Ē l'ultimo giorno del marzo 1944. Il più tremendo marzo
della mia vita. Il cielo è grigio come sempre. Fa molto freddo, come al
solito. Stiamo costruendo un nuovo campo di concentramento,al di là
della zona dove sorge Gusen. Gusen è una squallida dipendenza di Mauthausen e
qui ci hanno mandati a trascorrere la cosiddetta quarantena.
lo sto riempiendo con altri grossi vagonetti di pietre. Ci
diamo dentro come dannati mentre ogni tanto la schiena viene accarezzata dalla
pesante gomma dei capoccia. La gomma è un nuovo tipo di scudiscio e consiste
nient'altro che in cinquanta centimetri di tubo del diametro di 30-40 mm. Quando non ti cade sulle spalle il suo sibilo è pur sempre lì
nell'aria, terrorizzante e sinistro. Coraggio, non sempre cade sulla medesima
schiena... Non ho lacrime per piangere la mia disperazione, non ho armi
per difendermi, non ho panni sufficienti a , ripararmi, non ho più forze per
spingere questo vagonetto. Stamani al solito ci hanno sbattuto giù dai castelli alle
quattro. Ci eravamo coricati alle 10 della sera prima e per ben due volte nella
notte ci hanno fatto alzare. Una volta per asportarci i peli da determinate
parti del corpo e una seconda per dare una passatina di rasoio alla riga larga
due centimetri che divide a metà la nostra testa pelata. Sono riuscito a lavarmi e a prendere la mia razione di caffè
senza buscare frustate. Che fortuna! Toccava a me riordinare la brandina di mezzo del castello...
ho impiegato alla bisogna tutta la mia scienza. Speriamo che sia andata bene se
no stasera rientrando... Ieri i tre possessori delle singole brandine di ogni castello
(i castelli sono a tre piani) che furono scoperti colpevoli di aver lasciato
qualche impercettibile piega, invece delle cinque gommate sul sedere nudo di
ciascuno, si sono sorbiti - belli e freschi com'erano dopo il lavoro quotidiano
- un'oretta di ginnastica ritmica che in nessuna palestra manco la sognano. Roba
da far rimpiangere non cinque ma venticinque scudisciate. Ogni mattino aumenta il numero dei morti che trovo
ammonticchiati nel gabinetto. Domani a chi toccherà? I pensieri siaccavallano uno all'altro. Tristi come
questi giorni. Più avvilenti della schiavitù stessa. Penso che sarà forse
l'ultimo marzo della mia vita. Rivado con la mente ai primi giorni di questo
mese. Come mi sembrano già lontani. Vi rivedo cari giorni pieni di struggente
ardore e di speranza. Il mio cuore era allora sereno e fiducioso. Spingo questo dannato vagonetto e tra i morsi della fame,
della sete, del freddo vi rivivo o giorni, ad uno ad uno per ritrovare quella
forza e quella passione che, come allora mi animava, oggi mi rianimi. Il vostro
pensiero scende nel profondo dell'animo scuote i nervi sfiniti dalla fatica e mi
riscalda il cuore come il sorso benefico di un liquore. La vostra visione
riempie di luce questo paesaggio squallido allontanando e disperdendo i
carnefici, strappando questo numero dal petto per ridarmi la personalità
perduta. Sì, sono ancora Gatti Marco di professione meccanico ed ho
lavorato alla FIAT di Torino. Nel momento della sempre più imponente riscossa del mio
popolo anch'io come lavoratore ho fatto sentire il grido di protesta
all'oppressore, e lo slancio solidale a chi combatteva sui monti. Scioperammo finalmente! Uniti e compatti per dire ai partigiani in lotta per
riscattare l'Italia dalla vergogna in cui era stata gettata e ridarle con dignità
la pace a cui fu costretta rinunciare che anche i lavoratori sono dei
resistenti. Per dire ai prepotenti che Torino, la mia città, la città che
forse fu la più insofferente all'arbitrio, al sopruso ed alla dittatura è
ormai percorsa dal fremito purificatore della ribellione. Questo il significato
degli scioperi. Tutto fu tentato per soffocare quell'insorgere. L'intimidazione,
le minacce, le armi. Ma tutto fu vano. Alla FIAT quei giorni non si lavorò. Equel grido di protesta s'ingigantì, lo risento divenire assordante clamore
di folle e spargere ovunque il seme della fede ritrovata. L'eco corse in ognidove, sgomentò lo stesso nemico e portò al mondo la novella del secondo
risorgimento italiano. Ma se il nemico per un attimo rimase sbigottito, di poi
fece tesoro delle proprie armi ed eccolo a cercare spietato le vittime da
immolare all'altare del suo cieco furore. E l'altare è qui in questo campo di
concentramento. Gli fu facile trovare le proprie vittime. Oh, come gli fu
facile! Quanti e chi furono i delatori alla FIAT che denunciarono quelli che
come me si trovano ora in questo luogo mentre i carnefici attendono con sadico
piacere alla lenta procedura dell'esecuzione? Ora i ricordi si fanno più vicini
alla mia mente, ed anche più tristi. Ripenso a quando vennero ad avvertirmi di
essere desiderato in questura. Quanta amarezza nel rivedermi ingenuamente
salutare la famiglia dando loro l'arrivederci per l'ora di pranzo. Giungerà mai
quell'ora? Lentamente svaniscono le ombre lontane, i cari volti si dissolvono
dinnanzi ai miei occhi. La gomma schiocca sulle spalle ed è un duro risveglio.
Tutto quanto mi circonda è ormai il mio passato, il mio presente, il mio
domani. Più in là ci sono Zanni, padre e figlio che lavorano accanto. C'è
niente di più crudele al mondo che assistere impotenti a veder battere il
proprio padre o il proprio figlio? Non ho più lacrime per piangere. Il cuore è
gelido come l'aria che respiro. Frugo con lo sguardo intorno a me per scorgere
il volto del delatore. E lo vedo, lo riconosco finalmente. Ē il volto del
mio aguzzino.
Dal
fascicolo «L'oblio è colpa», a cura dell'ANED di Milano, numero unico,
s.d., per gentile concessione