Documenti dell'ANED di Milano
Enzo
Collotti
Università
di Firenze
L'esperienza
del Litorale adriatico
Questo
mio intervento non si soffermerà in via prioritaria sulla ricostruzione di
fatti che dovrebbero essere in buona parte già noti. Vorrei premettere soltanto
il minimo di informazioni necessarie alla comprensione del discorso. Basandomi
come mi pare ovvio e naturale sui molti studi che ho dedicato nei decenni
passati all'oggetto di questo intervento, vorrei piuttosto sviluppare una
riflessione sul significato che in una prospettiva storica di lungo periodo ha
avuto l'esperienza dell' Adriatisches Kiistenland, del Litorale adriatico, come
momento culminante della crisi degli assetti politico-territoriali nell' area
del vecchio confine orientale del regno d'Italia scaturita da un complesso di
fattori che denotano di per sé il carattere non locale della situazione della
quale si tratta: la crisi definitiva del regime fascista, la sconfitta militare
dell'Italia fascista, l'armistizio del settembre del 1943 e la rottura senza
possibilità di recupero dell'alleanza tra Italia fascista e Germania nazista.
È bene non perdere mai di vista quello che noi storici chiamiamo banalmente il
contesto, altrimenti tutti gli sviluppi posteriori all'8 settembre del 1943
potrebbero sembrare un arbitrio del destino o l'irruzione di fattori nuovi
senza alcun rapporto con le vicende pregresse. Come si vedrà facilmente dalla
mia esposizione il germe della situazione che si creerà nella Venezia Giulia,
nell'lstria, nell'area limitrofa della Slovenia era tutto interno alle
situazioni che sono state illustrate dagli studiosi che mi hanno preceduto e
che si possono sintetizzare in un triplice naufragio delle ambizioni
dell'imperialismo italiano: della pretesa di imporre la snazionalizzazione
delle popolazioni delle minoranze slovena e croata e la loro italianizzazione
forzata; della pretesa di affermare la conquista territoriale di porzioni della
penisola balcanica a sostegno della vecchia aspirazione nazionalista di fare del
mare Adriatico un mare interno italiano; infine della pretesa di affermare
l'egemonia
dell'Italia nella penisola balcanica in concorrenza con l'imperialismo germanico
quasi a volere forzare il baricentro degli equilibri tra le potenze dell' Asse
in quel settore strategico a favore dell'Italia. Brevissimamente i fatti:
all'indomani dell'armistizio italiano del 1943 e della dissoluzione
dell'esercito regio, che significò la perdita del controllo delle forze
italiane sul territorio entro i confini dello stato italiano ed anche sul
territorio sottoposto ad occupazione militare da parte delle forze italiane (e
non solo sul territorio ex jugoslavo direttamente annesso nel 1941 al regno
d'Italia), la rapida occupazione dell'area della Venezia Giulia, della provincia
di Lubiana e del territorio dalmata da parte della Wehrmacht comportò una
riorganizzazione politicoterritoriale che, lungi dal rappresentare una
soluzione transitoria di breve periodo, preludeva ad un mutamento radicale e in
una prospettiva senza scadenze della nuova unità territoriale della quale
riviveva la denominazione geografico-amministrativa del periodo absburgico di
Litorale adriatico. Dal settembre del 1943 all'aprile del 1945 le province di
Trieste, Gorizia, Udine, (che fu distaccata dalla regione Venezia Euganea),
Pola, Fiume e Lubiana furono costituite nella speciale Zona d'operazione
Litorale adriatico ad analogia della omologa zona delle Prealpi, in cui furono
aggregate le province di Trento, Bolzano e Belluno. Caratteristica comune delle
due speciali zone d'operazione era di trovarsi situate in zone di confine del
vecchio stato italiano, o in contiguità diretta con il Grande Reich, come nel
caso della Zona delle Prealpi, o lungo la vecchia frontiera italiana sul
versante balcanico. Entrambe le zone rappresentavano sicuro interesse strategico
per la Wehnnacht, in quanto aree di transito diretto per i rifornimenti di
truppe e di materiale bellico per il fronte italiano. Il Litorale adriatico in
particolare si presentava come area di transito verso l'intero settore balcanico,
oltre che come settore immediatamente operativo, già largamente compenetrato da
unità partigiane jugoslave, che già molto prima dell'armistizio italiano del
1943 si erano insediate al di qua del vecchio confine italo-jugoslavo, sicché
la loro stessa presenza aveva fatto dell'area nordorientale uno degli epicentri
della crisi che tra il 1942 e il 1943 preluderà al collasso politico-militare
del regime fascista. L'esistenza del Litorale adriatico fu dal punto di vista
temporale una creazione di durata relativamente breve, non più di venti mesi.
Ma dal punto di vista dell'incidenza sulla vita dell'area che ne fu coinvolta fu
un'esperienza assai profonda, per la radicalità delle soluzioni proposte
dalla presenza del dominio tedesco, per la radicalità delle emozioni suscitate
facendo riemergere l'illusione di un passato irrevocabilmente tramontato e
lasciando ferite aperte che non avrebbero contribuito neppure a guerra finita
alla pacificazione di questi territori. Prescindendo da una ricostruzione
cronistica degli eventi che caratterizzarono questa fase della storia della
regione mi limiterei a richiamare tre complessi di situazioni e di problemi nei
quali si possono sintetizzare le motivazioni e i caratteri della
ristrutturazione imposta dalla gestione tedesca. Queste situazioni possono
essere individuate come segue:
1)
Si tratta di chiarire in primo luogo, al di là delle contingenti esigenze
militari che fornirono il pretesto formale alla creazione del Litorale
adriatico, la portata e il significato della sottrazione del territorio alla
sovranità italiana, nel caso specifico della Repubblica sociale italiana,
nelle sue immediate ripercussioni pratiche ma anche dal punto di vista della
valutazione retrospettiva dell' esperienza del fascismo e in prospettiva
nell'ottica della realizzazione del Nuovo ordine europeo.
2)
In secondo luogo si tratta di mettere in evidenza l'analisi dei rapporti tra le nazionalità e l'impostazione delle questioni etniche che
guidò la gestione del territorio da parte delle autorità tedesche in quel
misto di operazione nostalgia e di operazione consenso che ne ispirò politica e
propaganda.
3)
In terzo luogo si tratta di analizzare le componenti dell'ulteriore esplosione
di violenza che fu scatenata in quest' area direttamente dalla politica nazista
di contrapposizione l'una contro l'altra delle nazionalità presenti, come se già
il potenziale di odio e di aggressività accumulato dalla politica di
snazionalizzazione del regime fascista e dallo scatenamento della repressione
antipartigiana conseguente all'invasione fascista della Jugoslavia non avesse
minato alla base la possibilità di convivenza tra le diverse comunità
nazionali. La politica distruttiva del Terzo Reich rappresentò per le
popolazioni dell' area un duro banco di prova al limite di sconvolgimenti che
rasentarono la guerra di sterminio.
L'aspetto
più appariscente della nuova sistemazione data dalla Germania nazista alle
speciali Zone d'operazione delle Prealpi e del Litorale adriatico fu in termini
immediati la sottrazione di fatto di queste aree alla sovranità italiana e
quindi la loro separazione dall'alleata Repubblica sociale del neofascismo di
Mussolini rinato dopo l'armistizio all' ombra delle armi tedesche. Fu rispetto
al resto dell'Italia occupata (appunto l"'alleato occupato" secondo
la felice definizione di Lutz Klinkhammer che evidenzia i limiti dell'alleanza
dopo l'8 settembre, molto meno gli oneri dell'occupazione) una cesura
profonda, una ferita che lese profondamente e per certi aspetti irrevocabilmente
il prestigio e la credibilità della Rsi. come tutrice degli interessi
dell'Italia. L'annessione di fatto al Terzo Reich fu nel caso specifico delle
Zone d'operazione dell'Italia settentrionale e nordorientale conseguenza non
solo di generiche aspirazioni espansionistiche ma più propriamente
espressione della reviviscenza di un forte irredentismo austriaco nei confronti
dei territori perduti dal defunto impero absburgico alla fine della prima guerra
mondiale. La pressione di quella che potremmo definire una lobby austriaca
all'interno del Grande Reich germanico dopo l'Anschluss del 1938 fu determinante
nel dare una spinta e obiettivi concreti al generico risentimento e alla volontà
di vendicarsi dell'Italia che nelle sfere dirigenti naziste circolava già
anteriormente al 25 luglio del 1943 e a maggior ragione dopo il colpo di stato
contro Mussolini e l'armistizio del settembre. Comunque la rapidità con la
quale fu realizzato l'insediamento dell'amministrazione tedesca nell'
Alpenvorland e nell'Adriatisches Küstenland fornisce la conferma che si trattò
dell'attuazione di più antichi progetti, di pressioni che erano andate
aumentando parallelamente alla disfatta militare dell'Italia e alla volontà
punitiva che cresceva parallelamente all'insicurezza che la debole cerniera
italiana insinuava rispetto alle posizioni più avanzate dello schieramento
italo-tedesco sul fronte balcanico, vale a dire su uno dei fronti principali
destinati a fare da argine alle popolazioni slave e sul piano
politico-ideologico
al bolscevismo. La contiguità delle Zone d'operazione con regioni limitrofe
dell' Austria all'interno del Grande Reich germanico, la zona delle Prealpi
rispetto al Tirolo, il Litorale Adriatico rispetto alla Carinzia, è un'altra
delle componenti che aiutano a collocare la nuova sistemazione
politico-amministrativa in una corretta prospettiva. Nel caso specifico del
Litorale adriatico viene da pensare ad un prolungamento meridionale della
provincia carinziana. La nomina ad alti commissari delle due Zone d'operazione
rispettivamente del Gauleiter del Tirolo Hofer per le Prealpi e del Gauleiter
della Carinzia Rainer per il Litorale adriatico completa il quadro nei suoi
aspetti istituzionali confermando al tempo stesso il carattere non meramente
transitorio della gestione avviata dopo l'armistizio. Pur non potendo prevedere
quale sarebbe stata la forma che avrebbe assunto il definitivo incorporamento
delle Zone d'operazione del Grande Reich non possiamo non considerare la
soluzione amministrativa imposta dopo l'8 settembre come una sorta di
soluzione ponte verso la definitiva annessione al Grande Reich. La separazione
dal resto d'Italia era accentuata dall'estraneità del sistema amministrativo
alla stessa rete della Amministrazione militare (Militärverwaltung) che si
sovrappose nel territorio della Rsi. alla sopravvivenza di una amministrazione
italiana. Nelle zone d'operazione non vi fu alcuna sovrapposizione:
l'amministrazione civile tedesca si sostituì all'amministrazione
italiana, la sopravvivenza di alcune cariche tradizionali dell'organizzazione
amministrativa italiana (il prefetto, il podestà) ebbe un significato meramente
strumentale, in quanto questi organismi privati totalmente di qualsiasi rango
decisionale non avevano altro ruolo che di fungere da cinghia di trasmissione
della catena di comando gestita direttamente dall'amministrazione civile
tedesca. L'autonomia del Litorale adriatico rispetto al resto d'Italia fu
particolarmente evidente nella sottrazione alla sovranità italiana
dell'amministrazione degli interni, della giustizia, oltre che, ovviamente,
delle competenze di carattere militare. Infine, non si può considerare una
mera circostanza occasionale o di comodo il fatto che la gestione
dell'amministrazione civile fosse affidata in misura quasi totale a personale
di estrazione austriaca e spesso carinziana, portatore quindi di un retroterra
politico-culturale particolarmente idoneo a confluire in un progetto di
annessione nel quadro austro-tedesco. Per fare una serie di esempi
significativi, come già altra volta sottolineato: dalla Carinzia proveniva il
più stretto collaboratore di Rainer, il suo vice dr. Wolsegger. Dalla
direzione della propaganda del Reich per la Carinzia proveniva il dr. Lapper,
che assunse la direzione dei servizi propagandistici nell'Adriatisches Küsterland,
che ebbero una importanza strategica nel quadro globale della politica tedesca.
Dalla Carinzia proveniva il consulente giuridico di Rainer dr. Messiner;
quest'ultimo
a sua volta si servì della collaborazione del presidente dell'Oberlandsgericht
di Graz per organizzare l'amministrazione della giustizia nell' AK. Dalla
Carinzia provenivano i responsabili della sezione cultura, delle sezioni
finanza, economia e lavoro. Walzl, autore dello studio per ora più completo
sulla composizione dell'amministrazione civile del Litorale, può concludere che
"analizzando l'insieme dei capisezione, si può dire, a titolo generale,
che non ce n'era neppure uno che non fosse carinziano o che prima dell'impiego a
Trieste non avesse almeno già lavorato in Carinzia". Austriaco e
addirittura
nato nella stessa Trieste era uno dei maggiori responsabili della politica
tedesca nell'AK, il capo supremo delle SS e della polizia, il generale delle SS
Odilo Globocnik, che formalmente dipendeva dal capo supremo delle SS e della
polizia nel resto d'Italia, generale Karl Wolff, ma con un particolare rapporto
di autonomia che gli conferiva una particolare autorità sulle forze di polizia
alle sue dipendenze. Era lo stesso Globocnik che aveva realizzato in Polonia la
"soluzione finale", la cosiddetta Aktion Reinhardt, che arrivò a
Trieste quasi per punizione, accusato di scorrettezze patrimoniali compiute
nell'esecuzione degli ordini di annientamento della popolazione ebraica in
Polonia e il cui zelo persecutorio e repressivo a Trieste si può interpretare
anche come un modo per farsi riabilitare sul piano professionale agli occhi dei
vertici delle SS. L'allentamento dei vincoli con l'Italia era uno dei
presupposti per orientare l'area verso un futuro tutto segnato dall'inserimento
nel Grande Reich germanico e nel più ampio e ambizioso orizzonte del Nuovo
ordine europeo. Si ripeterono in quest'area meccanismi tipici del rapporto tra
dominatori e dominati, specialmente nei confronti delle popolazioni considerate
di razza inferiore, già collaudati o attuati nelle altre parti dell'Europa
conquistate dal Terzo Reich. Il carattere e la funzione di subalternità
attribuiti all'amministrazione e ai collaboratori locali furono uno degli
aspetti maggiormente visibili della gerarchia di potere inflessibilmente imposta
dagli occupanti. Va da sé che, nel quadro delle prospettive nuove che si
volevano offrire all'area, una funzione determinante fu attribuita al
dispiegamento di una assai attiva propaganda, che ebbe tra i suoi epicentri
anche la pubblicazione di un quotidiano in lingua tedesca, la Deutsche
Adria-Zeitung (dal 14 gennaio 1944 al 28 aprile 1945). Uno dei capisaldi di
questa propaganda rivolta soprattutto ai delusi dei decenni trascorsi
dall'annessione della Venezia Giulia all'Italia consistette nel tentativo di
prospettare la rinascita delle fortune economiche e commerciali di Trieste
nell'ambito di un nuovo orizzonte, quello immaginario del Nuovo ordine
europeo, rompendo decisamente con un passato di decadenza, che inevitabilmente
veniva identificato con la gestione italiana, assunta polemicamente come motivo
contingente a convalida del processo di separazione in atto anche al di là di
reali motivazioni storiche, che non potevano non collegare la decadenza
dell'emporio triestino non soltanto alla cattiva gestione dell'Italia ma anche
al venir meno delle condizioni generali - a cominciare dalla dissoluzione dell'Austria-Ungheria
- che aveva sconvolto l'unità del suo naturale hinterland. Il processo di
distacco dall'Italia fu il primo passo di un più complesso sviluppo in cui
motivi politico-propagandistici si intrecciavano a più elaborati tentativi di
analisi teorico-politiche che miravano a legittimare la presenza e la
dominazione tedesca con il retroterra delle conflittualità nazionali che
avevano infiammato l'intera area del Litorale adriatico. Nell'ottica della
propaganda tedesca un motivo privilegiato, destinato a procurare consensi presso
la borghesia e la piccola borghesia triestina, fu rappresentato dalla proiezione
europea che doveva coprire le mire annessionistiche dell'imperialismo germanico.
Il leitmotiv di Trieste "finestra dell'Europa sul Mediterraneo", che
segnò l'esordio del messaggio martellato giorno dopo giorno dalla Deutsche
Adria-Zeitung, era strettamente funzionale all'inserimento del porto
adriatico negli schemi geopolitici tipici dell'imperialismo nazista,
nell'intento di sollecitare la collaborazione dei ceti economici e commerciali
locali in un quadro di interessi nazionali ma soprattutto internazionali in
stridente contrasto con le sorti del conflitto che sembrava ormai allontanare e
non già avvicinare la realizzazione degli obiettivi del Nuovo ordine europeo.
Ciononostante, la propaganda nazista non rinunciava al tentativo di fare
breccia negli interessi dei ceti imprenditoriali e assicurativi triestini
sollecitandone la convergenza con quelli del Grande Reich proponendo, dopo il
fallimento del sogno imperiale del fascismo nei Balcani, la prospettiva del
trionfo dell'imperialismo nazista e dell'inserimento in una mitica
Mitteleuropa come unica possibilità per la realizzazione delle loro
aspirazioni. Prima ancora di insediarsi nell'Adriatisches Küstenland, Rainer
aveva cercato di motivare l'introduzione di una amministrazione tedesca
fornendo una analisi della situazione delle nazionalità presenti nell'area che
tendeva a dimostrare il carattere minoritario della componente italiana. Per
giungere a questo risultato egli sottostimava la presenza degli italiani sia
nella provincia di Gorizia che nel Friuli e nella stessa area urbana di Trieste,
erigendo a nazionalità autonoma i cosiddetti "furlaner": una
manipolazione storico-concettuale oltre che statistica che doveva servire a
rendere attendibile la necessità dell'intervento pacificatore della Germania
come arbitro tra i quattro gruppi linguistici (furlaner, italiani, serbi,
croati) che si contendevano il controllo del territorio. Coerentemente alla
sua proposta di riportare la frontiera italiana al confine italo-austriaco del
1914, Rainer assegnava i "furlaner" a un gruppo etnico-linguistico
diverso dagli italiani, quello degli Alpenund Ratoromanen, secondo una delle
tante classificazioni razziali in uso nel periodo nazista. Caratteristica
dominante della situazione delle nazionalità della regione erano per Rainer, da
una parte il rifiuto generalizzato della gestione del fascismo, la cui prova
fallimentare ultima era rappresentata dal divampare del movimento partigiano
slavo; dall'altra la constatazione che gli italiani non rappresentavano la
componente maggioritaria della popolazione. Come abbiamo ripetutamente
sottolineato in precedenti studi, la negazione dell'esperienza del passato
regime fascista era un tratto comune ad altre fonti della propaganda e della
politica nazista, dai rapporti del dipartimento per la propaganda alle fonti
della MV. Per il Litorale adriatico la teorizzazione più completa e più
drastica
della politica tedesca è contenuta in un ampio documento pubblicato a cavallo
tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 ad uso interno delle unità militari e
di polizia tedesche operanti nell'area, in primo luogo come manuale di guerra
antipartigiana, ma più in generale come manuale di orientamento
storico-politico,
in cui la strategia della guerra di annientamento era strettamente legata
all'analisi di carattere storico delle origini della guerra per bande e alle
considerazioni politiche e sociologiche del conflitto delle nazionalità nella
regione. L'ufficialità di questo documento, il Bandenkampf in der
Operationszone Adriatisches Küstenland, è attestata dal fatto che esso era
preceduto da una presentazione a firma del capo delle SS e della polizia
dell'area, generale delle SS Odilo Globocnik. La parte più scontata di questo
documento era l'analisi del fallimento della politica del fascismo, cui veniva
addebitata la sopraffazione dei diritti nazionali delle popolazioni slave, come
premessa non priva anche di una certa superiorità razziale nei confronti degli
italiani, per affermare l'inadeguatezza di questi ultimi a governare la regione
e motivarne una volta di più la
separazione dall'Italia. La
rappresentazione esasperata della mescolanza e delle conflittualità delle
nazionalità, l'insistenza appunto sulla loro frammentazione e sul "mosaico
etnico" con il quale se ne voleva simboleggiare la caotica mescolanza,
non rispondeva ad esigenze di carattere storico, era piuttosto funzionale agli
obiettivi della politica nazista e come sempre in primo luogo alla
legittimazione della presenza della Germania come fattore e potenza d'ordine.
Nella stessa misura in cui si voleva demonizzare l'esperienza di governo
dell'Italia e sottostimare la presenza degli italiani, il Bandenkampf compiva
anche il tentativo di recuperare alla collaborazione con i tedeschi la
componente slovena, che era la nazionalità che maggiormente aveva sofferto
l'oppressione fascista. Non si trattava, ovviamente, di una astratta
rivalutazione dei suoi diritti nazionali e culturali, ma di un obiettivo molto
concreto: cercare di recidere il legame tra la popolazione essenzialmente
contadina slovena e il movimento partigiano, facendo leva in primo luogo su un
richiamo di classe, la difesa della proprietà della terra, con una forte
accentuazione ideologica nel segno dell'antibolscevismo. In questa fase, il
tentativo di rivalutare la popolazione slovena e di operare una nuova
contrapposizione tra sloveni e italiani rispondeva all'ulteriore obiettivo di
impedire che dopo l'armistizio del 1943 potesse crearsi una saldatura tra il
preesistente movimento di resistenza sloveno e l'incipiente movimento di
resistenza italiano. In questo quadro di conflittualità nazionali, storicamente
originate dalle annessioni del 1918 e dalla conseguente politica di
snazionalizzazione, inasprite dall'aggressione fascista alla Jugoslavia ed
ulteriormente esasperate dai tedeschi, con l'immigrazione forzata fra l'altro
nella zona, di un consistente insediamento cosacco, il Bandenkampf proclamava
la lotta senza quartiere alle bande, ai banditi, alla lotta partigiana. Tutto ciò
avveniva in un contesto in cui già operava dall'inizio del 1944 la Risiera di
San Sabba e in cui, sin dal settembre del 1943 era in atto una vera e propria
guerra di annientamento contro il movimento partigiano. Da questo punto di vista
il Bandenkampf non inventava né innovava nulla: sistematizzava e codificava,
fornendone le coordinate dal suo punto di vista storico-teoriche, una prassi
ormai da lunghi mesi già in atto. In quest'area la violenza della lotta
partigiana, ulteriormente inasprita dopo l'armistizio del 1943 che aveva
fruttato ai partigiani un ricco bottino di armi proveniente dal disciolto
esercito italiano, incontrò la reazione di una ancora più feroce contro
guerriglia. Se il teatro di guerra italiano visse episodi di grandi massacri e
di atrocità contro le popolazioni civili, con o senza il pretesto di azioni
di rappresaglia, nell'area del Litorale Adriatico la violenza della repressione
rasentò i limiti della guerra di sterminio. Almeno sin da quando ebbi a
pubblicare quel famigerato ordine d'operazioni emanato nel febbraio del 1944
dal comandante militare del Litorale adriatico, il generale delle truppe di
montagna Ludwig Kübler, il cui imperativo era sintetizzato nella formula
"Terrore controterrore, occhio per occhio, dente per dente!", sappiamo
che l'area del Litorale adriatico era inclusa nella sfera di competenza delle
"istruzioni per la lotta contro le bande in oriente" che Hitler aveva
emanato il 18 agosto 1942 per intensificare la lotta antipartigiana nei
territori invasi dell'est europeo. Il Litorale adriatico si prospettava così
come l'estrema propaggine, al limite del territorio rimasto sotto apparente
sovranità italiana, dell'immane partita che il Reich nazista aveva aperto per
la conquista dello spazio orientale e per l'affermazione del Nuovo ordine
europeo. La guerra di annientamento non prevedeva che si facessero prigionieri,
implicava l'alternativa drastica della sopravvivenza di una sola delle parti in
conflitto, era lotta per la supremazia non solo militare ma razziale;
l'estirpazione del nemico lasciava dietro di sé una scia infinita di lutti e di
distruzioni, incendi ed evacuazioni forzate di località, uccisioni e
deportazioni in cui i reparti della Wehrmacht non si differenziarono dalle unità
della polizia e delle SS o dai corpi militari dei collaboratori, come nel caso
delle unità cosacche che, ormai ostaggi dei tedeschi e non avendo più nulla da
perdere, in quanto la loro sopravvivenza dipendeva soltanto dalla vittoria dei
nazisti, finirono per investire nella repressione contro i partigiani e contro
le popolazioni civili alle quali contendevano il territorio, nella quale
furono prioritariamente impiegati, tutta la loro forza d'urto e capacità
aggressiva e operativa. La puntualizzazione storica di queste vicende non può
concludersi senza qualche altra considerazione che riguarda direttamente
anche il nostro presente. Dobbiamo interrogarci se nello scatenamento di
violenze dell'immediato dopoguerra, la cesura del Litorale adriatico e
l'esasperazione dei conflitti e degli scontri armati che vi ebbero luogo non
abbia inciso profondamente nell'esaltare odi e contrapposizioni. E dobbiamo
interrogarci sul ruolo di quelle componenti delle comunità nazionali di
quest'area che si sono associate ai tedeschi ed hanno prestato in molteplici
modi la loro collaborazione. Per quanto ci riguarda ciò vale in particolare per
il ruolo svolto dal collaborazionismo italiano, una componente importante
della realizzazione per fortuna non pervenuta a compimento del progetto
nazista. Ma quest'ultimo ha avuto proprio il senso di inasprire negli animi
oltre che nei fatti la contrapposizione tra italiani e slavi, lasciando una
eredità che non è ancora del tutto scomparsa. La convergenza soltanto
paradossale dell'ala estrema del nazionalismo italiano con la dominazione
nazista negatrice dei diritti e della libertà della nazionalità che si
incrociano in quest'area in funzione dell'odio antislavo, è un fatto con il
quale non sono stati fatti ancora tutti i conti. Nel processo di elaborazione
storica e di costruzione della memoria permangono ancora troppe ambiguità sulle
quali riteniamo vada fatta chiarezza senza concessioni a unilaterali
pregiudizi. Fin quando la convivenza tra le nazionalità di quest'area sarà
considerata nella migliore delle ipotesi non una condanna della storia, ma una
scelta elettiva in uno spirito di rovesciamento dei valori e dei principi del
Nuovo ordine che avrebbero voluto imporre il fascismo e il nazismo non sarà
possibile abbattere negli animi, prima ancora che nelle barriere di frontiera,
gli ostacoli che si frappongono all'eguaglianza delle nazionalità e degli
individui che la compongono.
Restituire le coordinate
storiche di queste laceranti vicende e chiamare con il loro nome senza eufemismi
e senza tabù i comportamenti di individui, ceti e gruppi sociali, parti
politiche, fa parte di un processo di crescita di una coscienza civile
democratica,
che dalla consapevolezza degli errori, delle violenze e delle ingiustizie del
passato deve trarre alimento e ispirazione per una definitiva inversione di
rotta. Se come storici dobbiamo contribuire a chiarire i termini di questioni
scottanti e controverse operando le debite distinzioni e chiamando in causa
tutte le componenti di un processo storico, come cittadini possiamo e dobbiamo
praticare le opzioni che ci vengono imposte dalla nostra coscienza. Dobbiamo cioè
prendere parte senza reticenze per la costruzione di un futuro che, senza
dimenticare gli orrori del passato anzi facendo tesoro di quella esperienza,
si apra ad orizzonti nuovi nel rispetto reciproco delle nazionalità in nome
di una comune umanità e del comune rispetto dei diritti umani, così
violentemente manomessi nel periodo del quale ci siamo occupati.
da Fascismo Foibe Esodo. Le tragedie del Confine orientale, Atti del Convegno dell'ANED, Trieste - Teatro Miela, 23 settembre 2004