La tana del lupo bianco
Il sole era al suo tramonto, il cielo si tingeva di rosso, sopra la collina le prime luci della città brillavano all’orizzonte. Si procedeva in fila indiana fra l’erba alta, la terra sotto di essa era ancora morbida per le abbondanti piogge dei giorni seguenti e il ruscelletto che costeggiavamo scorreva vigorosamente. Non era breve il sentiero che ci portava alla “tana” e il materiale da trasportare si faceva sentire con il suo peso.
Arrivati ai piedi della montagna un ultimo tratto in salita
era reso ancora di più difficoltoso per l’oscurità che avanzava. Delle corde
tese facilitavano il percorso fino allo stretto imbocco. Fango e roccia, una
condizione divertente, molto famigliare, situazioni che mi si sono presentate
centinaia di volte per passione e hobby. Finalmente la “bocca”, oscura e inquietante.
Dentro di essa, scendendo come in una gola viscida, di terriccio, fango e
resti di foglie morte, dopo di essa un canale stretto e alto disseminato di
pietre.
L’ansia e la voglia di infilarmi nell’antro è fortissima,
pochi secondi e sono sul fondo, dei Camerati accolgono il mio arrivo all’interno
festosi ed insieme approntiamo una specie di teleferica per trasferire il
materiale da trasportare fino al fondo della “Tana”. Io faccio da spola dal
fondo all’ingresso per guidare i carichi…..pane, vino, salame, torcie, chitarra,
bandiere, coltello e tagliere, tovaglioli, bicchieri, un tavolo, degli sgabelli
(forse qualcuno ha esagerato con la preparazione del materiale).
Il “trasporto” più difficile è stato quello delle ragazze
che scendevano nell’antro nelle posizioni più strane: a gambero, a valanga,
saltellando. Con l’arrivo di altri camerati si incominciava ad approntare
l’illuminazione, decine di candele venivano accese lungo un buon tratto della
“tana” e sopra un arco che delimitava la zona dove ci saremo riuniti e l’ingresso,
due bandiere, una dell’Italia per cui lottiamo e una con una croce celtica
per la nostra fede. Delle grosse torce offrivano sia luce che calore, l’aria
era fresca ed umida, accarezzai le pareti di dura roccia per poi odorarne
il profumo di terra bagnata con gli occhi chiusi, ricordando i campi appena
arati e le ore passate nelle viscere delle montagne durante le mie escursioni
nei fine settimana che tanto mi mancano per via dei miei impegni per il movimento.
Mentre alcune ragazze approntano la “cucina” e alcuni ragazzi
si improvvisano osti, decido di fare un giro fino al fondo della “Tana”, come
mia abitudine, ormai lontano dal gruppo, spengo la luce della torcia elettrica
per assaporare il buio totale. Peccato che gli schiamazzi rompono il silenzio,
ma il motivo della nostra presenza non era per una escursione e faccio ritorno
con il gruppo che stava assaltando il tavolo con i panini. Qualche buontempone
ha pensato di non portare anche dell’acqua da bere e dopo poco tempo, qualche
milanese parlava in romanesco, cercava un certo “er Trucido” che era della
compagnia del “Vichingo”, parente del “Monnezza” noto sfasciacarrozze romano.
La situazione per alcuni altri non era dissimile: uno con i capelli metallizzati
(scherzi dell’oscurità) e un giubbetto di renna (notoriamente conosciuto come
essere un capo d’abbigliamento indispensabile per escursioni speleologiche)
teneva una conferenza a quattro ragazzi alticci per il vino e gli occhi con
una espressione da pesce lesso, sulla politica Sud Africana, una visione patetica.
Si è arrivati all’apice quando in compagnia ricordavamo una frase famosa,
“rubata” ad un famosissimo comico romano: “Non so chi tu sia, ma sei morto!”,
questo dopo ogni bicchiere di vino svuotato.
Le prime note di musica echeggiavano nell’antro, un velo
di tristezza e malinconia si posava su di noi…..era una canzone di Massimino,
la voce non era la stessa e anche se pur bravo chi la cantava non compensava
il modo in cui le intonava Morsello. A poco a poco tutti ci siamo messi a
cantare e prima di ogni canzone lo ricordavamo con passione. L’allegria è
ripresa con altre canzoni d’area…..Amici del vento, Compagnia dell’anello,
Hobbit, Junker, Z.P.M. e nel caso di questo gruppo sul punto in cui il testo
diceva: “si lo so che potrei finire male, all’ospedale
o sotto terra…..” parecchi hanno fatto
segni di scaramanzia alla napoletana toccandosi anche le parti basse in segno
di scongiuro, una scena veramente esilarante. Con la complicità dell’atmosfera
creata dalla luce soffusa e la musica, qualcuno e qualcuna hanno trovato il
tempo di innamorarsi, speriamo che vada tutto bene perché è parecchio tempo
che non mangio confetti. La serata nella “Tana del Lupo bianco” è proseguita
in grande gioia e allegria, ringrazio gli organizzatori con la speranza che
si replichi al più presto un evento simile che sicuramente è stato il primo
nella storia del movimento e in assoluto, fino ad ora, il più originale come
ambiente. Saluto immensamente i Camerati presenti in quella sera con i quali
si è rinnovato lo spirito che ci unisce e ci sprona nonostante il pomeriggio,
prima di questa festa, ci abbia lasciato nella stessa condizione in cui si
trova un Lupo al quale viene tolto il cibo. Voglio dedicare questo articolo
a Daniele che ha subito una infame aggressione da venticinque parassiti sociali.