20/21 1998-1999, Casa Cervi, a cura dell'Istituto Alcide Cervi, Edizioni Tecnograf, allegato all'omonimo video, novembre 2001