Ecco il racconto fedele fattomi da un testimone oculare,
l'Avv. Nino Bonelli di Saluzzo:
Il 20 aprile 1945 ero ricoverato nel blocco 7 del Campo Russo
(l'Ospedale) essendo affetto da forte diarrea. Avevo due paia di mutande ma ero
senza camicia. Nel pressi del gabinetto vi era un “letto di porcherie” su
cui buttavano gli ammalati di diarrea quand'erano moribondi. Andai al gabinetto:
vi era una lunga fila di deportati in attesa del proprio turno. Mi ero un po'
appoggiato all'uomo che mi stava davanti: ma questi mi diede una spinta e caddi
sul “letto di porcherie”, ove rimasi svenuto. Quando rinvenni, avevo dei
cadaveri addosso. Un russo mi tirò fuori e sulle spalle mi riportò al mio
posto, prendendosi le mie mutande, così sudice com'erano. Era infermiere un
certo Godlewschy, professore di letteratura polacca all’Università di Lilla:
questi mandò ad avvertire il Prof. Vallardi il quale si tolse le sue mutande e
me le mandò. Il 21 aprile era il compleanno del Führer: vi fu quasi una
sosta nella tormenta del campo. Il 23 aprile circolò la voce che per sfollare l'infermeria
ci avrebbero mandati in altro posto, ove saremmo stati meglio. In circa 4800
fummo mandati al campo III, ove ci nudarono e ci privarono persino del numero di
matricola. Altri furono prelevati il giorno seguente. Pensai male. Potetti esprimere il mio timore al Prof.
Vallardi: ma questi mi tranquillizzò, ritenendo che ci avessero tolto il numero
di matricola per farci trovare senza numeri alla liberazione. Messi in fila, con una coperta addosso fummo mandati nella
parte superiore del lager. Passando dal portone principale, un gruppo di
detenute francesi ci gridò: “Vogliono salvarci, la Croce Rossa Internazionale
sta per salvarci”. Fummo menati nei sei blocchi dal 25 al 30, che prima erano
usati per la quarantena: i sei blocchi erano recinti da un alto muraglione con
fili ad alta tensione. Eravamo completamente nudi. senza capo-blocco, né screiber,
né alcun capo.
Eravamo ancora dubbiosi ed inquieti per la nostra sorte,
quando alcuni capi con delle SS vennero a prelevare circa 150 uomini. Vedemmo
che li fecero scendere per la scaletta che conduceva alle camere a gas, nei
pressi del crematorio. Capimmo che ormai non vi era più nulla da fare: la
nostra vita era finita. Vi fu un accasciamento generale. Alcuni gridavano: ma
giunsero subito alcuni capi per avvertirci che le SS avrebbero mandato i cani
perché le nostre grida disturbavano, mentre se fossimo stati tranquilli avremmo
avuto della zuppa. Tacemmo. Arrivarono due o tre bidoni di zuppa: molti affamati
si buttarono sui bidoni, ed a forza di tirarli ognuno dalla propria parte,
finirono col rovesciarli. Si videro allora parecchi gettarsi a leccare quella
broda. Chiusi nell'anticamera della morte, non restava che
rassegnarci. Ci accostammo maggiormente l'uno all'altro, raccontandoci a vicenda
la nostra vita: una vera fusione di anime in quella massa di morituri. In fondo
al nostri cuori qualche speranza pur rimaneva ancora: ci era stato detto che i
russi erano già a Bratislava, gli americani a Linz. Intanto, periodicamente arrivavano i capi per altri prelievi:
si vedevano quegli infelici esseri uscire a gruppi dai blocchi vicini ed
incamminarsi nudi per la tragica scaletta. La immensa condanna a morte veniva
“scientificamente” eseguita. Questa agonia si protrasse nei giorni 24, 25 e 26 aprile. Man
mano finirono col vuotarsi vari blocchi (io ero nel blocco 29). Una volta ogni due giorni portavano due o tre bidoni di
zuppa, che venivano immancabilmente rovesciati. Eravamo riusciti a procurarci una latta vuota: fregando due
pezzi di legna dei blocco facemmo il fuoco. La improvvisata cucina veniva
concessa a turno per cuocere delle erbe. Arrivò pure il turno degli italiani.
ma quasi al termine della cottura, un polacco immerse la mano nell'acqua
scottante e portò via tutta l'erba.
Il giorno 27, vuotati gli altri blocchi, cominciarono i
prelievi al blocco 27 (in ogni blocco vi erano circa 1000 deportati). Ogni due o
tre ore arrivavano i capi e prelevavano un centinaio di uomini. All'aprirsi
della porta, tutti cercavano di tenersi indietro. Solo alcuni, stanchi di
agonizzare nell'attesa. finirono col farsi avanti per abbreviare la loro
sofferenza. La sera del 27 aprile arrivarono alcuni deportati
cecoslovacchi addetti agli schedari: con dei fogli in mano, chiamarono alcuni
uomini, tutti francesi, che venivano chiamati fuori. Si sentì pure qualche nome
che non ora francese. Lo stesso avvenne negli altri blocchi. Dal blocco vicino vidi uscire un corto Spartaco di Genova.
Era evidente che i francesi venivano salvati. Ricordavamo
il grido delle donne francesi all'ingresso del lager. Quella sera non vi furono
altri prelievi di uomini: la gassazione ebbe una sosta. Ma non si dormì,
pensando che il mattino seguente sarebbe stata ripresa e vi saremmo andati anche
noi. Ormai una metà del blocco era vuota. Difatti, il mattino seguente (28
aprile) arrivarono le SS e ricominciarono i prelievi. Vi furono scene selvagge,
i più forti si tiravano indietro, per cui venivano afferrati e portati via i più
deboli. Tra gli altri fu portato via anche ing. Mezzani, uno dei Direttori della
Breda di Sesto San Giovanni. Circa un'ora dopo ritornarono i cecoslovacchi con
nuove liste di francesi: ma non tutti risposero, la maggior parte erano stati
sacrificati. Ad un tratto sentimmo chiamare: ”Borghi”: fu spinto fuori. Poi
Bricco, un pompiere di Torino. Poi Vezzani, che non rispose. Dopo un attimo, si
fece avanti il giovane Libero Rossino di Torino: gli fu chiesto il numero di
matricola, e lui - che era dello stesso trasporto dell'Ing. Vezzani - cercò di
indovinarne il numero di matricola. Ma il numero non corrispondeva: con un
calcio fu ricacciato indietro. Purtroppo fu preso nel successivi prelievi e lui
pure fu gasato. Ancora dei nomi: lean Bonelli, poi Zanni, un infermiere di
Torino. Fummo portati fuori dal macello. Si avvicinò a noi Giuliano Pajetta, il
quale si dispiacque molto nell'apprendere la morte di Vezzani: diceva che glielo
avevano tanto raccomandato. Poi disse: “Voi dovete la vostra salvezza ai
comunisti cecoslovacchi che hanno rischiato e rischiano la loro pelle
falsificando le schede personali e facendovi apparire francesi. Ora sarete
trasportati in Francia dalla Croce Rossa Francese, attraverso le linee di
combattimento. Finché siete nella zona tedesca, anche se apparentemente liberi,
per nessun motivo dovete dire la vostra nazionalità: in ogni caso dovete dire
che siete francesi, anche se vi uccidessero, voi non dovete in nessun caso
causare la morte dei vostri salvatori”. - Ci diede ancora dei suggerimenti sul
modo di comportarci. Mentre Pajetta parlava, Borghi cadde colpito da sincope. Ci
diedero una coperta e ritornammo al Campo Rosso. Arrivarono dei pacchi della C.
R., ma tutti per i francesi. Per gli italiani niente. Un compagno francese: Guilleminot di Luan (presso Bourgen
Bressé) che già nel mesi scorsi aveva diviso con me il pane della
“solidarietà francese” mi diede un pezzo di dolce e qualche altra cosa. Ma
le forze mi mancavano e mi accasciai pensando che sarei finito io pure come
Borghi. Il 29 ed il 30 aprile rimasi in stato di semi incoscienza. Arrivò finalmente il 1 maggio, e fu il primo maggio della
liberazione Il capo lager dei Campo Rosso disse che Hitler era morto ed
Himmler era fuggito, per cui le SS si sentivano sciolte dal giuramento prestato
e consideravano esaurito il loro compito: ahimè, un assai triste compito, di
cui per lungo tempo l'umanità sentirà vergogna! Il custode del lager di
Mauthausen fa ora visitare le quattro piccole stanzette rivestite di mattonelle,
indica i tubi da cui usciva il micidiale gas, mostra la piccola porta di metallo
con lo spioncino di vetro.
La mente del visitatore non riesce ad immaginare la
condizione dei poveri sacrificati. Non si riesce a restare in quelle lugubri
stanzette, par che ancora vi operi il gas tossico, par che uno stuolo di dannati
vi prema tutto intorno. Bisogna uscire all'aperto. Accanto vi è un grande stanzone, non ancora terminato.
Spiega il guardiano che negli ultimi tempi, essendo diventate insufficienti le
quattro stanzette, i dirigenti avevano messo mano alla costruzione di un unico
grande locale. Per fortuna, non fecero in tempo a metterlo in azione. Il visitatore rifugge inorridito da quell’ambiente, mentre
nell'animo gli martella insistente una domanda:
PERCHÉ?
Ma un perché che spieghi tanta strage, non c'è. Eppure, il
misfatto fu compiuto. Esso fu il risultato di una particolare mentalità: “il
razzismo teutonico”, questa pazza idea per cui tutto un popolo si trovo
impazzito con la pretesa di sapersi superiore agli altri popoli, e si arrogò
quindi la funzione di governare le razze inferiori. Con tale mentalità il
tedesco non si sentiva più un uomo tra uomini, ma un semidio di fronte ad
esseri spregevoli. Soltanto la ubriacatura della pretesa superiorità di razza
potè permettere che intere torme di uomini appartenenti a «razze di scarto»
venissero così sistematicamente eliminate. Per quei sacerdoti del nuovo verbo
razziale, quella strage assumeva quasi il valore di purificazione. Vorremmo dimenticare e non più parlarne. Ma è più che mai
opportuno ricordare e parlasse oggi che gli autori di tanti misfatti tornano
alla ribalta.
Dal
fascicolo «L'oblio è colpa», a cura dell'ANED di Milano, numero unico,
s.d., per gentile concessione