Documenti dell'ANED di Milano

«Non puoi tornare! »

Un racconto su Dachau

di Giovanni Melodia

A Dachau Daniele s'era fatto un amico straniero, un giovane studente nato in Italia da padre boemo e da madre greca. Ma di entrambi non aveva saputo più nulla fin dal primo giorno del suo internamento. Erano stati uccisi o lo avevano dimenticato? Forse era meglio non farsi domande. a che cosa servivano? Ormai aveva quasi trent'anni, Wenzel, ed era stato in carcere e poi a Belsen e poi a Mauthausen perché sospetto di antinazismo. Da Mauthausen, con altri quattro, era stato, morente, condotto a Dachau, all'infermeria. Là, per un miracolo della sua vigorosa giovinezza, era sopravvissuto. Ma gli erano rimasti nella schiena dei buchi e dei tagli così profondi che c'entrava una mano chiusa. - Gli esperimenti del dottor Schielling - diceva egli con un sorriso triste, e cambiava argomento. Come a Mauthausen, come ad Auschwitz, come a Buchenwald, come a Ravensbruck, come in tutti gli orribili campi di annientamento nazisti, anche a Dachau la Morte era padrona indiscussa e ghermiva ogni giorno legioni di uomini, in cento modi diversi. Morte per tifo petecchiale, per dissenteria, per battiture, per impiccagione, per fucilazione, per gas, per fame, per avitaminosi, per freddo, per eccesso di lavoro, per più di queste cose nello stesso tempo. Gli uomini cadevano sul lavoro col piccone in mano, o sotto la doccia, la bocca aperta i pugni contratti. Cadevano lungo le strade da un lager all’altro o sulla porta della baracca; cadevano nei corridoi dell'infermeria, cavie umane per gli esperimenti mostruosi dei medici nazisti e degli studenti dell'università di Monaco. Ogni giorno colonne infinite di uomini arrivavano dall'Ungheria, dall'Italia, dalla Grecia, dalla Francia, dalla Russia, a colmare i vuoti, a prendere il posto degli uomini stremati. La tozza quadrata ciminiera del crematorio fumava ogni giorno; il vento portava quel fumo tra le baracche, riempiva le nari e lo stomaco di coloro che ancora erano vivi. Con le ceneri dei morti si concimavano gli orti. Intorno al lager la corrente ad alta tensione circolava nei ben costruiti reticolati, gli SS si davano il turno nelle alte torrette blindate, guatavano ogni angolo del campo sul filo del mirino delle mitragliatrici. Nella cintura di orrore che stringeva il lager nessuno spiraglio s'apriva alla speranza degli uomini. Ma gli uomini non volevano morire, non volevano essere buttati a mucchi sui carri o a due a due nelle vecchie putride casse di abete che li avrebbero rovesciati sulle bocche dei crematori. Ripugnava troppo morire così. Per questo una sera, mentr'erano seduti fuori nella strada della baracca e per fortuna era Primavera e la terra non era più tanto bagnata, per questo Daniele disse piano al suo amico  - E se, nonostante tutto, un giorno noi tornassimo? - Wenzel lo guardò, poi scosse la testa: - Ma non è possibile - disse. - Non ricordi? ... Alludeva all'ordine di Himmler, relativo allo sgombero dei campi appena le truppe nemiche... E sgombero voleva dire annientamento. - Eppure - insistè l'altro - noi siamo ancora giovani; avevamo tante cose... Wenzel aveva tirato a sé le ginocchia, vi appoggiò sopra il mento. - No - rispose convinto – credilo: noi non possiamo tornare. Appunto perché siamo giovani. E poi tornare sarebbe una sciocchezza, una malvagità, una specie dì cattiva azione da parte nostra. Sarebbe come se dei morti, improvvisamente, dopo anni di solido decesso, ricomparissero davanti alla loro famiglia d'un tempo, in mezzo ai loro ex amici, a quelli che sono rimasti di là. Parlava senza girare la testa, rigido, lo sguardo fisso in avanti. - No, no – diceva, ed era come se parlasse a se stesso, la voce assente, fredda come le stalattiti di ghiaccio che tutto l'inverno avevano ornato il cornicione delle baracche. - Saremmo ricevuti come dei grandi inopportuni ai quali bisogna far festa per forza. Ti schiaccerebbero con dei grandi abbracci, con delle dichiarazioni retoriche; ma troveresti che intorno alla tovaglia un posto per te non c'è, troveresti che due persone debbono stringersi per lasciare un angolino anche per te, e ti ci troveresti a disagio, sentiresti di essere un intruso, uno che è tornato ma che ormai poteva fare a meno di tornare. «Alzeresti gli   occhi, e troveresti gli occhi tuoi stessi che ti guardano da dietro il vetro di un bell'ingrandimento. «Oh Dio! » direbbe qualcuno e si leverebbe a togliere quel coso dalla parete. Direbbero: «Tanto, ora che sei qui... ». «Ma tu scopriresti forse che ora alla parete c'è qualcosa in meno, così come alla tavola c'è qualcosa in più e vorresti toglierti dalla sedia e andare ad appenderti, queto queto, al muro,   dentro la cornicetta, per guardare tutti con occhi inalterabili, con lucidi occhi di carta patinata. «Troveresti che nel tuo letto dorme, da un pezzo, un altro e che la ragazza che diceva che ti avrebbe atteso per l'eternità s'è fidanzata con il tuo migliore amico. «Scusa», diranno, «ma chi pensava che saresti tornato? ». « Però saresti un pezzo interessante per i curiosi. E siccome sono molti, avresti molto da fare: «Mi racconti, mi racconti». Ma queste cose non si possono narrare, e se si potesse nessuno le capirebbe. Ma tu vorresti forse provarci e diventeresti noioso. Ti ascolterebbero forse volentieri fintanto che possano dire. «ma che idiota», ma a un certo punto tu non sei più un idiota, sei un uomo che ha affrontato mille volte la morte per non sorridere, per non inchinarti a chi ti faceva orrore, ed essi sentiranno che forse non avrebbero avuto questa forza, cominciano a sentirsi male dentro la camicia come se avessero addosso le pulci. E per liberarsi dalle pulci ti manderanno al diavolo. Ē così fastidioso il dubbio di essere dei vigliacchi». Rise forte, Wenzel, e per la prima volta guardò Daniele fermo negli occhi. Affrontava la morte ogni giorno per tenere contatti coi membri del comitato di resistenza, ma durante i bombardamenti aveva paura: non delle bombe, del rumore che gli entrava nei timpani e gli rompeva i nervi. - E, poi - riprese - e poi noi torneremmo con delle idee sballate. Per esempio sono anni che non vediamo le donne. Noi abbiamo ancora fitte nella testa le immagini delle nostre ragazze come esse erano anni fa. Ma la vita ha corso, per esse la ruota ha girato velocemente, e noi troveremmo che esse hanno molto vissuto. «Le donne più belle si saranno in questi anni tutte sposate. Ognuno avrà scelto. A noi non resteranno che gli scarti, ciò che gli altri hanno rifiutato, o le giovanissime. Ma quelle non ci vorranno, per esse saremmo ormai dei barbagianni troppo vecchi». Ma Daniele scuoteva la testa. A lui non sembrava di dover essere tanto barbagianni, e gli pareva che, potendo, sarebbe anche tornato volentieri. - Tutti si saranno sistemati - diceva Wenzel. - Tu sarai un uomo segnato nel viso e nello spirito. Non si sta qui, in mezzo a queste cose, senza diventare irrimediabilmente diversi. «Non capisci che noi siamo dei pazzi, che non si può stare notte e giorno abbracciati alla morte, alla fame, alle torture, al terrore; non si può ogni giorno vedere montagne di cadaveri, e fra essi i tuoi migliori amici, sapere che stanotte o domani io, tu stesso, andremo al crematorio, così, buttati nudi l'uno sull'altro, e non diventare pazzi? «E non è pazzo il blockhältester che ci batte per sentirei urlare, o tu ed io che dividiamo inutilmente fra di noi il nostro pane, o rischiamo le vergate e l'impiccagione per rubare durante gli allarmi una maglia di lana per quei vecchi dell'infermeria che tanto domani moriranno, come tutti qui? «E non è pazzo Skilonge che va a chiudersi, infermiere volontario, nel blocco degli appestati o Frei che va incontro alla tortura per dirci una parola buona nella nostra lingua? 0 Mario che si toglie di bocca la sua razione supplementare per darla a gente che riderà di lui, e gli stubedienst che ci derubano senza bisogno e gli interpreti che ci fanno la spia? «E non sono pazzi quei sei tuoi connazionali di Kottern che per una fetta di pane si sono prestati a frustare due loro compagni, tra le risa degli SS, fino a che gli staffili non hanno messo a nudo le ossa del bacino, fino a che i tuoi due disgraziati connazionali non sono morti ?». - Ma appunto, Wenzel, appunto per questo noi dobbiamo tornare, per dire queste cose... - A chi? A chi vuoi che interessino? «Esagerazioni», diranno. Nessuno che non abbia visto può credere queste cose; noi stessi che le vediamo e le soffriamo, stentiamo a crederle. - Farò una regolare denunzia, dirò i nomi... - Per mandare in galera della gente che è pazza come sei pazzo tu; per aggiungere a questo il disprezzo di gente che posta nella loro condizione tu non sai se si sarebbe comportata come loro o peggio di loro. Ci fu un lungo silenzio. Appoggiato il mento sulle ginocchia Wenzel scuoteva la testa come per un tremito nervoso. - No, no - ripeteva - noi non possiamo tornare. Non ci capirebbero e noi non li capiremmo. E poi, che cosa faremmo, noi, tornando? A che cosa serviremmo coi nostri nervi logori, le braccia ossute e gli occhi che sembrano spelonche? No, questo nostro sguardo da allucinati non lo perderemo più; non possono uscire da queste pupille le cose che abbiamo viste e che non si cancelleranno. « Torneremmo, e troveremmo che tutti si sono in un modo o nell'altro sistemati, che ogni situazione è di nuovo diventata un circolo chiuso che tenterai invano di forzare con le tue deboli mani. Potrai tentare, invano, di attaccarti fuori della portiera, come in un tram. E l'Italia e qualsiasi altro Paese sono ormai come tram troppo pieni che non s'arrestano alle fermate. Resterai sempre un qualcosa di mezzo fuori e mezzo dentro al tram, un'escrescenza, un reduce insomma. Un sopravvissuto, uno che è tornato e non doveva tornare e non ha forza abbastanza per poter rimanere né coraggio per sparire. «Lavoro non te ne vorranno dare e, nel loro interesse, avranno ragione. Qui in Germania tu avrai fatto tutti i mestiere meno che il tuo, che avrai dimenticato. Mentre chi avrà servito tranquillo sotto tutti i governi sarà uno specializzato inamovibile. Ma Daniele scuoteva la testa. - Non credo che siano, poi, così cattivi - diceva. - Tu giudichi sotto un falso angolo visuale; qui, sì, tutti sono cattivi, ma fuori, in un ambiente diverso... - E se ti riesce, tu torna - diceva Wenzel. - Se te la senti di continuare a fare esperimenti su te stesso, torna. Magari troverai una donna che per pietà o per disperazione ti accetterà per marito. E ogni tanto le sentirai ripeterti che voleva più bene all'altro, ma infine... « Vivrai così, è inevitabile, cogli scarti degli altri, colle briciole che cadono dalle mense. Avrai quel pezzetto di cielo che nessuno vuole, quel poco d'aria che nessuno respira, e baci a pagamento, se ancora ti interesseranno e se avrai quattrini per comprarne. Per me io ci rinuncio. Perché tornare? Sarei di fastidio agli altri e mortificherei me stesso. Meglio fare una svelta spirituale ascensione lungo la faccia interna della ciminiera del crematorio. Tanto, morto per morto». Così diceva Wenzel. E con la sua filosofia quieta e amara e col grosso cuore che non funzionava più, riusciva a mantenersi grassottello in volto, tanto grassottello che gli SS lo ritennero idoneo - col suo cuore che non funzionava più - ai lavori in miniera. E Wenzel, gonfio com’era per avitaminosi, partì, a piedi, per Buchenwald. Aveva dei piccoli occhi celesti, Wenzel, affondati nel viso un po' flaccido. Dei piccoli occhi celesti che non sapevi mai se ridevano o se piangevano, che non sapevi mai se erano buoni o cattivi. E forse erano proprio così: piangevano e ridevano, erano buoni e cattivi nello stesso tempo. Lungo il viaggio non gli diedero nulla da mangiare perché gli SS non ritennero utile perdere del tempo per dar da mangiare a dei prigionieri, e la popolazione tedesca non ritenne patriottico uscire dalle proprie case per gettare dei pezzi di pane a quella processione di stranieri cenciosi. Wenzel allora, poiché ormai era morto anche per i Tedeschi, arrivato a Buchenwald si buttò per terra: i soldati SS alzarono i frustini e lo colpirono nel viso, selvaggiamente, ma Wenzel non volle rialzarsi e mantenne chiusi quei suoi piccoli occhi celesti che non sapevi mai se ridevano o se piangevano, che non sapevi mai se erano lucidi di felicità o ai disperazione. Arrivarono le truppe liberatrici. Ma Wenzel non le vide, non le senti aveva ormai perduto il desiderio di sopravvivere. I superstiti che ancora avevano la forza di desiderare la vita si abbracciavano ai soldati liberatori, singhiozzavano balbettando i nomi dei loro cari lontani che, oltre la speranza, li attendevano forse ancora. Dietro le palpebre chiuse di Wenzel v'era ormai solo la visione della Mauthausen di due anni prima, di Dachau, del mortale viaggio a piedi verso la sua tomba di Buchenwald. V'era forse l'immagine degli uomini che più gli erano stati amici negli anni terribili. E pensando, con gli occhi già chiusi, a Dachau, pensò certamente anche a Daniele che lì era stato il suo amico migliore. Pensò che non aveva potuto salutarlo, pensò che forse era ancora morente all'infermeria di Dachau, o forse già morto sotto gli esperimenti del dottor Schielling. Pensò forse al sacchettino di carta, grande quanto un pugno, con dentro due cucchiaiate di farina che, al momento di partire, egli aveva nascosto fra la roba dell'amico, involto in un bigliettino: “Daniele, mon ami, adieu”. Un pugnello di farina che era tutta la sua ricchezza e che egli lasciava a Daniele che - forse! - intendeva ritornare. A lui non serviva. Egli aveva ormai deciso di mai più riaprire quei suoi lucidi occhi celesti che ridevano e piangevano, che erano soavi e disperati nello stesso tempo.  

Dal fascicolo «L'oblio è colpa», a cura dell'ANED di Milano, numero unico, s.d., per gentile concessione

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