Gerardo Vittoria, è nato nel 1942 a Palena in Abruzzo,
figlio di un impiegato comunale ha vissuto anni duri nel paese
durante i quali però è stato attento a cogliere
echi e sensazioni legati ad esperienze individuali.
Trasferitosi nel 1956 a Chieti è riuscito con grande volontà
a diplomarsi geometra: per molti anni è stato dipendente
dell'Enel; la sua vocazione è sempre stata però
la letteratura.
Le contingenze di vita hanno fatto desistere Vittoria dall'idea
di laurearsi; si è dedicato molto allo studio delle lettere
e del latino, maturando una propria visione della civiltà
classica al di fuori degli schemi scolastici. 1 racconti raccolti
nel volume Aia Falchetta sono ispirati ai ricordi della infanzia
dello scrittore, la cui fantasia è sempre carica di una
forte partecipazione .umana rivolta particolarmente al mondo
del paese nativo.
Egli immette nelle sue storie, quasi sempre prese dalla realtà,
una strenua volontà di chiarezza, di partecipazione, sì
che il lettore, entro i suoi libri, non si sente mai un escluso.
Circola nelle pagine di questo sensibile scrittore una pulita
grazia, una fresca ventata di poesia entro moduli narrativi che
oscillano in amabile rigore verista.
Le sue opere rivelano problematiche meramente letterarie e sono
occasione di profonde riflessioni umane.
Uno
stralcio dal libro...
......Vincenzo
era un contadino dal fisico robusto e muscoloso, la pelle un po'
rossiccia, coperta di peli biondastri, mangiata dal sole della
montagna e dal lungo lavoro dei campi. Proprio accanto alla sua
abitazione, due porte più a valle, c'era una ragazza bellissima,
senz'altro fra le più belle dell'Aia Falchetta: Rosina,
detta Rosinella, era fra le più desiderate da quasi tutti
i giovanotti della contrada. Lei li guardava in modo benevolo,
ma non aveva alcuna intenzione di sposare un contadino. Non conosceva
il lavoro dei campi, ne la mamma le aveva mai permesso di andare
in campagna, nel piccolo fazzoletto di terra, poco distante da
casa sua, breccioso, con una piccola vigna, poche patate, qualche
spiga di granturco e qualche cespo di fagioli. Poca cosa per una
famiglia che, tuttavia, viveva bene perché il nonno, dalla
lontana America, inviava pacchi, ravvolti in un telo bianco, pieni
di ogni ben di Dio.
L'avviso di arrivo del pacco avveniva in maniera discreta: Mingo,
il postino, lo consegnava a Luisetta, la nonna di Rosina, sotto
forma di lettera, evitando di mostrare il cartoncino giallastro
che lui stesso provvedeva a chiudere in una busta via aerea.
La cadenza della chiamata era sempre la stessa: le ultime vocali
venivano allungate da una sorta di cantilena il cui ritmo era
proprio musicale: Aaaaa Mariiiiii, Aaaaa Luisetttt! Anche se stavano
vicino, Mingo non rinunciava mai alla sua breve cantilena; vero
è che 1' Aia Falchetta era la sua ultima tappa giornaliera
e qui, specie d'estate, si asciugava il sudore con un fazzoletto
e "lo faceva scomparire", come diceva lui in queste
occasioni, con un buon bicchiere di vino che sempre gli veniva
offerto dagli abitanti della contrada.
Il ritiro del pacco di Luisetta era sempre un mistero: non si
sa per quali vie segrete usciva dallo ufficio postale per essere
messo dentro un bigoncio vecchio che Guerrino, padre di Rosinella,
doveva restaurare. Posto su una carriola, il bigoncio veniva portato
a casa e qui, la sera aveva luogo il rituale dell'apertura del
pacco fra gli ohhhhh! di meraviglia di tutta la famiglia. Guerrino
faceva il tinaio: un mestiere poco diffuso che all' epoca costituiva
una specializzazione del ramo della falegnameria: riparava e costruiva
tini, botti, secchie, bigonci, "sciovratore " e tutti
i recipienti di legno impiegati in agricoltura. Era un artigiano
e non avrebbe mai fatto sposare la figlia ad un contadino.
Rosinella
mia deve sposare una persona per bene, perché è
bella, ha la dote e non le manca niente! Ripeteva a qualche comare
che gli chiedeva se la figlia era già promessa o se era
fidanzata segretamente. Queste cose erano ben note a Vincenzo
che però non intendeva rinunciare a Rosinella e quando
andava a zappare la grande distesa di vigna di sua proprietà,
sopra S. Giovanni, vicino all'Aia Falchetta, qualcuno giurava
di averlo sentito parlare da solo, paragonando le grandi estensioni
dei suoi terreni al fazzoletto di terra di Guerrino. Fra una bidentata
e l' altra diceva: Certo che quelle quattro viti di Guerino sono
ben poca cosa rispetto a questa mia grande vigna.
Sollevava la schiena, poggiava il mento sul manico del bidente,
guardava la sua vigna, guardava le lontane quattro viti di Guerrino
e in cuor suo si rallegrava.
Il suo sguardo andava poi alla lontana
finestra di Rosinella, posta poco dopo la sua e all'improvviso
lo assaliva il dubbio: Lui è un artigiano, io sono un contadino,
chissà?
Così decise di fare il grande passo. Una sera indossò
l'abito della festa; i suoi amici avevano intuito cosa voleva
fare e lo prendevano in giro. Che vuoi fare Vincenzino ? Vai a
casa della fidanzata stasera? Devi sposare oggi?
No, ripeteva lui, senza scomporsi e con fare altezzoso, no...no...
ho una cosa importante da fare!
Dai vieni con noi all'osteria di Pasqualino, anche se sei vestito
così, stasera Pasqualino ci prepara gli involtini al forno...sì...quelli
fatti con le budelle di capretto, accompagnati dal suo vino di
casa, non di quello comprato verso la pianura. Vincenzo non li
ascoltava. Si può sapere dove vai? All'ultimo insistente
interrogativo, Vincenzo rispose:
Bene, se proprio volete saperlo, vado abball a Palain (giù
a Palena) per parlare con un amico.
Quello di andare "abball a Palain" era un
antico modo di dire di tutta la contrada Aia Falchetta, come se
i suoi abitanti facessero parte di un altro paese: sì,
era proprio così Dal resto del paese li divideva il Ponte
Spacarello, la Pineta, le Paiare, il Ponte sul fiume Aventino
ed infine la strada del Ponte. Il resto del paese era altra cosa.
Il loro mondo era rappresentato dalle tre stecche di case dove
in ogni portone entravano due o tre famiglie organizzate in maniera
patriarcale; in paese ci si andava per comprare le poche cose
indispensabili per mandare avanti la casa, la domenica per recarsi
a Messa e negli altri giorni per partecipare alla vira religiosa......
........
Chiacchieravano raccontandosi fatti
di ogni genere, quando all'improvviso furono attratte da grida
gioiose di bambini: erano i ragazzi della vicina colonia montana
che festosamente tornavano dalla lunga passeggiata verso il fabbricato,
vicino alla pineta. In testa a tutti c'era un uomo sempre sorridente
e pronto alle battute spiritose, in dialetto o in italiano, che
oltre ad essere il custode dello stabile, era anche il banditore
comunale, da tutti soprannominato Pantano.
Sandro era bravo, dolce con i giovani e vecchi, con donne e uomini,
ma soprattutto era il re di tutti i bambini: con loro si intratteneva
affabilmente raccontando vecchie storie realmente accadute e non,
condite di ogni fesseria, accompagnate da una risata che solo
lui sapeva fare. Spesso si faceva sostituire nell'arte del banditore
da questo o quel ragazzo scegliendolo fra lo stuolo di quelli
presenti: per il prescelto era un onore! Ne rettificava la cadenza
nello scandire le notizie e dirigeva come un maestro di musica
la durata della suonata della sua tipica tromba: naturalmente
il messaggio era a voce alta e in puro dialetto palenese:
(in
ricordo dell'indimenticabile "PANTAN'E" ...! ):
Ammond'
alla Basulat,
alla p'tueic d'Sabbett
d'Rmuèit s venn la baccal'
Altro
tu - tuuu con la tromba ed altro avviso:
Sott
all'ammazzataur
s'venn la carr della v'tell
d' M'liott' a priezz
d' bassa macellaziaun.
Poi
a bassa voce:
La
venn Ming i muciellar
eff' n' truattament special un
a tutt i client siè!
Abball' alla piazz'
e arrvèt Ceruccie d' Casul:
venn la frutt
tutt priezz buon.
Però ci st' la cuncurrènz
d' Capoccie, pecchè pur di Capoccia,
iss teJe i priezz buon.
Per
evitare di perdere il pagamento da tutti e due:
Chi
ha arr'truat'
n' luaccett d'uor
i p'rtuèss aiu accieprèeit
cà l's' iss di chi è.
V'cièin' ai luavatèur
errvèt l'pesce', ma avvèue
n'vvntèress pecchè t'n 'it
i pr'sutt buon.
Poi l'imprevista battuta finale:
Sott
aiuarloggie, ci st'
i Uascie ch' venn' i ciffieje ".
Emmò, s'ccom'so f'nèit
iggiuèir m' n'arrvaje.
|
Sopra
alla Basolata
alla bottega di Elisabetta
a metà prezzo.
Altro
tu - tuuu con la tromba ed altro avviso:
Sotto
al mattatoio
si vende la carne della vitella
di Miliotto a prezzo
di bassa macellazione.
Poi
a bassa voce:
La
vende Mingo il macellaio
e fa trattamento speciale
a tuti i clienti suoi.
Sotto alla piazza
è arrivato Ciruccio di Casoli
vende la frutta
tutta a prezzo buono.
Però ci sta la concorrenza
Di Capoccia, perché anche di Capoccie
lui ha i prezzi buoni.
Per
evitare di perdere il pagamento da tutti e due:
Chi
ha trovato
un laccetto d'oro
lo deve portare all'arciprete
perché lui sa di chi è.
Vicino al lavatoio
è arrivato il pesce, ma a voi
non interessa perché tenete
il prosciutto buono.
Poi l'imprevista battuta finale:
Sotto l'orologio ci sta
lo Uascio che vende i fischietti.
E adesso, siccome ho finito
il giro, me ne torno.
|
-
© 2000 MAYEL
Editore, Aprile 2000
Piazza Valfrè, 62 - Tel. 0131260441
-
15100 ALESSANDRIA
|