Un'altra "americana" poco conosciuta: la Univex Mercury. | |||
Da una macchina "grande formato" ad una
"mezzo fotogramma", cioè 18 x 24 mm. Il collegamento tra le due sembra arduo, ma può basarsi almeno su due aspetti: - entrambi gli apparecchi partecipano della medesima logica
costruttiva centrata sulla affidabilità, sulla robustezza, sulla durata
nel tempo, oltre che sulla qualità intrinseca dei materiali e delle
ottiche; |
La cartuccia Univex utilizzata nella Mercury CC. Aveva il dorso in carta, anch'essa perforata, e la linguetta gommata di chiusura. |
Prodotta dalla Universal Camera Co.di New York a partire
dal 1938, la Mercury si caratterizza per l' "arco" che la sovrasta e per
le due grosse "manopole" sul frontale, una (a sinistra) per
l'avanzamento della pellicola e l'armamento dell'otturatore e l'altra
per la selezione dei tempi. A lato, in alto il primo modello CC e sotto il modello CX, detta anche Mercury II, prodotta a partire dal 1945. Le differenze sono marginali e si riducono principalmente al contafotogrammi (nel modello più recente, su una rotella separata dalla manopola di armamento) e sulla manopola di riavvolgimento pellicola, presente solo nella Mercury II, che utilizza i normali caricatori 135; il modello precedente infatti utilizzava solo cartucce e pellicola Univex che si svolgeva da una cartuccia e veniva raccolta nell'altra, con una procedura di caricamento piuttosto laboriosa. . La forma particolare non dipende, ovviamente, da una scelta estetica, ma da da una precisa ragione funzionale. Sotto l'arco è infatti collocato un interessante "otturatore rotante", che la Universal traspose su questi apparecchi basandosi sulla propria esperienza nella costruzione di proiettori 8mm. |
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L'otturatore è costituito da due semicerchi di metallo
che, con il comando del selettore dei tempi, vengono predisposti
facendoli sovrapporre parzialmente, liberando una "fessura" di ampiezza
variabile. I due semicerchi, al momento dello scatto, ruotano
solidalmente attorno ad un perno situato sopra la finestra del
fotogramma, sotto l'azione di un'unica molla ad elica cilindrica che
lavora in rotazione. Una soluzione semplice e molto efficiente: la
precisione dell'otturatore della Mercury surclassava quella di
fotocamere europee "di gran nome" dell'epoca, specie nei tempi
più brevi. Aperta la teca in cui è collocato l'otturatore, in alto vediamo la fessura predisposta per il tempo 1/20, mentre in basso vediamo la fessura per il tempo 1/1000. La particolare architettura dell'otturatore impose però una limitazione nel formato del fotogramma, che necessariamente dovette essere ridotto a 18x24mm, con il vantaggio però di poter realizzare (nella CX, con caricatore 135) 65 fotogrammi. L'ottica di qualità di cui era dotata la fotocamera consentiva tuttavia di compensare questa limitazione. |
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L'ampio spazio disponibile sull'arco viene utilizzato dalla Mercury per una scala della profondità di campo, suddivisa in due parti. Nella facciata posteriore comprende i valori di diaframma da 2 (obiettivo alternativo al normale 2.7) a 2.7. Sulla facciata anteriore invece la scala è riferita ai valori 3.5, 5.6, 8 e 16 (ma entrambi gli obiettivi hanno anche la regolazione a f/11 e f/22). | ||
Sulla parte posteriore è invece collocato un
complicatissimo "regolo calcolatore", che vuole tenere conto di una
miriade di fattori. Il primo parametro è naturalmente la sensibilità
della pellicola, espressa in valori Weston con una scala dettagliata che parte da 8
Weston (10 ASA) e arriva al valore 250 (320 ASA),
poi l'eventuale fattore moltiplicativo determinato da un filtro (fino a
4X), la stagione dell'anno (estate o inverno) e l'orario di ripresa
(prima delle 8 o dopo le 16; tra le 8 e le 10 o tra le 14 e le 16; tra
le 10 e le 14), l'ambiente della ripresa (mare/neve, città, bosco) e le
condizioni di illuminazione (alta, media, bassa). Nell'esempio a lato, con una pellicola 125 Weston (160 ASA), in estate tra le 10 e le 14, una foto in città con illuminazione alta, richiederebbe 1/100 ad f/16. |
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Vista dall'alto, si nota, indicato dalla freccia, lo
"zoccolo caldo" del flash: un'assoluta novità mondiale della Mercury,
fin dal 1938, poiché fu la prima a montarlo. Su di esso si poteva fissare, introducendolo da davanti, un flash specifico della Univex, a lampadina. Sull'altro zoccolo si poteva invece fissare un "esposimetro ad estinzione": in pratica, puntandolo verso il soggetto, risulta illuminata una serie di lettere su bande via via più scure. L'ultima lettera visibile determina, sulla base di una "guida esplicativa",la combinazione tempo/diaframma da usare. |
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L'esame dell'interno, anche se sommario, mostra che la
Mercury era una fotocamera estremamente robusta: ogni parte è
surdimensionata, con un disegno molto semplice e funzionale. Il corpo, in fusione di alluminio, è massiccio, facendo assumere alla fotocamera il peso di 600 grammi. L'obiettivo, nella Mercury II, era
un Tricor 2.7 35mm con trattamento antiriflesso (apparentemente,
multiplo), molto incisivo, e sembra fosse disponibile anche un obiettivo
f/2; in precedenza, era un Tricor 3.5 35mm senza antiriflesso.
Risultavano disponibili anche un 75 ed un 125 mm. |
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Esaminate le qualità, occorre però accennare anche a due
"difetti", uno "originario" ed un altro che deriva dal tempo. La Mercury ha il corpo interamente di alluminio, non cromato né verniciato. Forse è per questo o forse, come molti ritengono, per difetti o insufficienze nella lega, che le Mercury soffrono gravemente l'umidità e ancor più la salsedine. Purtroppo, di conseguenza, sono frequenti le Mercury, di entrambe le serie, affette da "macchie" scure o addirittura da segni di grave corrosione che intacca in profondità la superficie esterna. Fortunatamente, l'interno è invece indenne da questi fenomeni. Il
secondo problema nasce dall'invecchiamento del lubrificante e del grasso
usato all'epoca. Con il tempo, specie se la fotocamera è stata poco
usata, si sono trasformati in una sostanza gommosa e collosa che blocca
completamente in particolare la ghiera di messa a fuoco, montata sul
corpo macchina. Riscaldare la parte con un phon è un rimedio solo
temporaneo, essendo necessario smontare la parte, ripulirla
accuratamente e depositare un sottilissimo velo di olio sintetico
leggero mescolato a grasso al molibdeno. La meccanica interna,fortunatamente, è molto meno sensibile al problema e spesso è sufficiente una leggera pulizia delle parti con un adatto solvente per eliminare ogni pericolo. A parte questi aspetti, le Mercury si possono considerare fotocamere
"eterne" ed indistruttibili, pienamente affidabili ed in grado (specie
la serie CX, o Mercury II, grazie al trattamento antiriflesso
dell'obiettivo ed alla possibilità di usare i caricatori 135) di dare
ancora belle soddisfazioni al fotografo. Consigli per l'uso. |
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Riferimenti La storia della Mercury è in http://rick_oleson.tripod.com/index-25.html ; altre notizie storiche in http://licm.org.uk/livingImage/Mercury2.html ed in Web Achive di http://www.cosmonet.org/camera/mercury_e.htm . Foto eseguite con la Mercury in http://www.pbase.com/portwelland/mercuryiibw , in http://licm.org.uk/livingImage/MercuryRes.html ed in http://www.pbase.com/cameras/universal/mercury_ii .
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