Documenti dell'ANED di Milano
Augusto Cambi
Un gappista nel lager - Cronaca di una resistenza
Iniziamo la
pubblicazione dei "Quaderni della Fondazione della Memoria della
Deportazione - Biblioteca
Archivio Aldo Ravelli" con l'intento di rendere noti saggi, documenti e
scritti autobiografici che contribuiscono alla più completa conoscenza di uno
dei principali crimini del XX secolo: i campi d'annientamento
nazisti. Abbiamo voluto dedicare questo primo numero alle memorie inedite di un
protagonista poco conosciuto di questa tragedia, Augusto Cambi, recentemente
scomparso. Tornato dai lager di Fossoli, Mauthausen e Wiener-Neustadt,
Augusto Cambi era diventato uno dei più noti avvocati civilisti di Milano,
sempre coerente con gli ideali antifascisti e l'impegno politico della sua
giovinezza. Queste memorie ce le ha consegnate Anna Picardi Baldacci, cugina di
Augusto Cambi, nel giorno dei suoi funerali, nell'edificio delle cremazioni
nel cimitero di Lambrate. L'ex
deportato Cambi non ha mai voluto scrivere direttamente la storia della sua
sofferta esperienza nei campi nazisti: si limitava a raccontarla a chi lo
assisteva durante la lunga malattia che lo ha condotto alla morte. Queste
memorie sono state raccolte e rielaborate da Anna Picardi Baldacci, seguendo
il filo della sua descrizione. Si
tratta di un documento che può apparire frammentario, ma che ci
restituisce, nella sua immediatezza e drammaticità, la vita, le sofferenze e le
aspirazioni di uno dei deportati nei campi di sterminio nazisti che hanno
avuto il privilegio di far ritorno a casa. Da parte nostra, faremo
in modo che l'iniziativa di questi "Quaderni", possa contribuire a
rendere pubbliche, e consegnare alle future generazioni, altre memorie di ex
deportati che altrimenti rischierebbero di scomparire assieme ai loro autori.
Ogni passo che si compie
camminando - rifletteva quel giorno di primavera - allontana da un luogo
mentale ed avvicina ad un altro luogo forse vagheggiato o temuto, sconosciuto o
indifferente o semplicemente atteso e noto. Il moto alternato delle gambe e
l'oscillazione pendolare delle braccia del morbido meccanismo del corpo
costruiscono, pazientemente, passo dopo passo, una lenta transizione mentre la
scarpa appoggia, per qualche attimo, sul selciato dove qualche filo d'erba, che
spunta da una crepa dell'asfalto, ti sorprenderà. «La transizione - scrive
Tommaseo - viene dal latino transitionem. È passare da un ragionamento,
da un soggetto, da un tono ad un altro. Passaggio da uno stato di cose ad un
altro». «Passaggio - lei aggiungeva - dalla tonalità maggiore alla tonalità
minore nella partitura segreta della memoria e dell'anima. Si può oscillare
tra le due tonalità esattamente come, camminando tra le case, si passa dalla
luce del sole all'inquietudine sospesa nell'ombra». «È forse, la provocazione
"sonoro-visiva" di questa città a costringere i miei occhi retrattili
di lumaca a sparire nel pozzo silenzioso delle mie eterne domande. Ne sono
sicura». Stava andando a trovare un amico malato, Augusto Cambi. Percorso il
lungo portico, preso, alla terza scala, l'ascensore per il 15° piano, sarebbe
approdata, in breve, ad una meta abituale ed attesa. Da alcuni anni, una decina
forse, comunicavano continuamente tra loro, ma, in realtà, si conoscevano da
più di cinquanta anni. Sapeva perfettamente come sarebbe stato il loro incontro
e quale atmosfera lo avrebbe circondato per qualche ora. Disteso sul letto,
appoggiato a molti cuscini, diafano, con gli occhi azzurri quasi spenti, fissava
con determinazione nel vuoto. La voce sicura ed i gesti delle mani incisivi ed
essenziali, costruivano ancora una sua indiscutibile autorevolezza. Del resto
era sempre stata colpita dalla concisione del suo discorso e dalla lucida
ironia che, a tratti, lo pervadeva. Dopo l'abbraccio rituale si sarebbero
disposti alla conversazione, contenti per le due o tre ore che avevano davanti a
loro. Ci sarebbe stata, prima, una breve cronaca giornaliera, poi, da parte di
Augusto, l'esposizione di qualche piccola contrarietà o la confessione di un
gradevole peccato di gola... e sarebbero poi approdati ad altri temi. Viveva
così, bene assistito, da più di un anno, da quando, cioè, la sua malattia,
non gli aveva dato più tregua. Ma era chiaro che non desiderava questa
sopravvivenza. «Cosa ci faccio qui?» - le aveva domandato una volta con
amarezza, senza, ovviamente, attendere da lei una risposta. Non aveva ritenuto
di doverlo consolare; non era questo che lui voleva. Gli disse solamente che non
si può scegliere la propria fin de partie, ed era a questo che si
sarebbe, ancora una volta, coraggiosamente uniformato.
Si
erano conosciuti a Milano, nell'estate del 1945. Augusto era appena tornato dal
campo di concentramento di Mauthausen. Cugino del suo futuro marito, si
sarebbero incontrati, quel giorno, per la prima volta. Li aspettava al Duomo.
Appoggiato con le spalle ed una gamba piegata contro il muro della chiesa,
attese che lo raggiungessero. L'incontro fu cordiale, la conversazione con altri
due amici fu vivace. Passeggiarono poi lentamente, in una Milano segnata
pesantemente
dalle distruzioni e nella quale circolavano, sferragliando, vecchi tram e
pochissime automobili antiquate. Fu
colpita subito dalla sua intima energia e dal linguaggio spoglio ed estremamente
preciso. Vi affioravano spesso toni francamente beffardi, che la divertirono.
Era molto magro ma le sue condizioni fisiche erano buone. Dopo questo primo
incontro, altri ne sarebbero seguiti, nel corso degli anni futuri, ma non furono
certamente frequenti. Diversi erano i loro interessi, l'ambiente, la vita che
parevano non concedere nulla più di un amichevole e sporadico dialogo. Solo la
politica li univa. «Non c'è
cultura senza dimensione politica», asserivano entrambi. Del resto quel loro
interesse era nato negli stessi anni, nello stesso clima, all'interno di una
stessa ribellione e di una stessa totale indignazione che aveva mosso le loro
azioni. Dopo il suo ritorno, passato qualche mese di riposo presso degli amici
nella campagna toscana, aveva ripreso la sua attività di avvocato civilista.
Aveva sistematicamente rifiutato ogni carica politica e parlamentare che gli era
stata offerta dal Partito comunista a Milano ed al suo paese di origine, in
Toscana. Aveva accettato, solamente, di essere l'avvocato del sindacato Cgil,
ed a questo lavoro si era gratuitamente dedicato per vent'anni. La sua vita
attiva, ma sapientemente organizzata, si svolgerà, così, con grande
attenzione ai suoi spazi privati, gelosamente salvaguardati.
Circa
dieci anni prima di quella sua visita primaverile, Augusto aveva cominciato a
rivolgersi a lei, per piccoli consigli pratici. La sua salute gli dava ora
qualche problema e, benché lavorasse ancora, rimaneva a lungo in casa. Ma
nell'inverno '95 i suoi problemi l'avevano talmente tormentato che si era
trasferito, per un certo tempo, nella casa di lei. Quando si era ripreso ed era
tornato nel suo appartamento i loro contatti erano ormai divenuti quasi
quotidiani. Lentamente, nel tempo, la malattia aveva poi preso il sopravvento.
Da quando, dunque, non lasciava praticamente più la casa, ed ora anche il letto
(se non per qualche ora in poltrona) impercettibilmente qualche cosa sembrava
essersi modificata in lui, incrinando la sua impenetrabile segretezza. Sembrava,
quasi, che volesse, ora, coinvolgerla di più nei suoi spazi mentali. «Ti dirò,
- le aveva detto in una di quelle sue visite - sono ora certi piccoli rituali
banali a dare ordine, se non senso, al mio tempo. Il giorno e la notte, ormai,
si confondono e non serve più che il sonno e la veglia, abbiano un loro spazio
deputato. Dopo tutto, anche questo può diventare una piccola libertà: no?.. Da
quando anche gli occhi mi hanno abbandonato, mi è rimasta solo la memoria da
consultare... ma a questo, lo confesso, non ero affatto preparato. Mi ero
ripromesso, finito di lavorare, di rivisitare tante cose del passato e di
fissare anche degli appunti per un piccolo studio su quella che era stata la
nostra organizzazione dei Gap, una struttura politica, particolare per
efficienza
e duttilità, da studiare teoricamente in quel determinato quadro storico».
Mai, nel passato, Augusto aveva accennato alla sua vicenda resistenziale, come
al lungo anno della deportazione a Mauthausen e lei, naturalmente, non gli aveva
mai posto nessuna domanda. Non aveva, però, potuto interpretare quel silenzio
impenetrabile come una rimozione, bensì come la collocazione razionale di
quegli avvenimenti lontani nell'economia complessiva della sua vita. Una sola
volta, infatti, Augusto aveva spontaneamente accennato alla deportazione,
dicendole: «Vedi, l'ho sempre considerata un incidente di percorso,
addirittura prevedibile, data la mia attività clandestina; ma niente di più.
Del resto, non amo nessuna forma di reducismo». Ma, più tardi, con altri
piccoli accenni, era sembrato che volesse invitarla nell'Ortus conclusus dei
suoi ricordi: uno spazio ombroso dove le sue scelte politiche, i suoi radicati
affetti, il governo assoluto della ragione vi costruivano la complessa
struttura della sua persona. «Comunque - lei pensava - passare dalla memoria
alla parola, prevede sempre una transizione, forse un faticoso itinerario
interiore». Per questo lei, molto guardinga, non aveva, per il momento colto
l'occasione, attendendo ancora fino a che, un giorno, Augusto le aveva
raccontato un episodio della prigionia, francamente surreale, del quale
avevano riso insieme. Una volta, dunque, quando era già deportato da alcuni
mesi a Wiener-Neustadt, un detenuto polacco aveva trovato, chissà dove, un
mazzo di carte. Lo aveva consegnato al prigioniero francese Bernier che,
eccitatissimo, aveva convocato lui, quella sera stessa, insieme con un altro
compagno, per fare una partita di bridge... L'avevano fatta, fortunosamente, sopra
un tavolo
improbabile... Non
avevano resistito a lungo, naturalmente, e non avrebbero mai più tentato
l'impresa, ma descrivere i particolari di quella scena da teatro dell'assurdo lo
deliziava... Attratta, ormai, da quel percorso possibile che si stava aprendo
davanti a lei, gli aveva detto che avrebbe voluto conoscere quella sua lunga
vicenda. Se possibile, avrebbe fissato sulla carta quel percorso, in modo
cronologicamente corretto, per poi conservarlo gelosamente, come una
"storia" inedita, una cronaca corredata di nomi, date, luoghi: una
testimonianza. «Ma tu lo permetteresti?» gli aveva domandato. «Non ho
niente in contrario, se questo può esserti utile» le aveva risposto. «Puoi
farmi tutte le domande che vuoi: ti risponderò. Il tracciato l'ho ben presente
aveva sorriso - ma ripercorrendolo potrei, forse, ricordare dei particolari o
delle connessioni dimenticate». Il lungo racconto era allora iniziato. Si era
articolato, nel tempo, in tappe informali, a volte lunghe, a volte brevi,
sempre ben circostanziate dato che la memoria di Augusto era integra. Lei
prendeva degli appunti. A volte, naturalmente, altri argomenti attuali si
frapponevano per qualche tempo; poi la narrazione riprendeva. Nel
1940 Augusto, cresciuto in una famiglia toscana, rigorosamente antifascista,
dove aveva avuto una sua prima formazione politica, era entrato nel Partito
comunista clandestino. Sulla tessera, che conservava gelosamente, risultava,
infatti, che la sua iscrizione era avvenuta nel 1940 a Milano. La sua cellula si
trovava nello studio del dentista Bortolani, in corso del Littorio. Dopo l'8
settembre, il compagno Lorenzetti del Psi, indisse delle riunioni, nello studio
Mazzotta, progettando dei gruppi di "Guardia nazionale di resistenza
armata". Ma, nel frattempo, erano rientrati dalla Francia, dei compagni
fuorusciti che, avendo fatto parte dei "Francs Tireurs", avrebbero
contribuito all'organizzazione dei "Gruppi di azione patriottica,
Gap". Il 3° Gap
sorse a Milano nell'ottobre '43, al comando di Egisto Rubini. I gappisti erano
divisi in squadre "blindate" di quattro compagni, che facevano
riferimento solo tra loro. In tutta Milano, quella struttura chiusa, agile ed
efficiente, comprendeva circa quaranta uomini. Augusto, destinato all'attività
militare, aveva il suo collegamento con il compagno Rubini. «Un compagno
meraviglioso - le aveva detto per intelligenza e coerenza. Grande organizzatore.
Era lui che teneva i rapporti col Cln». Augusto venne arrestato, per una delazione che aveva già coinvolto
Rubini, Bardini e Roda, la sera del 21 febbraio 1944. Il delatore, Tenaglia, sarà
poi arrestato, portato a Fossoli e lì subito liberato. Il comandante Rubini,
poco più che quarantenne, venne rinchiuso in isolamento il giorno 18 febbraio
nella cella n. 125 al terzo piano del 6° raggio, nel carcere di San Vittore a
Milano. Si impiccherà con un lenzuolo, all'alba del giorno 25, temendo di non
potere più resistere alla torture. Il suo nome, nell'organizzazione Gap, era
stato Rossi. Questa storia essenziale
della clandestinità affiorava semplicemente nel racconto di Augusto quasi la
rileggesse, ora, in una sua attenta annotazione. Ma le poche parole dedicate a
Rubini sembravano venire da un testo diverso, rivelando una presenza viva
dell'amico, una sua ideale attualità. Lei leggeva quel coinvolgimento
nell'esposizione attenta di date, cifre, nomi ed in una impercettibile
esitazione
della voce... Proprio in quel periodo, Augusto era stato incaricato di
scrivere un opuscolo di istruzioni per l'organizzazione dei Gap: ma il suo
arresto aveva bloccato il progetto e tutto il materiale già pronto aveva
dovuto essere distrutto. Era stato, dunque, arrestato il 21 febbraio e portato a
San Vittore al 6° raggio, piano terra, cella n. 6. Vi rimase in isolamento per
due mesi subendo molti interrogatori, due dei quali, a distanza di sei giorni,
con pesanti torture. Come risulterà all'inchiesta sulla caduta del 3° Gap, e
come lui accennerà, sarà l'ultimo gappista arrestato. In prigione aveva
conosciuto il compagno Bardini. Due guardie carcerarie li tennero sempre in
contatto. Davano loro le notizie e, di nascosto, li portavano insieme all'aria.
Più tardi fu colpito dalla notizia che anche le due guardie Ceresa e Sapienza
erano state deportate a Bolzano. In prigione si era venuti a sapere che il
cardinale
Schuster elargiva una somma per arricchire segretamente il vitto del carcere
ed il geometra dell'istituzione, Battaglia, che si occupava delle manutenzioni
all'interno del carcere, portava segretamente ai prigionieri delle lettere e dei
pacchetti che i parenti dei detenuti gli consegnavano. Anche l'amico di Augusto,
Ravelli, arrestato in quei giorni, era riuscito ad organizzare nel carcere
squadre di lavoro di vetrai, lavandai, addetti alle pulizie che, in divisa da
galeotto, potevano circolare liberamente portando notizie ai prigionieri in
isolamento. Era giunta anche la sconcertante notizia che il cardinale era
riuscito a far tornare in Italia Pesenti ed un religioso, suo grande amico, già
deportati a Mauthausen. Un avvenimento assolutamente inedito. I due,
naturalmente, avevano raccontato la realtà sconosciuta e terribile che avevano
visto nel campo. Il 26 aprile un folto gruppo di "politici", tra i
quali Augusto, da San Vittore fu portato a Fossoli ed, in parte, alloggiato
nella baracca n. 18. Vi resteranno due mesi. Con loro era anche il compagno
Manfredo Dal Pozzo. Era stato portato con Augusto a San Vittore al 6° raggio,
cella n. 12. Duramente torturato e tenuto digiuno completamente per sei
giorni, sarà poi trasferito a Fossoli ed alloggiato nella stessa baracca di
Augusto e nello stesso "castello". Ma alla partenza dell'amico per
Mauthausen resterà a Fossoli e lì sarà fucilato nell'eccidio dell'11 luglio.
Nel frattempo, era arrivato anche il compagno Poldo Gasparotto. Fu incaricato di
dirigere il progetto di disegnare la mappa del campo per tentare una fuga
collettiva. Lavoravano con lui Olivelli e Comencini... Denunciati,
saranno tutti fucilati. A Fossoli poterono sempre ricevere notizie attraverso
una buona organizzazione politica e, con l'aiuto dei familiari, anche il vitto
fu sufficiente. La madre di Augusto si era, nel frattempo, sistemata presso un
contadino della zona, ed ogni giorno andava a salutarlo da lontano. Quando
poteva, gli gettava piccoli pacchi oltre la rete del campo. Fu quello di
Fossoli, un periodo politicamente molto particolare. Augusto, Guermandi,
Scarabelli e Masetti di Bologna organizzarono la sezione del Partito comunista:
Bardini fu eletto commissario politico. Si era saputo, intanto, che era
rientrato in Italia Palmiro Togliatti e che si progettava l'ingresso del Pci nel
governo Badoglio, per partecipare alla lotta insieme a tutte le altre forze
antifasciste. Le discussioni con i socialisti, contrari a quella linea
politica, infuriarono accanitamente e violentemente in tutti quei giorni.
Fossoli sarà definitivamente chiuso in agosto. Gli amici Belgiojoso e Ravelli
saranno tra gli ultimi a partire per raggiungere Mauthausen.
Nella
seconda metà di giugno, improvvisamente, vennero estratti a sorte 700
prigionieri, che sarebbero dovuti subito partire, per destinazione
ignota. Anche Augusto fu selezionato e fu questo uno degli infiniti interventi
del Caso che avrebbe poi segnato, segretamente, tutte le loro vicende future. Il
giorno 20 furono trasportati a Carpi e caricati, con tutti i loro bagagli, su
dei carri merci. Si diffuse, in quelle ore, la voce che ci sarebbe stato un
attacco partigiano, per tentare la loro liberazione. Alcuni ferrovieri
lasciarono aperto, di nascosto, un vagone: Bonfantini ed altri due o tre
prigionieri, poterono così dileguarsi, facendo perdere le loro tracce. Il
viaggio, iniziato il 21 di giugno, sarebbe durato quattro giorni. Attesero otto
ore, fermi nella stazione prima di partire; poi il loro convoglio si mosse, ma
durante il tragitto fecero ancora lunghe soste in luoghi sconosciuti,
abbandonati per ore ed ore sui binari morti. Avvenne nella penombra e
nell'immobilità, quella transizione verso nulla che fosse loro noto. «Si dovrà
ora aprire un nuovo capitolo, se vorrai proseguire - le aveva detto Augusto con
un sorriso - perché, da ora, nulla assomiglierà più a nulla». «Siamo dunque
arrivati a destinazione nel pomeriggio del 25 di giugno. Alla stazione, quando furono aperti stridendo i
portelloni, leggemmo, per la prima volta, il nome di Mauthausen»
.
In
una lunga colonna si erano poi mossi, sulla strada che saliva verso il campo,
trascinando i loro bagagli. Ma appena giunti furono loro subito confiscati. Poté
conservare solo i suoi occhiali. Nella lunga fila dietro di lui in quel
percorso, c'era il suo amico Mino Steiner che, sopraffatto dallo squallore del
paesaggio, gli bisbigliò sgomento: «Da qui nessuno di noi uscirà vivo».
Augusto ricorda di averlo subito tacitato violentemente per quel cedimento.
Steiner morirà alcuni mesi dopo, ad Ebensee. Passarono tutta quella prima notte
all'addiaccio, spogliati nudi, in attesa di passare, l'indomani, al bagno.
Il giorno dopo, fatto dunque il bagno e completamente depilati, inizieranno la
"quarantena" volta, con ogni evidenza, alla loro totale
spersonalizzazione. Si applicherà loro un braccialetto col numero di matricola
di sei cifre: 875... saranno i suoi primi tre numeri. Gli altri tre sono stati
completamente dimenticati. Ognuno doveva essere in grado di ripetere il
proprio numero, in tedesco e ad ogni richiesta, ma quella pronuncia impervia
doveva avergli completamente cancellato il suo dalla memoria. Dormirono in
baracche su dei pagliericci posati sul pavimento. Rivestiti con stracci
indefinibili, passarono le loro giornate in piedi nel grande spazio chiuso tra
due baracche che aveva il selciato fittamente ricoperto di sagome appuntite, in
modo che non fosse possibile a nessuno sedersi, neppure per un istante. Per
Augusto ed il suo gruppo, questa tortura durerà undici giorni. Quando poi era
venuta la richiesta di mano d'opera da Wiener-Neustadt, venne consegnato a tutti
loro il vestito a righe dei deportati, il berretto e gli zoccoli di legno. Si
prepararono alla partenza. «Mi ricordo - le aveva poi detto - di aver
incontrato, in quel poco tempo di soggiorno a Mauthausen, piccoli gruppi di
ebrei e di aver pensato, allora, analizzando la nostra nuova condizione, che la
mia forza ed il mio privilegio, sarebbe stato l'essere completamente solo: la
mia famiglia era lontana, al sicuro, in Italia e ignara...». Furono subito
ufficialmente avvertiti che loro italiani (in quanto traditori badogliani) ed i
prigionieri russi non avrebbero mai ricevuto posta,
né alcun pacco della Croce Rossa. E così fu. Si resero conto, del resto, che i
detenuti comuni avevano qualche piccolo vantaggio, rispetto ai politici. In quei
giorni il compagno Bardini, membro del direttivo del Partito a Fossoli, sarebbe
dovuto partire con Augusto, che era stato selezionato con altri 700 prigionieri,
per andare a lavorare a Wiener-Neustadt. Ma all'ultimo momento un gruppo di
compagni spagnoli, combattenti come lui sul fronte antifranchista in Spagna e
suoi amici personali, riuscirono a trattenerlo. Nell'ultima notte, allora,
correndo un grande rischio, era andato a dormire di nascosto accanto ad Augusto,
per potergli dare tutte le istruzioni necessarie ed affidargli l'organizzazione
del Partito, in attesa che la loro cellula potesse preparare le elezioni
interne. Augusto sarà allora confermato segretario. Il loro modello politico
sarebbe stata l'organizzazione che aveva retto il Partito nel carcere di
Portolongone e Turi di Bari per tanti anni, rigidamente, con inflessibile
disciplina. Vittorio Bardini, tornato in Italia diverrà segretario della
federazione di Siena, ed, in seguito, segretario regionale della Toscana.
Un'unica volta, Augusto,
abbandonando il suo atteggiamento distaccato, le aveva detto con severità che
tutto quel racconto non avrebbe dovuto mai, in nessun momento, configurarsi come
il "racconto dell'orrore"; ma chiarire solamente come la resistenza
del loro gruppo comunista si fosse organizzata e si fosse poi incessantemente
elaborata dentro quell'universo aberrante e totalmente stravolto. L'imperativo
sarebbe stato opporre la sopravvivenza all'annientamento. Il Partito li
avrebbe proiettati ancora nel futuro, ma, soprattutto, li avrebbe
ideologicamente impegnati in quel loro difficile presente. Era giunta in quei
giorni fortunosamente, la notizia terribile che l'11 luglio, poco dopo la
loro partenza da Fossoli, 67 prigionieri politici, senza alcuna imputazione,
erano stati improvvisamente fucilati: «Ma a quel tempo - le aveva detto -
volevamo essere ancora pieni di speranza. In giugno c'era stato lo sfondamento a
Cassino, era avvenuto lo sbarco in Normandia ed era in atto l'offensiva russa
a Stalingrado...». Il gruppo dei settecento detenuti selezionati a Mauthausen
per Wiener- Neustadt, vi giungerà nella prima metà di luglio. Avrebbero dovuto
lavorare alla "Rax Werke", una fabbrica di parti meccaniche per
trasporti terrestri e
marittimi che loro, però, non saranno mai in grado di identificare nel loro
uso. Avrebbero costituito, dunque, per quell'impresa, manodopera a costo zero.
Schiavi, in altri termini, insieme ad altri schiavi prigionieri di guerra
russi, polacchi, cecoslovacchi e francesi. Quella grande fabbrica aveva subito
vari bombardamenti americani. Una squadra di operai al comando di un prigioniero
russo, l'ingegnere Sarkin, era stata incaricata di rimuovere le macerie,
restaurare i muri e le macchine stesse, e creare nuovi spazi di lavoro.
Resteranno a Wiener-Neustadt per otto mesi, fino al marzo 1945 ed è lì che
organizzeranno la loro resistenza, con determinazione inflessibile.
Discuteranno quotidianamente le notizie politiche e militari, il futuro del
loro paese e le personali difficili condizioni attuali, dandosi regole di
solidarietà ferrea. «Durante l'autunno - Augusto le dirà, proseguendo il
suo racconto - la situazione bellica si stava evolvendo con troppa lentezza per
l'entità dei nostri problemi. Inizierà un duro inverno ed io, questo devo pur
dirlo dato che è essenziale, perderò i miei occhiali: un colpo irreparabile».
Degli italiani trasferiti da Mauthausen, ventidue
faranno parte della cellula del Partito che, con gli altri compagni del
collettivo allargato, (Boldrini, Brunati, De Caro) arriveranno a venticinque.
Buldrini, anarchico, era stato per ventidue anni rinchiuso a Portolongone, in
isolamento. Per resistere alla terribile solitudine aveva imparato ad allevare
dei canarini, ma soprattutto, studiando, aveva approfondito la propria cultura
politica che aveva fatto di lui, per tutti loro, un punto di sicuro riferimento.
Morirà a Modling, alla fine dell'inverno. Calatroni, ex studente di medicina,
socialista, condannato a dodici anni di Portolongone, ne aveva scontati otto. Lì,
a contatto con gli altri prigionieri, era diventato comunista. Un temperamento
forte e sereno che accompagnerà costantemente Augusto in tutto quel loro
percorso, fino alla fine. Un problema particolare sarà posto dall'arrivo del
giovane fiorentino Piccagli, di sedici anni, figlio di Italo, membro di
"Radio Cora", fucilato a Firenze con Bocci, Enriques, Ghergo,
Panerai e Romagnoli. ("Radio Cora" aveva trasmesso, per mesi, notizie
militari agli Alleati, fino alla sua distruzione). Tutti loro sorveglieranno il
ragazzo, ma sarà particolarmente affidato a Focacci, membro anche lui di
"Radio Cora" e deportato dal giugno. Lo seguiranno
costantemente per impedirgli di cadere nella corruzione del comando tedesco come
già avveniva, tristemente, ad alcuni giovani polacchi. Piccagli e Focacci si
salveranno. Ogni giorno leggevano il giornale Die Wiener kriegstageblatt. Erano
riusciti a procurarselo da un volontario francese della "Jeunesse de Pétain",
che lavorava in un altro settore dello stabilimento. Calatroni, conoscendo il
tedesco, leggeva il giornale e la discussione politica avveniva poi la sera,
davanti alla "zuppa". Per poter diffondere le notizie, Augusto aveva
ottenuto di occuparsi della disinfezione della grande fossa biologica:
"Ispettore alla m...", ironizzava con gli altri. Questo incarico gli
permetteva di fare due volte al giorno il giro completo del loro campo con il
suo secchio di disinfettante ed incontrare così tutti i compagni ai quali dare,
e ricevere, rapidamente, le principali notizie. Lavoravano dieci ore al
giorno: dalle 7 alle 9 e 30; facevano poi un piccolo intervallo che si ripeteva
alle 12 per la "zuppa" e poi lavoravano ancora dalle 13 alle 18.
Cercavano, ovviamente, di produrre il meno possibile, ma il sabotaggio era del
tutto escluso. La mattina e la sera c'era la lunghissima cerimonia dell'appello,
che avveniva in piedi, sul piazzale del campo, con qualunque tempo. Qualcuno
stramazzava, non era raro; ma non si poteva soccorrerlo, non si doveva
guardarlo... Dopo l'appello serale si aveva la distribuzione del cibo: una fetta
di pane con margarina ed una ciotola di pseudo tè... A questo proposito avevano
discusso a lungo scherzosamente, ma non troppo, tra di loro, se fosse più
produttivo mangiare quell'unica fetta di pane sezionandola in fettine sottili
e prolungando, così, i tempi dell'ingestione, o ingurgitarla in pochi grandi
bocconi. Le "scuole di pensiero" erano due, ed inconciliabili - aveva
sorriso - ma lui aveva seguito sempre, rigidamente, la seconda… Consumavano il
pasto discutendo, inseguendo la loro identità, cercando di esistere... Era
allora
che Augusto, dopo un poco, ogni sera, si allontanava per visitare l'infermeria,
dare a tutti le notizie e rendersi conto delle condizioni dei compagni malati e
degli altri ricoverati italiani. Una volta vi aveva incontrato Allodoli, un uomo
ormai vinto, che teneva a tutti lunghi discorsi disperati sulla loro sorte.
Ricorda di averlo così duramente minacciato da costringerlo al silenzio.
Allodoli si è salvato. Augusto, con altri tre detenuti, era stato assegnato al
magazzino situato in una grande costruzione in parte crollata. Lavoravano in un
edificio collegato al capannone dove, su rotaia, arrivavano i vagoni che loro
dovevano caricare e scaricare. Il detenuto Carrara fungeva da caposquadra. Si è
salvato. Nel magazzino, con le casse di legno distrutte, qualche truciolo ed un
poco di vernice poterono, a volte, accendere un fuoco e fu questo, ricorda, un
loro grande privilegio. La sera raggiungevano la loro baracca, annessa alla
fabbrica. Al piano terra c'era un grande deposito, al primo piano il dormitorio
ed il refettorio, sede dei loro incontri. Ricevevano quattro sigarette la
settimana. Una potevano fumarla, ma le altre tre le consegnavano al compagno
Nardi, di Bologna, che ne diveniva il custode. Aveva costruito una scatolina
dove le sigarette entravano di misura, in modo da non perdere tabacco. Servivano
per comprare, da un capoblocco, una minestra in più da destinare, per una
settimana, ad un compagno convalescente o a qualcuno in particolare difficoltà.
L'aiuto veniva dato, con decisione comune, secondo il bisogno. Ma una
"zuppa" in più od una fetta di pane venivano assegnate, quando era
possibile, a tutti, in ordine alfabetico. Se un compagno nel turno di notte
riceveva in regalo dagli operai liberi francesi una scodella di
"zuppa", la restituiva la mattina dopo, ormai gelata, in modo che si
potesse assegnarla secondo il turno. Gli acquisti che venivano fatti erano
distribuiti, sempre, in modo rigidamente paritetico. Le sottolineò, a questo
proposito, che un vecchio compagno di La Spezia, pur non essendo fumatore, non
aveva voluto consegnare a Nardi le sue sigarette. Fu immediatamente espulso
dal Partito per questo rifiuto. Morirà a Modling molti mesi dopo. Alcuni
prigionieri furono attratti da questo spirito di resistenza e di coesione e si
avvicinarono molto alloro gruppo, come Brunati, come il giovane musicista De
Caro, del Partito liberale milanese, che chiese di far parte del collettivo
allargato. «Posso affermare - Augusto le dichiarerà in uno di quei loro
colloqui - che per questa nostra rigida organizzazione, abbiamo avuto, nel
nostro gruppo, il 30% di morti, contro il 92% della media terribile del campo.
Secondo i dati del ministero dell'Interno, su 28.000 deportati a Mauthausen,
siamo tornati in 2.500. Su ventidue compagni, noi ne abbiamo perduti cinque.
Mi rendo conto - aveva proseguito che nei "gironi infernali" di
Gusen o di Mauthausen non sarebbe
stato forse possibile organizzare una frazione separata e basata
ideologicamente. L'azione politica di un piccolo gruppo segreto ed autonomo
non si sarebbe, forse, radicata. Ma pure, in quella nostra assurda condizione di
schiavi, abbiamo potuto realizzarla a Wiener-Neustadt, un luogo feroce, ma
indubbiamente, meno disperso e più appartato. Soprattutto, io credo, che
l'esperienza formativa che avevamo fatta nei Gap prima e nel carcere di San
Vittore e a Fossoli poi, e il confronto con la profonda esperienza dei compagni
che avevano avuto a Portolongone la loro scuola formidabile, siano stati
determinanti. È per questo che abbiamo potuto continuare a lottare fino alla
fine. Possiamo dire che la nostra azione abbia, in qualche modo, prodotto un
risultato politico inedito che si è poi concretamente tradotto, a
Wiener-Neustadt, in una minore percentuale di perdite».
Erano
tormentati terribilmente dai pidocchi. Ogni sera si facevano un'inutile
disperata ispezione. Il cambio della biancheria era un eterno miraggio ed una
volta la settimana potevano fare un bagno. Anche la barba veniva rasata una
volta la settimana da un detenuto che aveva a disposizione un unico rasoio per
circa 300 persone... Ogni due mesi si raderà loro anche i capelli. Alla fine di
ottobre la neve ricopriva tutto e, ormai gelata, scricchiolava, accompagnando
ogni passo dei loro zoccoli di legno. Dormivano in due grandi blocchi. Il gruppo
dei comunisti era alloggiato nel 1° blocco. Avevano letti a castello di legno,
coperti con un pagliericcio e due copertine. Per questo divenne
indispensabile, dal tardo autunno, dormire in due per letto, per usufruire di più
coperte, dato che il freddo era diventato insopportabile. «Rompeva le ossa -
commentava Augusto ben più della fame, che era ormai il sordo tormento di una
inarrestabile debilitazione». (Ed il freddo, con la mancanza del pane e delle
sigarette, diventerà, per tutti gli anni futuri, una sottile inquietudine. Il
freddo verrà continuamente esorcizzato, mentre la scorta del pane e delle
sigarette non dovrà mai mancare nella sua casa e sarà sorvegliata con
preoccupata attenzione). «Poteva anche capitare - Augusto aveva proseguito
esemplificando - che per una qualunque punizione tenessero digiuni, ma
soprattutto, tenessero a dormire al gelo per quattro notti alcuni di noi. È stato allora che ho creduto veramente di non
sopravvivere. Tieni presente - le disse ancora - che se una sera, ad un
controllo, si accorgevano che un prigioniero aveva i piedi sporchi ci
costringevano tutti, accompagnandoci con le sferzate, ad andarci a lavare con
acqua fredda all'aperto (sempre il freddo come pedagogia...). Dopo ci veniva
distribuito un litro a testa di birra gelata, che eravamo obbligati ad
ingurgitare...
Intanto un prigioniero comune, Romano, doveva suonare il mandolino per augurarci
la buonanotte. Una stralunata invenzione della follia, come vedi... Bastava, del
resto, non togliersi correttamente il berretto, davanti ad un Kapò, per essere
spediti, ancora una volta, al gelo». Le volle poi raccontare, ridendo, e sempre
a proposito del freddo, che un giorno in quell'inverno alcune guardie avevano
lanciato ai detenuti degli indumenti. Boldrini aveva afferrato al volo un
corpetto di lana celeste da bambina. Non si sa come abbia fatto, ma riuscì ad
indossarlo, sotto la giacca a righe. Quasi non poteva più respirare, ma non
lo avrebbe più tolto. «Nell'organizzazione nazista del campo Augusto aveva
fatto questa analisi per lei - l'uso della tortura era dominante, quasi una
sua intima dimensione. Non ho mai assistito, in quel mondo totalmente separato,
ad una morte inflitta senza sadismo, quasi fosse questo il sintomo della segreta
patologia che minava tutto il sistema arrivato, ormai, alla sua totale
disgregazione etica». Le era sembrato di capire da quelle parole che, per
Augusto, quel regime, corroso ormai dall'immane sterminio che stava perpetrando,
non sarebbe stato mai più in grado di darsi un futuro e che stesse tragicamente
implodendo… devastata, in dodici anni, l'Europa intera... «Per poco o nulla -
aveva poi proseguito - ci venivano comminate pubblicamente, fustigazioni sul
corpo denudato, con grossi tubi di gomma. Era fondamentale, allora, non
lasciarsi
sfuggire nessun lamento e contare correttamente, a voce alta ed in tedesco, i
colpi ricevuti. Poteva, altrimenti, innescarsi una reazione di accanimento che
aveva spesso portato alla morte. Una volta che avevo tenuto in tasca, per un
compagno, delle piccole rondelle di rame ed ero stato scoperto, fui punito con
le rituali venti nerbate, ma in un'altra occasione quando, pare, fossero mancate
delle derrate dal magazzino, la mia punizione fu di tipo "esemplare" e
più dura giacché doveva essere un monito per tutti». «Del resto c'era molta
corruzione nell'amministrazione del campo - le disse - e si sapeva bene, che
le provviste venivano regolarmente rubate». Nel corso dell'inverno, infatti, un
detenuto aveva protestato col direttore civile della fabbrica, denunciando la
terribile insufficienza del cibo. «Ma noi - gli era stato risposto - diamo
molto di più di quanto voi dite di ricevere, perché abbiamo bisogno che voi
lavoriate». Fu fatta, allora, una severa inchiesta da parte del direttore della
fabbrica, ma il solo risultato fu un grande pestaggio indiscriminato dei
prigionieri, ordinato dal comandante del campo. Su quel mondo, dunque, dominava
l'arbitrio ed il caso. Non era sufficiente - le aveva chiarito vivere 24 ore
su 24, cercando di non commettere errori e di proteggersi reciprocamente, con
solidale attenzione. "Kairos" - il Caso, l'Occasione -
dominava ovunque incontrastato. Questa breve parola, affiorata una notte, nella
mente insonne, si ripresentava nei momenti più improbabili, come spinta da uno
spiritello beffardo. «Era il segno - le aveva detto sorridendo - della sua
conclamata follia, che serpeggiava ormai parallela a tanto sforzo di
razionalità e di vigilanza». «Ma -
lei si domandava - non poteva essere, invece, il messaggio di un passato non del
tutto perduto?». Poco prima di Natale fu fatto un appello e duecento
deportati furono chiamati, per andare a Modling, a 40 chilometri da Vienna, dove
una fabbrica di aerei, Messerschmitt, richiedeva mano d'opera. Augusto riuscì a
farsi esentare, ma sette od otto degli italiani dovettero partire. Tenevano ora
contatti regolari di collaborazione con il francese Bernier ed il russo Sarkin
ed i loro connazionali. Tutti mostravano interesse per l'organizzazione, la
compattezza ed il "funzionamento" del loro gruppo e ci furono anche
delle discussioni ma, alla fine dell'inverno, quando già la neve cominciava a
sciogliersi, fu chiaro che le risorse fisiche di tutti, indistintamente,
stavano ormai esaurendosi. Era necessario, da parte loro, aumentare ancora la
sorveglianza reciproca e risparmiare energie nel tentativo di superare quegli
ultimi mesi di freddo. «È rimasta una debole traccia nella memoria, di questo
tempo residuo a Wiener-Neustadt, fino a marzo - le disse. - Un tempo puramente
metronomico... La nostra storia stava consumandosi, ma volevamo impegnarci
ancora, sulla nostra linea inflessibile
anche se ormai come automi...». Il 29 marzo 1945, all'improvviso, poiché il
fronte russo stava ora, impetuosamente, avanzando da oriente, fu ordinato il
trasferimento, a piedi, di tutti i detenuti verso Steyr che si trovava a
sud-ovest. Un esodo disastroso. Furono dieci giorni di cammino, dei quali otto,
percorsi sotto la pioggia battente. Augusto ed altri due compagni sosterranno a
turno, per tutta la lunga marcia, Tommasi e Montuoro ormai sfiniti. Riuscirono a
portarli fino a Steyr, ma poco dopo, trasferiti di nuovo a Mauthausen, vi
moriranno. Durante la marcia il compagno Guenno, ormai moribondo, verrà
ricoverato per la notte in un fienile, ma non arriverà all'alba ed al buio,
sotto la pioggia, scaveranno, a turno, una fossa per lui. Anche il giovane De
Caro morirà poco dopo quel trasferimento. Lo aveva visto, con pena, trascinarsi
da solo in fondo alla lunga fila che proveniva da Modling, quando le loro due
colonne si erano incontrate. «Un momento desolato, - le disse - una dura
sconfitta». Quegli spostamenti surreali, quel vagare di larve, concludevano
perfettamente tutta l'assurdità, che era stata vissuta in quei lunghi mesi.
Era stata solamente la lettura politica della loro intera vicenda - le aveva
spiegato - e l'impegno incessante ad avere salvaguardato il loro equilibrio
interiore aggredito da tanta follia. Alla fine della marcia Augusto si ammalerà,
ma poiché a Steyr la fabbrica era stata chiusa e non c'era più il lavoro
massacrante di sempre, poté riposarsi e lentamente guarire. In quegli ultimi
giorni anomali, quando già in lontananza, si sentiva il rombo dei cannoni del
fronte, un gruppetto di detenuti fu mandato a rimuovere delle macerie a circa un
chilometro dal campo. Attraversando un grande prato, dove erano spuntati dei
fiori gialli, tutti si gettarono in terra per mangiarli. «Avevano un sapore
acidulo - ricorda ancora Augusto - e non del tutto sgradevole». Alcuni civili,
che passavano in bicicletta sulla strada, nel vedere quel gruppetto spettrale
inginocchiato per terra gridarono, per incoraggiarli, che i carri armati
alleati erano ormai in marcia su Steyr... che la guerra sarebbe finita presto...
Il giorno seguente, quando attraversarono di nuovo il prato, raccolsero i fiori
in una pentolina che avevano portato con loro e, giunti a destinazione,
provarono a cuocerli in acqua su un
fuoco improvvisato. Ma, cotti, risultarono assolutamente disgustosi. Quel mese
stava passando in giorni sfilacciati, in condizione di totale incertezza, senza
riferimenti. Vennero portati, di nuovo, fuori dal campo per rimuovere dei
covoni di paglia che coprivano grandi fosse, piene di patate che venivano così
conservate per l'inverno. Il loro compito era farne la cernita e, con un
coltellino, risanare quelle andate a male. Lavorando, tutti i prigionieri
mangiarono pericolose quantità di tuberino crudi, ma Augusto, tristemente,
non riuscirà ad inghiottirne, per il disgusto, un solo boccone. La
guerra sarebbe, dunque, finita presto. Sul pennone del campo, il 5 di maggio,
alle ore 12, era stata finalmente issata la bandiera bianca. Il comandante del
lager - che faceva parte dell'esercito e non delle SS - aveva preso accordi con
i rappresentanti dei prigionieri, e si teneva pronto, se fossero arrivati i
russi che temeva particolarmente, a scappare in abiti borghesi. In quel breve
interregno, si ebbe un unico episodio di violenza, contro un guardiano. Quello
stesso 5 di maggio, nell'attesa delle truppe alleate, e nella grande confusione
emotiva, il cibo non verrà consegnato. («Ma benedetti figlioli -
commentarono - non potevano aspettare ancora qualche ora? Proprio al momento
della "zuppa", dovevano presentarsi ai cancelli?»). Quando, molto più
tardi, il cibo sarà finalmente distribuito, Calatroni ed Augusto, non
riuscendo a controllarsi, ne ingurgiteranno tre scodelle, ma dovranno essere
soccorsi. Alcuni prigionieri russi, approfittando di tanta disorganizzazione,
erano andati con un carretto, trovato nei dintorni, a razziare cibo ovunque
avevano potuto. Scoperti anche dei contenitori di alcool a 90 gradi, al ritorno
organizzarono, con tutti quei tesori, un loro festino, che si protrasse a lungo.
Sei, purtroppo, ne morirono poco dopo ed altri, furono ricoverati in condizioni
gravissime. Indecifrabili saranno gli
sguardi che quei soldati americani, ispezionando silenziosamente il campo,
poseranno su di loro. «Comincerà ora l'ultimo capitolo della storia - le
aveva detto Augusto scherzando - ma di una storia già finita». «Sarà un
capitolo indefinibile - lei pensò tra sé - intimamente contraddittorio, come
un ritorno a casa...». Insieme a Calatroni che, appena avvenuta la
liberazione, aveva avuto un grave tracollo psichico, si recarono per due giorni
nella zona americana per tornare, poi, in zona russa dove, muovendosi
casualmente, tra i vari "campi di raccolta", rimasero circa tre mesi,
facendo un breve soggiorno anche a Sopron, in Ungheria. Alla fine, quel loro
vagare inquieto, finì e furono consegnati agli americani, che dovevano
fornire i convogli per il loro ritorno in patria. Irrorati di Ddt, ormai
disinfestati e riacquistate ragionevolmente le forze, fu possibile organizzare
la loro partenza. Era il 15 agosto. Fecero ancora una sosta di sette giorni a
Saint Polten, e poi ripartirono per Milano, dove arriveranno nel pomeriggio del
giorno 25. «Non sarà stato facile per il suo amico - lei si era detta, ancora
una volta - passare dalla memoria alla parola». Ma sembrava avere fatto con
semplicità quella traduzione certamente complessa. Vinta l'inerzia iniziale,
era sembrato che avesse voluto limitarsi a tracciare le linee della resistenza
inflessibile, umana e politica che tutti loro avevano opposto. Era questo
l'aspetto che lui privilegiava su ogni altro. Precipitato nell'ingranaggio di
una micidiale macchina di
annientamento, l'imperativo - questo è stato già detto - era divenuto la
sopravvivenza dell'intero gruppo come unico, possibile gesto di dignità di un
uomo. Tutto, della intima transizione che Augusto aveva dovuto compiere in quei
mesi, era stato sequestrato dalla sua totale adesione a quell'impegno,
cancellando così ogni possibile dimensione narrativa. La struttura segreta del
personaggio non aveva fatto filtrare che qualche rara esitazione o qualche
silenzio... «Quando muore un vecchio uomo - recita un detto della cultura orale
Bantù - è come se andasse a fuoco una intera biblioteca». Certamente era
stata la densità di quell'immagine a sospingere lei lungo quel percorso
coinvolgente.
Le aveva suggerito che ogni pensiero, ogni evento, ogni moto interiore perduto
scolpirà di segreta nostalgia tutto il vivere futuro.
Supplemento a Triangolo Rosso, n. 1 gennaio 2002