Documenti dell'ANED di Milano

Scritti e testimonianze sul Lager di Bolzano

Tullio Bettiol

Brevi appunti sul Lager di Bolzano

 

Il bellunese Tullio Bettiol, nato nel 1927, partecipò giovanissimo all’attività resistenziale, principalmente a fianco del padre Giorgio, importante figura di dirigente del PCI clandestino a Belluno. Nel giugno 1944 fu vittima di un rastrellamento; detenuto nel carcere di Belluno, venne internato a Bolzano nel luglio dello stesso anno. Ebbe il numero di matricola 81. Testimonianza scritta dell’Ing. Tullio Bettiol; Belluno, 24 marzo 1995.

 

Premetto che ci sono dei vuoti di memoria, dovuti al tempo trascorso e al fatto di avere sempre considerato quel periodo come un episodio chiuso e da dimenticare. Perché catturato e come. La mia famiglia era notoriamente antifascista. Mio padre rappresentava il PCI nel CLN provinciale. La mattina del 19 giugno arrivarono in casa i tedeschi, una decina, per arrestare mio padre. Mio padre era in casa, ma fece in tempo a nascondersi in un nascondiglio appositamente costruito. Anche mio fratello, più anziano di me di quattro anni, riuscì a portarsi sul tetto della casa, mentre io rimasi a letto. In casa c’erano anche mia madre e mia sorella. Trovarono me e mi arrestarono conducendomi al comando tedesco delle SS, dove trovai un gruppo di bellunesi, una trentina, anch’essi arrestati. Più tardi giunse da Feltre un altro gruppo, 30/40 persone, tra cui due preti. Quella notte, detta di S. Marina, fu ucciso a Feltre, sulle scale di casa assieme al figlio diciottenne, il colonnello degli alpini Zancanaro, medaglia d’argento alla memoria. Lo stesso giorno fummo trasferiti tutti al carcere di Belluno, io fui posto in cella di isolamento. Dopo una ventina di giorni, esattamente l’otto luglio (1), io e l’amico prof. Sommavilla fummo prelevati assieme a una trentina tra bellunesi e feltrini, c’erano anche alcune donne e carabinieri di Feltre, e trasportati al a Bolzano al Corpo d’Armata. Qui alcuni di noi, non ricordo quanti, fummo trasferiti al campo di Gries. A me venne dato il n. 81, a Sommavilla il n. 82. Fummo rasati a zero, ci tolsero i vestiti, lasciandoci solo le scarpe e ci diedero solo una specie di tuta blu (calzoni e giacca). Sul braccio sinistro era cucito il triangolo rosso. I calzoni all’altezza del ginocchio, e la giacca sulla schiena erano segnati con una striscia rossa. Il giorno 11 agosto ero sicuramente ancora in campo a Gries. A fine agosto – primi di settembre io, Sommavilla ed altri, non ricordo quanti, fummo trasferiti a Merano, nelle caserme di Maia Bassa, vicino all’ippodromo e alla vecchia stazione ferroviaria. Il 23 settembre nuovo trasferimento a Certosa, in Val Senales, a quota 1400 metri, prima in baracche di legno a valle del paese, all’incirca dove ora è stata costruita la caserma dei carabinieri, poi nella caserma delle guardie di frontiera (2) sopra il paese. Quanto freddo! Lo scorso anno sono stato a Certosa e ho potuto constatare che la caserma è stata demolita e al suo posto è stata costruita una scuola. A Certosa nel gennaio 1945 eravamo rimasti una decina di politici e una trentina di ebrei (la distinzione era nel triangolo rosso o giallo). Verso la fine di gennaio il campo fu svuotato (verso l’interno?) e rimanemmo in tre più il cuoco italiano di Bressanone, che era in campo per reati comuni. Il 4 febbraio 1945 di notte, io, Sommavilla ed il terzo (Carlo, da Pavia) evademmo dal campo. Dopo una serie di peripezie ci separammo, Carlo dirigendosi verso la Lombardia, io e Sommavilla verso Belluno, dove fummo accolti dai partigiani e rimessi in salute. Da qui Sommavilla si aggregò al Comando Piazza partigiano ed io invece andai in Cansiglio, sopra Vittorio Veneto, aggregandomi alla divisione partigiana "Nannetti" fino alla liberazione. I capi del Lager. Non ricordo assolutamente nulla. Io e Sommavilla eravamo nel blocco A. L’unica cosa che ricordo è il capo blocco, un italiano delinquente comune, un violento, che si diceva fosse arrestato per omicidio, violenze, rapine e furti. Quando io arrivai a Gries il lager era denominato "campo di punizione e rieducazione SS". Non ricordo però ove fosse questa scritta. Il lager diventò campo di smistamento dopo l’arrivo dei prigionieri di Fossoli. Il trattamento peggiore era quello di Bolzano - Gries, sotto tutti i punti di vista (fame, lavoro, botte). Un po’ meglio a Merano, piuttosto male a Certosa. Il comandante del campo di Merano era un tenente o capitano delle SS, quello di Certosa un sergente o maresciallo prussiano (Otto). Ricordo anche un caporale, sempre SS, polacco. Non mi risulta ci siano stati morti a Merano o Certosa. A Merano penso fossimo un centinaio, tra uomini e donne. Molti lombardi, non ricordo altoatesini. A Bolzano ci facevano spostare nell’interno del campo cataste di legname da un posto all’altro, oppure ci portavano in una cava a caricare sassi su dei vagoncini. A Merano ci portavano alla stazione ferroviaria a scaricare vagoni di merce razziata un po’ dappertutto (tappeti, sete, tendaggi, ecc.). La merce veniva da noi caricata su camion e trasportata nei castelli vicini. Ricordo che la strada portava verso Avelengo, si passava sotto una funivia. A Certosa invece ci portavano alla stazione di Malles con camion che dovevamo caricare e quindi trasportare a Certosa. Ricordo scarponi e zaini francesi. Aiuti dall’esterno? No davvero, almeno a Bolzano e Merano. Nessun contatto con la popolazione. Solo a Certosa due ragazze, le proprietarie dell’albergo "Rosa", ci passavano ogni tanto qualcosa da mangiare. Quando fui arrestato avevo diciassette anni . Sarebbero tanti gli episodi da ricordare. Ne cito un paio. Quando qualcuno tentava la fuga, erano dolori. Un giorno un giovane napoletano (Mario?) riuscì ad evadere da Gries. Tutti quelli del blocco furono messi nel cortile sull’attenti, finché il fuggitivo dopo qualche ora fu ripreso. Dovemmo assistere alla punizione che consisteva in questo: Mario venne denudato e a ripetizione investito da un violento getto d’acqua con una lancia antincendio. Il malcapitato cadeva per terra sulla sabbia e si lacerava tutto il corpo. L’operazione si è ripetuta a lungo. Il giorno dopo era ancora vivo, ma il suo corpo era diventato doppio per le tumefazioni. (3) In campo a Gries c’era un vecchio avvocato ebreo di Bolzano (Carlo Levi?) [nota a margine sul foglio, a mano: "Loew Guglielmo Alessan" –illeggibile], (4) uno scheletro. Le guardie si divertivano a porlo davanti a una carriola, sulla quale ponevano un peso. Quando il vecchio prigioniero alzava la carriola, questa si ribaltava in avanti, facendo fare un capitombolo al malcapitato. A quel punto le guardie gli aizzavano contro i cani lupo per costringerlo a rialzarsi. Noi dovevamo assistere impotenti. Credo sia morto in campo.

da www.deportati.it

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