Documenti dell'ANED di Milano

GLI SCIOPERI DELLA RISCOSSA (1943 - 1944)

Molto spesso quando si parla degli scioperi del marzo 1943 e del marzo 1944, sembra che si tratti di due momenti dello stesso avvenimento. In effetti sono state due proteste che, pur con molti connotati comuni, ebbero diversa origine, diversa finalità e diverse conseguenze. Anche il loro quadro sociale, storico e politico, si presenta sotto diversa luce, sebbene offuscato dalla stessa sinistra ombra della dittatura nazi­fascista e della guerra.

Marzo 1943

Approfittando della debolezza delle democrazie occidentali che a Monaco hanno subito la sua tracotanza, accettando lo smembramento della Cecoslovacchia, il 1° di settembre 1939 Hitler aggredisce la Polonia mentre Mussolini gli copre le spalle con la neutralità. Poi ci ripensa e, il 10 giugno 1940, decide di onorare gli impegni del "patto d'acciaio" nella speranza di potersi sedere al tavolo delle trattative di pace "a costo di 10.000 morti" secondo le sue stesse parole. Tutta l'Europa e parte dell’Africa diventano un immenso teatro di guerra. Nel dicembre 1941, reagendo al trauma del disastro di Pearl Harbour anche l'America si schiera con gli Alleati e mette la sua potenza militare e industriale alloro servizio. Il conflitto diventa mondiale. Dopo alcuni anni di clamorosi successi le armate dell'asse Roma-Berlino subiscono i primi drammatici rovesci ad El Alamein e a Stalingrado. I bollettini di guerra citano sempre più spesso obiettivi “temporaneamente” perduti che ci si ripromette di riprendere in un domani non meglio precisato. Non ci vuole molto per capire che, ormai, gli Alleati hanno il sopravvento. In questo contesto il morale dei combattenti e delle popolazioni comincia a dar segni di chiara insofferenza. Ad onta della propaganda enfatica, martellante e mistificatrice, trapelano notizie sulle disastrose vicende e le carenze delle forze armate italiane e sui difficili rapporti con l'alleato nazista. Nel marzo 1943 la partecipazione italiana alla guerra nazista dura oramai da tre anni. Vige l'oscuramento notturno, è in atto il razionamento dei generi tesserati, gli sposi hanno donato le fedi d'oro alla Patria, automobili e camion vanno a carbonella, le cancellate dei giardini e delle ville sono state smontate per essere fuse e fame armi delle quali c'è gran bisogno, i disagi dello sfollamento costringono la gente ad orari di vita e di lavoro pesantissimi, i prezzi salgono vertiginosamente, mentre prospera il mercato nero di molte merci diventate irreperibili. E la lista dei morti e dei dispersi in combattimento o sotto le macerie delle città bombardate si allunga ogni giorno di più. Dopo le barzellette che hanno messo in ridicolo i gerarchi fascisti e nazisti e le loro imprese, dopo il mugugno, sulle labbra degli operai rispunta la parola che da lunghi anni è in disuso, anzi è severamente proibita: sciopero. I più giovani non sanno bene in che cosa consista, ma ne hanno sentito parlare dai più anziani, memori delle loro esperienze dei lontani anni ‘20. I partiti antifascisti clandestini, soprattutto il Partito comunista e il Partito d'azione, essendo per il momento chiaramente inattuale l'idea di uno sciopero insurrezionale, puntano sulle rivendicazioni economiche. Il 5 marzo 1943, a Torino, gli operai della Fiat attendono il solito segnale per la prova di allarme aereo. Ma la direzione, avvertita dalla polizia che ha subodorato qualcosa, non fa suonare la sirena. Fra lo sbigottimento generale viene presa, spontaneamente, una decisione storica: sospendere il lavoro! È il primo sciopero dell'era fascista. La notizia rimbalza di fabbrica in fabbrica, di città in città. A Milano, Genova, Sesto San Giovanni, praticamente in ogni centro industriale, migliaia di lavoratori, scoprono l'importanza e il significato di una decisione del genere. Che cosa chiedono gli scioperanti? Anzitutto il miglioramento delle condizioni di vita: aumento delle razioni alimentari, distribuzione di abiti di lavoro e scarpe, legna e carbone per il riscaldamento delle loro case, facilitazioni per gli sfollati e un acconto sul premio produzione delle 192 ore, sempre promesso e mai pagato. Benché queste rivendicazioni fossero di natura prevalentemente economica, lo sciopero del marzo 1943 ebbe certamente un riflesso politico perché ha dato uno scossone molto serio alla stabilità del regime fascista. Si può dire che fu l'inizio della sua fine. La reazione dei fascisti è stata nello stesso tempo imbarazzata e rabbiosa. Le fabbriche vengono costrette d'autorità a chiudere "per ferie". Poi si ordina l'immediata ripresa dell'attività, pena la sospensione delle retribuzioni e la perdita dell'esonero dalla chiamata alle armi. E si scatena l'ondata degli arresti, con deferimento al Tribunale speciale e l'invio al confino degli elementi più compromessi. Il 10 luglio 1943, quando gli Alleati sbarcano in Sicilia, portando la guerra sul territorio nazionale, il tanto vantato consenso delle masse ha il fiato grosso. Tirerà l'ultimo respiro il 25 luglio 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo metterà Mussolini in minoranza, decretando la fine di una dittatura che per anni ha vilipeso e rinnegato i valori della democrazia. Il re fa arrestare Mussolini e nomina il gen. Badoglio Capo del Governo. Il Partito fascista viene sciolto, la Milizia incorporata nell'Esercito. I giornali possono di nuovo esprimersi liberamente. Tuttavia la fine del fascismo e la riconquistata libertà non consentono il rapido ricostituirsi dei partiti e dei sindacati democratici, appena usciti dalla clandestinità. Si costituiscono comunque le prime Commissioni interne, elette con mezzi di fortuna e nelle quali non mancano fascisti voltagabbana. Nell'agosto 1943 in molte fabbriche si sciopera contro la guerra che continua, contro la monarchia, per il rilascio dei prigionieri politici incarcerati dal fascismo, per una maggiore capacità negoziale delle Commissioni interne e la creazione di liberi sindacati. Il governo cerca di guadagnare tempo. Poi verrà, inaspettatamente, l'armistizio dell'infausto 8 settembre. Il gen. Badoglio ed il re, fuggendo, provocano il caos. I nazisti occupano il paese, disarmano e internano 735.000 militari trattandoli da traditori. La libertà è durata dieci settimane. Si formano le prime bande partigiane ed ha inizio la Resistenza. Poco dopo Hitler, pur mettendo gli alle costole i propri uomini di fiducia, aiuta Mussolini a costituire la Repubblica Sociale Italiana che s'insedia a Salò. Dopo il breve intermezzo badogliano le forze politiche che si riconoscono nei comuni ideali antifascisti sono nuovamente costrette alla clandestinità. Nell'ottobre 1943 partono verso i campi di concentramento e di sterminio nazisti i primi convogli con i deportati italiani. Si tratta in gran parte di coloro che, per aver partecipato agli scioperi, sono stati schedati dalla polizia. Si chiude con una vergognosa delazione dei collaborazionisti nostrani una pagina di generosa ribellione contro una storia voluta da pochi e subita da molti. Per protestare contro gli arresti e le deportazioni il lavoro viene nuovamente sospeso in molte fabbriche nel dicembre 1943. Il generale Zimmermann, plenipotenziario nazista per i problemi economici, risponde piazzando carri armati e battaglioni con i mitra spianati davanti alle fabbriche. Poi la situazione si "normalizza". Ma la protesta non è che il prologo di quello che verrà dopo. Si vive in un clima allucinante di minacce e di violenza, di privazioni e difficoltà d'ogni genere, mentre si combatte accanitamente su tutti i fronti, nei cieli e sui mari.

Marzo 1944

Lo scenario è cambiato. La Repubblica Sociale Italiana, controllata dai nazisti, ha steso su quella parte dell'Italia che è ancora nelle sue mani, una cappa di piombo. Si scatena la ferocia delle rappresaglie dovute anche alla disperazione per una vittoria che non è più raggiungibile. I nazisti, che hanno oramai mobilitato tutti gli uomini validi e non esiteranno ad arruolare ed armare adolescenti di 15/16 anni assieme a vecchi settantenni, hanno disperatamente bisogno di manodopera per l'agricoltura e l'industria. Oltre ai cosiddetti "ospiti volontari" (letteralmente Gastarbeiter) attirati in Germania dal miraggio di salari e provvidenze allettanti, brutalmente smentite dalla realtà, la forza di lavoro è costituita dalle centinaia di migliaia di prigionieri di guerra, dai lavoratori più o meno coatti dell'Organizzazione Todt, dai deportati politici ed ebrei dei campi di concentramento che affiancano donne ed invalidi dovunque è possibile sostituire gli specialisti civili. In sostituzione degli stabilimenti distrutti dai bombardamenti, si pensa di trasferire in Germania le fabbriche rimaste ancora intatte nei paesi occupati. Ma poi - valutate le difficoltà che l'operazione avrebbe creato nei trasporti, già fortemente compromessi - si è costretti ad intensificare lo sfruttamento degli impianti e dei lavoratori in loco. L'economia dei paesi occupati, compreso il nostro, subisce le razzie dei burocrati nazisti. Si determina così un conflitto, spesso aperto e vivace, fra le autorità fasciste che tentano di proteggere i propri interessi e l'occupante nazista che si comporta come se gli uomini e le strutture della Repubblica Sociale non esistessero. Si va avanti a furia di editti e di requisizioni nella spartizione della magra torta dove ognuno tenta di ritagliarsi una fetta di competenze. Nelle aziende si procede fra continue interruzioni per gli allarmi aerei, la mancanza di materie prime, di energia elettrica. Gli stabilimenti e gli uffici sono spesso danneggiati e non si possono riparare per mancanza dei materiali necessari. A causa delle distruzioni e delle condizioni del mercato cresce in modo impressionante l'ondata dei licenziamenti. Ai disoccupati toccano sussidi irrisori e non resta che aderire all'Organizzazione Todt, l'impresa semi-militarizzata che costruisce strade e fortificazioni. Ma molti preferiscono raggiungere le brigate partigiane. La popolazione oramai manca di tutto: legna o carbone per il riscaldamento, sapone, sale, copertoni per biciclette, scarpe e vestiti, e naturalmente carne, verdure, patate. Del caffè non se ne parla. La propaganda fascista non riesce a nascondere la verità dato che, a rischio di severe punizioni, tutti ascoltano di nascosto Radio Londra. Oramai si fanno apertamente previsioni sulla fine del regime, dell'occupazione e della guerra. Purtroppo ci vorranno ancora molti mesi, prima che ciò avvenga. La rabbia, il dissenso, l'esasperazione per le privazioni, i disagi dello sfollamento, l'insufficienza delle razioni alimentari esplodono, il 1° marzo del 1944, in un grande sciopero che coinvolge, in tutto il paese, aziende grandi, medie e piccole. Migliaia di uomini e donne, rispondendo all'appello dei comitati di agitazione clandestini interregionali collegati col Comitato di Liberazione Nazionale hanno affrontato coraggiosamente l'ira e la feroce rappresaglia dei fascisti e dei nazisti. Erano non solo operai, ma anche tecnici, impiegati e dirigenti. In appoggio alla loro azione, la guerriglia partigiana dalle montagne è scesa in città. Sono giorni che si possono veramente definire di fuoco. La stampa fascista non riesce a nasconde­re la verità. È un trauma per tutti. Dopo gli scioperi del marzo 1944 la vita non è più quella di prima. Il diffuso malcontento per la vita sotto i bombardamenti, col coprifuoco, i problemi ed i disagi dello sfollamento, le privazioni d'ogni genere, consente ai partiti antifascisti di far maturare in strati sempre più ampi della popolazione una presa di coscienza della realtà in favore della Resistenza a scapito dell'isolamento dei fascisti. Con la caduta di Roma e di Firenze, e lo sbarco alleato in Normandia, è chiaro che la guerra volge verso la sua conclusione. Gli alleati esigono la resa incondizionata, Hitler decide di combattere fino all'ultimo uomo, all'ultima cartuccia. Bisognerà superare un altro inverno durissimo, mentre il fronte italiano si attesta sulla linea gotica. Poi verrà la radiosa primavera del 1945. L'8 maggio il cannone cessa finalmente di tuonare.

“Arbeit macht frei„

Cioè: il lavoro rende liberi. Questa era la scritta minacciosa ed ambigua che campeggiava sopra i cancelli dei campi di concentramento nazisti dove uomini e donne (undici milioni!) furono stroncati dalla fatica, dalla fame, dal lavoro e assassinati nelle camere a gas. Dall'ottobre 1943 all'aprile 1945 i nazisti hanno deportato circa 40.000 italiani, dei quali 8.565 erano intere famiglie di ebrei. Fino ad ora non è stato possibile stabilire con esattezza quanti, dei deportati politici, furono catturati per la loro partecipazione ai grandi scioperi dei quali sono stati protagonisti. A Mauthausen, a Dachau, a Buchenwald, a Flossenhürg costretti come tutti a lavorare per le SS e le indu­strie che queste possedevano, essi hanno continuato a sabotare l'economia nazista, nei limiti concessi dalla loro precaria situazione. Una cosa è certa: che ben pochi sono riusciti a sopravvivere. Questo è stato, purtroppo il prezzo pagato e il drammatico epilogo degli scioperi della riscossa antifascista. Quando si parla di questi scioperi, sia ben chiaro che essi non furono organizzati, come avverrebbe oggi, da un sindacato, perché organizzazioni sindacali democratiche, nel senso attuale, sotto il fascismo e il nazismo, non ebbero possibilità né diritto di vita. Mentre gli scioperi del 1943 promossi dai comitati di agitazione clandestini, formatisi spontaneamente fra gli scontenti delle condizioni di vita e di lavoro per reclamare miglioramenti di carattere economico ebbero solo di riflesso un'impronta politica, quelli del 1944 segnarono l'ingresso della Resistenza nella vita di quella parte del paese ancora dominata dalla Repubblica Sociale e dell'occupazione nazista, con una proposta politica intesa a rinnovare lo Stato e la società italiana. Quando negli uffici e nelle fabbriche erano affissi cartelli che ammonivano "qui non si parla di politica, qui si lavora" la convergenza fra operai, tecnici, impiegati e dirigenti operata dalle forze antifasciste, ha fatto sì che il movimento di protesta non fosse diretto contro la proprietà delle aziende, ma contro il fascismo, contro l'occupazione nazista e la guerra. Questa contestazione massiccia e unitaria e l'aiuto dati dai contadini delle campagne e delle montagne e dalla popolazione urbana ai partigiani, crearono le condizioni in cui la lotta di liberazione poté svilupparsi fino alla sua vittoriosa conclusione. In questo sta il significato ed il valore degli avvenimenti sommariamente illustrati in queste brevi note.

COME SI VIVEVA

Il razionamento:

Il mercato nero:

200 grammi di pane al giorno  

12 uova a tessera L. 6, al mercato nero L. 90

400 grammi di carne al mese

1 litro d'olio a tessera L. 15, al mercato nero L. 120

500 grammi di zucchero al mese

1 chilo di burro a tessera L. 28, contro L. 150/200

100 grammi di olio

1 chilo di pane L. 23, contro L. 260  

erano inoltre razionati: sapone, sale, patate, riso, pasta, latte, fagioli.  

Stipendi e salari:

Il costo della vita:

Nel 1943/1944 un impiegato di una grande industria guadagna L. 1.400 al mese, un operaio L. 1.100, alla Fiat L. 960 cioè L. 240 la settimana con 48 ore lavorative.

Facendo pari a 100 il costo della vita nel 1938, cioè nell'ultimo anno di pace in Europa, si sale a quota 624 nel settembre 1943, a 640 in novembre, 680 in dicembre fino a superare quota 2.360 nell'aprile 1945 quando cala il sipario sulla tragedia della seconda guerra mondiale

 

AZIENDE DELL' AREA MILANESE NELLE QUALI SI SONO SVOLTI GLI SCIOPERI DEL 1943/1944

(Elenco ricavato dal giornale clandestino LA FABBRICA e altre fonti)  

Alfa Romeo, Aquila, Autelco, A.E.M. Acqua, Allocchio Bacchini A.T.M. Arcioni

Brown Boveri, Berlina, Banca Agricola, Banco di Roma, Bravin, Borletti, Binda, Bezzoli, Bernina, Buscoterme, Broggi, Bianchi, Breda

Corbetta, Carlo Erba, Credito Italiano, Ceretti & Tanfani, C.G.E., Colombo, Coretta, Caproni, Cardex, Centrale del Latte, Corriere della Sera, Gerli, Garelli, Gondrand, Gas Bovisa, Geloso

Dell'Orto, Dall'Acqua Edison

Falck, Face Standard, Franciosi, Feltrinelli, Fiat, Fonderie Riva, Fibra Vulcanizzata

Giviemme, Grazioli, Giannoni, Guillet

Hensenberger

Innocenti, Italseghe, Isotta Fraschini

Loro & Parisini

Montecatini, Macut, Marelli, Motta, Mattei, Magnaghi, Motomeccanica Nettezza Urbana

O.M., Olap, Ortofrigor

Pirelli, Peterdengo, Panificio, Pasquino, Pracchi, Philips

Riva, Rastelli, Redaelli, Rubinetterie

Smalterie, Santagostino, Stigler, Sertum, Safar, Sea, Stucchi, Sagdor, Suterna, Sincilio, Smeriglio

Franco Tosi, Trafilerie, Triplex, Telemeccanica

Vanzetti, Violini, Vis, Virta, Vannucci, Vira

Zerbinati, Zerlini

Da La libertà e i suoi costi, quaderni a cura dell'ANED di Milano e della Provincia di Milano, 1991   

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