Documenti dell'ANED di Milano
Dalle carte del processo a Michael Seifert
a cura di Giorgio Mezzalira e Carlo Romeo
Don Domenico Girardi
Reverendissimo Monsignore, …
Don Domenico Girardi, sacerdote trentino, fu arrestato con l’accusa di collaborazionismo con i partigiani il 15 gennaio 1945 a Montalbiano (TN), paese in cui era parroco. Portato nel carcere di via Pilati a Trento, fu internato nel Lager di Bolzano nella notte tra il 31 marzo ed il 1° aprile e vi rimase fino alla liberazione. Il documento qui di seguito pubblicato e acquisito agli atti del processo Seifert, è copia della memoria da lui scritta su quei fatti, stilata – secondo quanto afferma a verbale lo stesso sacerdote - su espressa richiesta della Curia di Trento. Dal documento, che in alcuni passaggi non risulta leggibile, non è possibile risalire alla data della sua stesura.
Reverendissimo Monsignore,
Ho difficoltà a scrivere queste mie memorie, perché non ho fatto nulla di particolare se non quanto molti altri sacerdoti e laici hanno fatto cioè la carità nel significato più intimamente evangelico. La ragione per cui i tedeschi mi hanno portato in prigione – via Pilati – di Trento prima e al campo di concentramento poi è la seguente: due soldati tedeschi, disertori dal fronte di Cassino, arrivano al Nord dopo molte peripezie e anche a Montalbiano e do loro da mangiare, da bere e qualche sigaretta e ciò saltuariamente per alcuni mesi; partono poi e vengono catturati dalle SS in quel di Albiano o Meano. Viene chiesto loro dove erano stati nel frattempo e… fanno anche il mio nome. Di qui la mia condanna come “collaboratore di BANDITEN”. Avevo accolto in canonica anche un ricercato di Montalbiano, Silvio Genetin. Quindi il mio “reato” è stato un’opera di carità, un’opera di bene squisitamente cristiana e sociale: il beneficato ha tradito il suo benefattore. In realtà davo da mangiare, da bere e da fumare a tanti, di passaggio da quelle parti: tedeschi, italiani, russi, americani, anche 2 della Nuova Zelanda, ma non erano partigiani: alcuni erano scappati dalla SPEER (corpo addetto ai trasporti con camion) altri dalla TODT (corpo addetto ai lavori stradali, ecc.); altri venivano da Treviso, dopo il micidiale bombardamento a tappeto, altri paracadutisti cioè bombardieri salvatisi col paracadute, ecc., ecc. Gli americani avevano ricevuto questo consiglio dai loro superiori: In caso di emergenza, andate dai sacerdoti; avrete la certezza di non essere traditi e di ricevere assistenza materiale e morale. Applicazione: deve crescere in noi il senso della comunità, della carità, della unità cioè della Chiesa una e cattolica cioè universale. Deve affermarsi in noi la consapevolezza di essere non una popolazione con certo caratteri comuni, ma un Popolo, un vero Popolo di Dio.
CATTURA
Ero parroco di Montalbiano, paesino di circa 300 abitanti, in Valle di Fiemme, a 1144 m.S/m. Sono le ore 4, squilla il campanello di Canonica, corro alla finestra: è Simone Nones che mi chiama. Mi vesto, scendo in strada e vedo alcune decine di SS e polizia trentina, tutti col mitra spianato e un piccolo cannone, piazzato davanti alla Chiesa. Traduco in tedesco quanto Simone mi disse cioè che aveva comperata una mucca a Brusago e stava per andarla a prendere, ma la risposta fu secca e dura: È impossibile, nulla da fare, anzi viene fermato in piazza. Vado a finire di vestirmi, squilla di nuovo il campanello, è il casaro Vittorio Genetin che vuole andarsene al caseificio per fare il formaggio ecc. di nuovo faccio l’interprete, ma anche questa volta, con parole anzi minacciose e rabbiose e col mitra puntato al mio petto, come indemoniati mi impongono il silenzio e Vittorio è trattenuto in piazza. È un andirivieni di SS e polizia trentina in numero sempre crescente – credo siano stati circa 1000, in grande stile viene operato un rastrellamento: tutti i maschi dai 15 anni in su sono prelevati dalle loro abitazioni e accompagnati e sorvegliati in piazza. Nel frattempo vado a celebrare la S.M. e voltandomi per il Dominus Vobiscum vedo due SS in fondo alla Chiesa, ai lati della porta. Penso: Guarda che bravi, ascoltano la S. Messa e con devozione. Senonché al mio ritorno in sagrestia, c’erano anche i due che con voce dura mi dicono: Kommen Sie mit (venga con noi), al che io rispondo: Sehr gern (molto volentieri) – Nella mia ingenuità mescolata con la meraviglia e stupore e sorpresa del momento, penso: Mi prendono come interprete. Mi fermano in piazza con gli altri parrocchiani che continuamente vi affluivano. Comincio ora a rendermi conto di quanto si stava facendo: il paese è circondato da SS e polizia trentina, 4 cannoni sono appostati nei punti chiave del paese. Pensavo che Montalbiano fosse un covo di partigiani e così nessuno avrebbe potuto sfuggire. Verso le 8, tutti maschi dai 15 anni in su, incolonnati e scortati sempre dalle SS con mitra pronto allo sparo ci dirigiamo verso Casata, mentre le donne e i bambini stanno a guardare stupiti e increduli e piangono dirottamente di fronte alla scena incerta e oscura: il meno che ci si poteva aspettare era essere mandati al ponte di Egna o dei Vodi o con la TODT. A Casata, ammassati nelle aule scolastiche, esaminati, controllati e rispediti a casa tutti tranne il sottoscritto e un certo Genetin Vittorio, fratello di un ricercato. Verso sera, insieme con altri rastrellati in Fiemme e con Riccardo Pattis, parroco di Valfloriana, condotti al carcere di via Pilati in Trento e qui fatti entrare in celle e cameroni con altri di reati comuni. Io e don Pattis chiusi in cella: don Riccardo verrà poi liberato 15 giorni dopo e io vi rimango solo soletto per due mesi e mezzo esatti.
PERMANENZA IN CARCERE
a) Nessun contatto col mondo esterno né coi familiari né coi superiori né coi parrocchiani e quindi soltanto notizie di radio scarpa; non era permesso nessun apparecchio radio. Sofferenza morale a non dire: in canonica avevo papà e mamma e per di più il Papa ammalato di tumore all’esofago e che morì, senza averci potuto vedere, 15 giorni prima del ritorno dalla prigionia. Soltanto verso la fine di marzo ho potuto parlare con le due mie sorelle.
b) Freddo intenso, specialmente dopo che PIPPO aveva bombardato il convento delle Canossiane e, con lo spostamento d’aria, aveva rotto i vetri della cella. L’acqua che ci veniva data in una ciotola per bere e in un lavamano per le pulizie personali, senza però un asciugamano o qualcos’altro di simile, alla mattina si trovava agghiacciata; eppure mai nessun raffreddore o male di gola; soltanto i geloni alle mani che ingrossate sembravano due rospi e la pelle, rompendosi, lasciava uscire acqua e sangue mescolati; così i piedi ingrossati da non poter allacciare le scarpe.
c) Fame. Una volta al giorno ci veniva dato un mezzo litro di così detto brodo, senza sale e due microscopiche spaccate: dovevano servire per colazione, pranzo e cena. Premendo con le mani sul ventre, sentivo qualche cosa di duro in posizione verticale: era la spina dorsale. A proposito di cibarie non posso fare a meno di esprimere ancora la mia riconoscenza ai PP. Francescani di via Grazioli che, tramite la buona guardia carceraria Ceschini di Lasino, mi fecero pervenire, a distanza di una settimana, tre grossi pacchi di ogni ben di Dio: pane, biscotti, formaggio, fichi, mele, ecc. Così altrettanto ai miei carissimi e indimenticabili parrocchiani di Montalbiano. Quale l’uso di queste cibarie? – Sempre chiuso in cella, giorno e notte, si usciva soltanto al segnale allarme delle incursioni aeree per andare negli avvolti delle carceri e del tribunale divenuti così “RIFUGI”; qui ci trovavamo tutti insieme e insieme, un pezzo di pane e altre cibarie, consumavamo tutto quanto avevamo: tutti ci sentivamo fratelli uniti nella sventura e nell’amore dimostrato non con le parole, ma con i fatti. In vita mia non ho mai sentita la “GIOIA” della carità come in carcere, dividendo quanto avevo di materiale. E come me, anche altri.
d) Quando cadevano le bombe e il terreno tremava, essendo agghiacciato, Padre dicevano tutti, ci dia l’Assoluzione e allora tutti, letteralmente tutti, spontaneamente si inginocchiavano, recitavamo insieme “O Gesù di amor acceso” e poi l’assoluzione generale e poi tutti in preghiera ancora fino al cessato pericolo. Pensavo all’espressione di Voltaire: “Il momento della morte (nel n. caso pericolo imminente di morte) è il momento in cui tutti, anche i bugiardi, dicono la verità. E quanto scrisse N. Salvaneschi: “Se ti senti terribilmente solo in questo vano mondo pieno di uomini e di cose, di febbri e di passioni, cerca dentro di te e troverai il “Dio interiore” di Luigi Granada e il “Deus absconditus” di Biagio [illeggibile] risponderà dal silenzio dell’anima. Ma per udire la Sua voce dentro di te, è indispensabile acquistare tre silenzi: delle parole, dei desideri e dei pensieri…Ma per ricevere grazia bisogna invocare misericordia in ginocchio”
e) Due durissimi interrogatori da parte delle SS, nella cosiddetta “Villetta Rossa” di via Brigata Acqui. Mi accusavano di aver avuti contatti coi Partigiani, al che risposi negativamente: avevo dato soltanto da mangiare e da bere a qd. Senza interessarmi chi fosse. Il mio è un Ufficio Parrocchiale e non un Ufficio di polizia. E poi: la mia politica è quella di Cristo: non fare mai del male a nessuno: fare invece del bene morale e spirituale sempre e a tutti ed, entro i limiti delle proprie disponibilità, anche materiale. Un intellettuale doveva sapere che tutti gli uomini dai 18 o 20 anni ai 60 dovevano prestare o servizio militare o lavorare con la TODT… Tante minacce, pugni sotto il naso, ma niente botte. Riflessioni in cella: fare del bene sempre, ma con la disposizione d’animo a non ricevere altrettanto bene, ma anche male. Durante gli allarmi accolgo anche le confidenze di molti, come un sacerdote soltanto le può cogliere: ho assolto, ma ho anche MOLTO imparato: una fra le tante cose imparate e che ho cercato di applicare nella vita pastorale, è la seguente: non condannare mai nessuno né il ladro né l’omicida né l’altro definito delinquente comune, senza prima averlo ascoltato; nel giudicare è necessario tener conto dell’ambiente in cui uno è nato, è cresciuto, ha lavorato; ha sentito il calore della famiglia? La famiglia è stata un altare o una tana? È rimasto orfano di papà? E allora giudicare con tanta comprensione; è rimasto orfano di mamma? E allora comprensione e misericordia ancora maggiore, vorrei dire in grado superlativo. In parole povere: condannare il male, ma voler tanto bene e comprensione con chi fa il male. Dopo aver ascoltato uno o l’altro di questi colpevoli di reati comuni, ho sempre trovata un’attenuante. Credo di non errare applicando il detto: Duo qui faciunt idem, non est idem = due persone che fanno la medesima cosa, non è la medesima cosa.
f) Non potei mai celebrare la S. Messa, nemmeno la festa, anzi nemmeno parteciparvi, tranne una volta: tanto ero pericoloso… Un episodio che poteva essere tragico: Tra gli aguzzini v’era anche una impiegata tedesca, da noi soprannominata “iena”. Mi parla così in fretta ed eccitata che non ho capito quasi nulla. Al che con calma forzata rispondo: Gefëllig sprechen Sie ein wenig langsamer, weil ich die deutsche Sprache nur aus den Büchern gelernt habe; ich habe wenige Sprechübungen gemacht = per favore, parli un po’ più adagio, perché il tedesco io lo ho imparato sui libri e ho fatto pochi esercizi vocali. Und deshalb ich habe fast nichts verstanden = e perciò io non ho capito quasi nulla di quanto Lei ha detto. Accortasi che aveva parlato invano o forse sospettosa che facessi la parte del finto TONTO, perché parlavo tedesco e nello stesso tempo avevo detto di non aver capito nulla, mi si avvicina, parla come una indemoniata e in tono sempre crescente mettendomi i pugni sotto il naso e lo sfiora più volte. Io mi ritiro lentissimamente fino alla parete: sento vampate di calore alla testa, le mani nervosamente si tenevano l’una l’altra, la cistifellea credo che abbia sprizzato molta bile, mi sembrava mi si muovesse fegato, stomaco, trachea. La tentazione in quel momento fu strangolarla quella “IENA” e ci sarei riuscito con una sola mano, ma l’actus hominis è superato dall’actus humanus.
1 APRILE 1945
Cambio di residenza. Caricati su camion scoperto e scortati da SS con mitra sempre pronti alla sparo, partenza da Trento per destinazione ignota. Intimazione precisa: per uno che scappa, 10 di noi sarebbero stati fucilati. Arrivati alle prime case di Gardola, sosta forzata per l’apparizione di uno stormo di aerei con lancio di bombe sul ponte dei Vodi a Lavis e dintorni. Dopo mezz’ora circa, di nuovo sul camion, ma, fatti 100 m circa, nuova incursione; sosta e ritorno a Trento, ma… di noi ne mancavano 4 e le SS si accorgono. Siamo messi in fila, con le mani in alto, mentre 4 SS. si mettono col mitra in braccio pronti a sparare, se non si fossero trovati i fuggitivi. Esito favorevole: uno era scappato attraverso la campagna, ma gli altri 3 sono stati trovati nascosti nella casa che ci aveva ospitati. Di loro non ho avuta più alcuna notizia. Ritorno a Trento sul mezzogiorno e tutti, uomini e donne, messi in uno stanzone delle carceri di Via Pilati. Una scena commovente: di passaggio da Piazza Venezia, parecchi cittadini sono in attesa di entrare nel grande Rifugio, giacché sul mezzogiorno gli allarmi erano pressoché quotidiani: ci vedono, comprendono la nostra situazione, ci salutano con la mano e moltissimi piangono per la nostra sorte. Verso le ore 21 partenza da via Pilati per destinazione ignota e verso le 23 si arriva al Campo di Concentramento di Bolzano. Incolonnati due per due, sull’attenti una SS fa l’appello: il dott. Nicolini, medico condotto di Sover, muove un po’ la testa e, in punizione, una SS gli dà un fortissimo pugno su una guancia e il povero medico si riversa di peso su di me che lo sostengo, gli do un po’ di coraggio sillabando non so quali parole, impressionato molto da quel primo e non umano saluto. Noi uomini siamo alloggiati, per la prima notte, nel Blocco degli Ebrei.
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BOLZANO
È un campo di smistamento: Durchgangslager. Quasi ogni giorno arrivano nuovi ospiti e altri partono per Dachau, Buchenwald e altre località. Normalmente eravamo circa 2000, di ogni condizione e di ogni provincia d’Italia: prof. Ferrari, ex sindaco di Milano; un primario dell’ospedale di Gallarate, “reo” perché suo nonno era ebreo, generali, colonnelli, avvocati, P. Giuseppe Degasperi di Sardagna, don Pedrotti, don Longhi, P. Maurizio il santo cappellano delle carceri di Rovereto, martire del sigillo sacramentale (le SS volevano dicesse quanto udito in confessione), tanti giovani del Cismon del Grappa, ecc. Due lunghi capannoni divisi da parete in mattoni sono i dormitori detti BLOCCHI e soggiorno dalle 18 alle 6. E i letti? Niente lenzuola, niente coperte e guanciali, soltanto assicelle di abete e a basamento, in tre, uno sopra l’altro. Molti i pidocchi, pulci e cimici, verso la fine si fecero cosiddetti gabinetti, altrimenti ogni blocco aveva un recipiente di latta con due ganci alla sommità; alla mattina due “concentrati” mettevano un palo nei ganci e via… La mia occupazione PRINCIPALE era spaccare legna. Un tronco d’albero per terra, in posizione orizzontale, una decina di “concentrati” armati di accetta, sempre sorvegliati da SS col mitra in mano e pronti a sparare a ogni evenienza. E qui un fatto, assai commovente per me sacerdote, ripetuto tante volte: “Padre, mi confessa?” e sempre lavorando confessavo tracciando poi un segno geroglifico come volessi asciugare il sudore dalla fronte, davo l’assoluzione. Così confessavo la sera, nei blocchi, e durante il tempo libero della giornata. Confessore e confessando alla apparenza eguali: testa rapata, barba abbastanza lunga, tuta con croce di S. Andrea sulla schiena e sulle ginocchia con addosso animaletti noiosi. Pensavo: Qui non è la mamma che dice: Figlio, va a confessarti, è Natale o Pasqua ecc. o altro appuntamento di calendario, ma era l’animo naturaliter cristiano che aveva fame e sete di Dio. Era un fratello che dal sacerdote attendeva una parola di speranza e da Dio la pace del cuore e conforto per la vita. Mi impressionava lo spirito di fraternità e amore vicendevole che regnava nel Campo e al di fuori e al di sopra di ogni partito, di ogni ideologia: siciliani e piemontesi, trentini e napoletani, intellettuali e operai tutti solidali legati da un misterioso filo di umanità e unità. A proposito di partiti: nel Campo, non so quando e da chi, era costituito il Comitato di Liberazione Nazionale formato dal P.C., dal PSI, dal Partito di Azione, dalla D.C. ecc.. Hanno chiamato anche me a farne parte: confesso che io ero il meno o niente preparato a discussioni di partito e ingenuo; seguivo il metodo socratico, facendo domande e dialogavo secondo i principi del Vangelo; più da politico (io facevo parte della D.C.) parlavo da prete. Alla fine il CLN mi rilasciò il seguente documento firmato di Pirelli (l’originale lo tengo come prezioso ricordo): “Il Sig. Rev. Girardi don Domenico - matricola 10626 – è un ex detenuto POLITICO proveniente dal Campo di Bolzano. Egli merita perciò l’aiuto di tutte le Autorità civili e militari e di tutti i cittadini dell’Italia Liberata, in riconoscimento dei sacrifici sofferti per la Patria oppressa” MATRICOLA: lì dentro non esisteva titolo di studio, professione, nome e cognome, per nessuno; per i tedeschi noi eravamo soltanto una “COSA” ……., numero e il mio era appunto il 10626. Il colore del rettangolo su cui era stampato il numero era giallo per gli Ebrei, azzurro per gli ostaggi e rosso per i politici e questi erano considerati i peggiori, i più pericolosi; e il rosso era il mio colore per questa mia pericolosità sono sempre stato a disposizione del Tribunale Speciale. Beffa della Giustizia umana: la mia è stata un’azione semplice, ordinaria, umana, cristiana: dar da mangiare agli affamati e da bere agli assetati; azione che moltissimi, come detto sopra, hanno compiuto durante la guerra. E il giudizio degli uomini? La stessa azione, vista sotto un profilo diverso, ti porta al Tribunale Speciale, il vertice del potere e giustizia. Povera giustizia umana!… Un fatto doloroso mi sconvolge: il 14 aprile mio papà muore a Montalbiano, vengo a saperlo per via indiretta da una squadra di “concentrati” usciti a lavorare verso la stazione bombardata e ai quali una ragazza di Montalbiano aveva parlato di sfuggita. Mi faccio coraggio, domano udienza al Comandante del Campo ed… eccomi davanti: Mein Vater ist gestorben… mio padre è morto, lascio sola mia mamma, permettetemi di poterla vedere almeno per qualche minuto, affinché ella sappia che sono vivo. Fatemi accompagnare da qualche guardia, pago tutte le spese; ora non ho denaro, ma a casa, ho campi e prati… e soddisferò tutto. Quello mi ascolta, pare, con attenzione e commozione. Poi si alza, senza dire una parola, fa il giro della scrivania, mi si avvicina, tira indietro il piede destro per prendersi la rincorsa e darmi un calcio che mi avrebbe buttato fuori dalla porta. Intuisco le intenzioni, esco dalla porta e discendo dalla scaletta di 12–14 scalini con la velocità di un razzo. Il calcio mi sfiora la parte posteriore e il cui effetto, ferita con sangue, lo sento per parecchi giorni. Allontanandomi a zig zag grido, urlo: “Heute mir, morgen dir = oggi a me, domani a te.” Questo episodio e numerosi altri simili che riguardano anche terze persone, avevano sconvolto il mio animo da odiare satanicamente tutti i tedeschi. Se il Signore, dicevo, mi desse l’attributo della onnipotenza per qualche tempo, prima di tutti farei resuscitare mio papà, poi chiederei una morsa per serrare dentro le SS una alla volta e tirerei loro il collo come a una gallina. In realtà non sarei stato capace di far loro nulla di male. Prova ne sia che, di ritorno dal Campo – nel tratto di strada Cavalese-Valfloriana, ho incontrate alcune decine di tedeschi in disfatta che desideravano varcare il confine; ebbene a questi ho insegnata la strada migliore e fatti gli auguri di buon viaggio. Pensavo e anche adesso penso fra di me: Se io, sacerdote, dopo una permanenza in cattività di soli tre mesi e mezzo, con una educazione cristiana avuta in 12 anni di seminario; con l’esempio di due ottimi genitori davanti agli occhi, con tanti mezzi di grazia ecc. ecc. io, almeno a parole, sono diventato tanto cattivo, sbandato e di cattivo conio, che sarà di tanti nostri soldati che si sono trovati nella bolgia per più anni e in terre straniere… e da questo confronto è maturato in me un certo senso non di lassismo o permissivismo, ma di comprensione, di non meraviglia anche se uno cade nell’abisso. Noi nati per amare, costruire e vivificare e anche per benedire la vita. Saper cogliere i lati positivi di una persona più che i negativi. Non dare giudizi troppo frettolosi. Non essere severo per le colpe degli altri, ci ricorda N. Salvaneschi, senza ricordare come e quando hai peccato tu, ma guarda con indulgenza chi sbaglia e chi cade. Adopera la tua saggezza non per colpire, ma per difendere; non per condannare, ma per perdonare.
30 APRILE 1945
L’ultima settimana di aprile fu una settimana piena di ansie e di suspense…per la ridda di voci contraddittorie e oscure: eccone alcune:
- il Campo lo prende in consegna la CRI e tutto sarebbe stato pacifico;
- sono vicini i partigiani e vogliono essi occupare il Campo; in questo caso i tedeschi non avrebbero mollato e piuttosto avrebbero fatto fuoco anche su di noi;
- i Tedeschi, come sono stati cattivi per il passato, avrebbero fatta la loro ultima
bravata ecc.
La cosa invece è stata composta nel migliore dei modi: il pomeriggio del 30 aprile ciascuno venne dato il regolare ENTLASSUNSSHEIN1 firmato dal Lagerkommandant e… fuori come le belve, a cui sia stato aperto il serraglio.
1 Maggio 1945
Arrivo a Valfloriana verso le ore 10.30. Vado a salutare l’amico don Riccardo e… non vedo l’ora di rivedere mia mamma. Ma lui insiste: Fermati un poco, riposa, sbrigo alcune cosette e poi voglio venire anch’io in compagnia. Sentivo una forza che mi spingeva e una che mi tirava verso la mamma, ma obbedisco e mi fermo. Dopo ho capito: tutto era predisposto, è scattato il segnale, a Montalbiano si suonano le campane, era il segno convenzionale e tutta la gente abbandona le proprie case per venirmi ad incontrare. I più fisicamente validi me li vedo in maggioranza davanti all’uscita della canonica di Valfloriana, altre persone lungo la strada, i più anziani e le mamme con i piccoli in braccio all’entrata del paese. Poche parole: Finalmente viene [illeggibile] come sta ecc. tutti commossi e più che le parole, parlano gli occhi . [illeggibile] Una visitina alla Chiesa, all’entrata del paese, poi alla tomba di [illeggibile] al cimitero attiguo e con sopra la fossa i fiori del funerale [illeggibile] giorni prima … e qui l’incontro con la mamma; io a un lato [illeggibile] all’altro della fossa e … una forte emorragia nasale [illeggibile] di sangue – arrossisce i fiori appassiti. L’emorragia, così mi si è detto, mi salvò dalla morte.
1 Entlassungsschein: documento che attestava l‘avvenuto rilascio del prigioniero dal Lager
da www.deportati.it