Documenti dell'ANED di Milano

GLI EROI POSITIVI

MIEP GIES:

quando, dopo aver invaso a tradimento l'Olanda, violandone la neutralità, i nazisti vi istallarono un governo fantoccio, questo, scimmiottando i suoi ispiratori e sotto la pressione degli stessi, applicarono progressivamente le leggi e le modalità di persecuzione degli avversari politici e degli ebrei. Alcuni riuscirono a mettersi in salvo nella vicina Inghilterra. Altri furono costretti alla clandestinità col contributo determinante della protezione della popolazione. Otto Frank, il padre di Anna, quando la figlia maggiore, Margot fu precettata per il lavoro obbligatorio, decise di nascondersi, con tutta la famiglia ed alcuni amici, in quell’alloggio segreto" che egli aveva predisposto nel retro dello stabile dove era sistemata la sua azienda di commercio in spezie. La sua impiegata di fiducia, una giovane donna d'origine viennese, si assunse volontariamente la responsabilità di provvedere al mantenimento dei clandestini. Miep Gies. Per due lunghi anni costei, imperturbabile, procurò viveri e medicinali, quando oramai il paese era alla fame, ma soprattutto sostenne moralmente i prigionieri giunti al limite del collasso nervoso, costretti come erano ad una convivenza sempre più difficile aggravata da una crescente claustrofobia. Ma Miep Gies portava loro il dono della sua fiducia nell'avvenire, della sua serena cocciuta convinzione che ce l'avrebbero fatta. Non fu così. Una delazione della quale non si è mai avuta la prova, provocò il 4 agosto 1944, l'irruzione della polizia al Prinzengracht 293 e l'arresto di tutti i rifugiati. Miep Gies, salvò fra le carte sparse per terra, dopo la confusione di quel momento terribile, il diario che Anne Frank aveva curato, giorno per giorno, nel silenzio della sua cameretta. Fu l'ultimo contributo di questa donna straordinaria ad una vicenda che ha commosso il mondo. Miep Gies: una delle tante donne che riuscirono a mitigare, col loro coraggio, con la loro solidarietà la dimensione di una tragedia immensa e senza precedenti nella storia.

LOUIS HÄFLIGER:

un tranquillo impiegato di una grande banca svizzera. Sconvolto dalle notizie che trapelavano dai campi di concentramento nazisti, rispondendo ad un appello lanciato dalla Croce Rossa Internazionale che cercava volontari per le sue missioni umanitarie, chiese ed ottenne di essere assunto, e di occuparsi del problema Mauthausen. Di questo campo egli sapeva qualcosa, cioè quel poco che sapevano più o meno tutti. C'erano state delle trattative fra il Presidente della Croce Rossa Internazionale, prof. Burckhard e il grande capo della Polizia e delle SS naziste, Himmler, per addivenire (si parla del marzo 1945, dunque poche settimane prima della fine della guerra) ad uno scambio di prigionieri politici ed ebrei detenuti nei KZ nazisti e militari tedeschi, nelle mani degli alleati. Si trattava inoltre di migliorare le condizioni di vita dei deportati, di offrire loro aiuti alimentari ed eventualmente assistenza medica. La CRI chiese ed ottenne che propri delegati avessero accesso ai campi, e che vi potessero soggiornare fino alla conclusione, oramai inevitabile ed imminente della guerra. Häfliger arrivò a Mauthausen, in condizioni rocambolesche, e si fece ricevere dal comandante Zireis che si rifiutò in un primo momento di riconoscere gli accordi presi in alto loco. Poi cedette. Hafliger alloggiò e condivise la stanza con uno degli alti ufficiali SS, Obersturmbannführer Reimer che avrebbe dovuto controllarlo e che, invece, fini per manifestare le proprie preoccupazioni sull'immediato domani. Hafliger venne cosi a sapere dell'ordine dato da Himmler di minare e far saltare il KZ Mauthausen con tutti i deportati per non lasciarli in mano al nemico. Quando la situazione divenne oramai drammatica ed ogni ora, ogni minuto poteva scattare l'operazione ordinata da Berlino, Häfliger persuase il suo interlocutore nazista ad accompagnarlo incontro agli alleati, che si trovavano oramai a pochi chilometri. Lì ottenne che una pattuglia della 3a Armata del gen. Patton, deviando dal proprio itinerario, si dirigesse su Mauthausen e impedisse la progettata carneficina. Era il 5 maggio 1945. Un uomo semplice ma determinato, un nazista ravveduto e un americano generoso evitarono un'ultima tragedia a conclusione della tragica vicenda dei KZ nazisti.

JANUSEK KORCSIAK:

Henry Goldszmit, discendente da una famiglia ebraica polacca benestante, studente in medicina, laureato e specializzato in pediatria a Berlino, ufficiale nell'armata russa durante la guerra col Giappone, già nel 1906 si occupa dei problemi dell'infanzia. Nel 1911 fonda a Varsavia un orfanotrofio, promuovendo metodi di pedagogia avanzata e conquistando si fama di studioso e scrittore specializzato nei problemi dei piccoli diseredati. Quando i nazisti istituiscono il ghetto di Varsavia, i 200 ragazzi affidati alle cure di Janusek Korcsiak (era lo pseudonimo da lui usato nei suoi scritti che gli dettero fama internazionale) dovettero traslocare in attesa di una diversa sistemazione. Essi autogestirono la loro attività, guidati dal loro adorato maestro che li indusse a costituire una vera "repubblica dei ragazzi" con una propria bandiera. Una bandiera verde, simbolo di speranza. Dietro a questa essi marciarono, Korcsiak in testa, verso il treno che li doveva trasportare ad Auschwitz da dove nessuno di loro ha fatto ritorno. Una bandiera per 200 piccoli martiri e per un grande commovente personaggio.

MASSIMILIANO KOLBE:

nato a Zdunska Wola in Polonia, l'8 gennaio 1894. Studi regolari, poi il seminario e l'ammissione nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali, dunque un carmelitano. Svolge attività missionaria in Giappone, creando centri editoriali. Rientrato in Patria cura la pubblicazione di un periodico clandestino espressione di un mo­vimento di resistenza cui diede il nome di "Milizia dell'Immacolata". Scoperto, forse per una delazione, viene arrestato e trasferito ad Auschwitz. Lì, un giorno, per rappresaglia per la fuga di alcuni prigionieri, il comandante del campo decide di dare una lezione severa, che serva da deterrente per ogni ulteriore tentativo del genere e condanna a morte per fame, dieci uomini per ogni evaso. Massimiliano Kolbe si offre volontario, a sostituire uno dei condannati a morte. Viene rinchiuso nel bunker, cioè una delle celle di punizione, dove dopo lunghi interminabili giorni di agonia, gli praticano un'iniezione letale. Kolbe sapeva quello che lo aspettava. E la chiesa cattolica, lo ha proclamato santo. È presto detto: morire di fame. Un frate, un eroe, un atto di fede, di immensa, indicibile fedeltà alle proprie convinzioni.

GIOVANNI PALATUCCI:

originario di Montella (Avellino) entra nella carriera della polizia nel 1936. Destinato a Fiume, si trova a dirigere l'Ufficio stranieri quando, nel 1943 Fiume viene incorporato nell’Adriatisches Küstenland" cioè il territorio che Mussolini è stato costretto a cedere alla sovranità di Hitler, come prezzo di fedeltà per la ricostituzione di una repubblica fascista. Palatucci non tiene conto degli ordini di ricerca e arresto degli ebrei e degli antifascisti. Li dichiara "irreperibili" mentre, in effetti, li munisce di documenti falsi, favorisce il loro espatrio verso la Svizzera e il sud, dove un suo zio vescovo provvede a sistemarli in case ospitali. Poi aderisce alla Resistenza come Dottor Danieli ed entra in contatto con i servizi informativi segreti inglesi, ai quali fa pervenire un documento che viene intercettato dal controspionaggio dei nazisti. I servizi della polizia nazista erano già insospettiti dallo scarso numero degli arresti nella zona di competenza della Questura fiumana. Adesso hanno un motivo di più per far stroncare l'attività di Palatucci e neutralizzare la sua piccola ma efficiente rete di collaboratori. Palatucci viene arrestato e trasferito, prima nel carcere di via Coroneo di Trieste, poi nel KZ Dachau dove muore stroncato dal rigore della disciplina concentrazionaria, il 10 febbraio 1945, poche settimane prima della liberazione. Non si sa esattamente quante persone Palatucci abbia salvato. Certo, molte. Moltissime se si tien conto delle condizioni nelle quali egli ha operato. In Israele hanno piantato un bosco a suo nome ma l'Italia continua ad ignorarlo.

GIORGIO PERLASCA:

nativo di Como. Nel 1943, si trova in Ungheria per affari. L'ambasciata italiana di Budapest gli chiede di aderire alla Repubblica Sociale Italiana, che nel frattempo si è costituita in Italia. Di fronte del suo diniego, viene internato dalla polizia ungherese che obbedisce agli ordini di un governo fantoccio controllato dai nazi­sti. Riesce a scappare e si rifugia nell’Ambasciata spagnola che, nel frattempo interrompe i suoi rapporti con l'Ungheria, pur mantenendo in piedi un ufficio stralcio. Nel novembre 1944 comincia la grande razzia degli ebrei ungheresi. Ne saranno deportati 300.000, ben pochi dei quali torneranno da Auschwitz. Perlasca fingendosi capo di una missione diplomatica fantasma, s'installa negli uffici dell' Ambasciata abbandonata e comincia a rilasciare passaporti e salvacondotti agli ebrei perseguitati. Poi ne alloggia alcune centinaia in edifici di proprietà spagnola, per i quali reclama ed ottiene l'extraterritorialità. I nazisti, presi di contropiede, lo lasciano fare. Perlasca riesce così a salvare migliaia di persone, sistemandole nelle proprietà spagnole e in altri edifici, che con incredibile spericolatezza requisisce o addirittura acquista, mentre munisce di passaporti e documenti falsi, si calcola 6.000 ebrei, salvandoli da un atroce destino. Il 16 gennaio 1945 l'armata sovietica conquista Budapest e mette fine a questa storia di generosa solidarietà e di temerario coraggio.

OSKAR SCHINDLER:

industriale tedesco ricco ed abile negli affari, cattolico praticante, ma anche donnaiolo, bevitore di quantità incredibili di superalcolici, sportivo, spaccone, arrivista. Viene esonerato dal servizio militare perché ritenuto indispensabile per le esigenze dell'industria degli armamenti, in quanto proprietario e direttore di varie imprese di media dimensione con lucrosi contratti di appalto. Vicino a Cracovia, in Polonia, gli vengono assegnati i deportati di un campo, istallato nelle vicinanze di uno dei suoi stabilimenti, dove si fabbricano ordigni bellici, ma. anche capi di vestiario per l'esercito. Schindler, giocando anche sull'omonimia con un altissimo papavero delle SS dal quale è protetto, gestisce i suoi affari corrompendo spudoratamente, con soldi, gioielli, intrallazzi sessuali, i bravi SS che dovrebbero controllare la sua attività e sorvegliare il Lager annesso ai suoi stabilimenti. Un giorno Schindler, che non è un vero nazista, assiste per caso ad un pogrom, nel villaggio vicino alla sua residenza. E ne è sconvolto. La sua vita cambia nella convinzione che, con quella gente egli non avrà più nulla da spartire. Maggior ragione per tenerli in pugno col ricatto dei favori concessi. Poi persuade le SS a non far perdere tempo ai suoi operai negli inutili trasferimenti giornalieri dal campo al luogo del lavoro. Annesso alle sue fabbriche costruirà a sue spese un Lager del quale pretende la piena gestione, estro mettendo le SS. E l'ottiene. I suoi uomini, le sue donne vivono sì in cattività, ma non hanno più. da temere per la vita. Poi quando le armate sovietiche avanzano minacciosamente, da Berlino viene l'ordine di trasferire gli stabilimenti di Schindler verso la Cecoslovacchia e viene stabilito che potranno, anzi dovranno essere trasferiti 2000 prigionieri. Non uno di più, non uno di meno. A Schindler incombe il compito di scegliere i nomi, sapendo che cosa questo significa. Ci riesce. Duemila uomini e donne vengono trasferiti, in condizioni decenti e verranno salvati dalle armate alleate. Schindler, un avventuriero, un uomo di fegato che a seguito di una presa di coscienza ha sfidato le SS. La "lista Schindler" un documento che dice tante cose.

ALEX WALLENBERG:

ecco un altro rampollo di una ricca famiglia svedese. Qualcuno lo persuade a recarsi in Ungheria in missione diplomatica, per cercare di alleviare le condizioni penose degli ebrei minacciati dalla persecuzione e dalla deportazione nei campi di concentramento e di sterminio della Polonia. Wallenberg gode ed approfitta dell'immunità diplomatica che, benché a malincuore, la polizia nazista e ungherese gli riconoscono. Una volta riesce a fermare un convoglio diretto verso ignota destinazione. Ma lui sa di che si tratta e scontrandosi violentemente con la scorta, ottiene quello che vuole. Dall'ambasciata svedese fa rilasciare migliaia di passaporti e di salvacondotti. Distribuisce denaro ai bisognosi. Assiste chi è in difficoltà. Nel gennaio 1945 l'armata sovietica ha ragione della resistenza dei nazisti e dei magiari. Wallenberg considerando terminata la sua missione vuole tornare a casa, in Svezia. Per motivi che non si sono mai potuti appurare viene arrestato da una pattuglia russa e, da quel giorno, scompare senza lasciare traccia di sé. Non si è mai saputo che fine abbia fatto. Ma si sa quello che ha fatto, in Ungheria, in favore degli antifascisti e degli ebrei, mentre avrebbe potuto godersi la vita, tranquillamente nella sua Stoccolma ed ha preferito entrare nella bolgia infernale di Budapest in mano ai nazisti. Sulla scena di quegli anni bui, nei quali fascisti e nazisti si sono scatenati, pur di conquistare e mantenere il potere, non c'erano solo Himmler, Kaltenbrunner, Eichmann, Kappler o Reder ed i loro ignobili collaborazionisti nei paesi occupati, ma anche uomini e donne di ben altra tempra e statura morale che hanno saputo sfidare il criminale disegno politico della sottomissione dell'Europa "ripulita dai diversi" (per convinzione politica, fede religiosa o origine etnica) con la sola arma della loro spontanea, generosa, disinteressata solidarietà verso gli oppressi ed i perseguitati. È una verità storica, che fa riflettere e meditare e ci conforta dagli orrori che portano il marchio del fascio littorio e della svastica nazista.

Da La libertà e i suoi costi, quaderni a cura dell'ANED di Milano e della Provincia di Milano, 1991

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