MONDIALISMO, GLOBALIZZAZIONE E SOCIETÀ MULTIRAZZIALE
Sovente, nell’affrontare le tematiche inerenti al fenomeno
della globalizzazione, si incorre in un errore di fondo così marchiano da
inficiare irrimediabilmente i risultati complessivi delle valutazioni
socio-politiche in oggetto. Intendiamo, con ciò, fare riferimento alla matrice
sic et simpliciter “economica” delle analisi, una matrice che – volutamente –
tende a relegare “dietro le quinte” della storia l’homo ethnicus, per puntare
esclusivamente i riflettori sull’homo oeconomicus.
Illuminismo, razionalismo, materialismo, soffocando il
consorzio umano con i loro miasmi venefici, hanno ottenuto un unico risultato,
il quale risulta però decisivo nei termini della discussione: si è passati
dalla concezione di economia al servizio dell’uomo, all’idea dell’uomo al
servizio dell’economia.
Il processo di globalizzazione dei mercati non può e non
deve essere letto – tout court – in chiave meramente economica: deve altresì
essere studiato come un “campo di forze”, i cui vettori esercitano
inequivocabili dinamiche sul contesto socio-culturale da un lato e, dall’altro,
nell’ambito più prettamente politico.
Le conseguenze – di riflesso – sono essenzialmente due:
; perdita di identità dei popoli e delle persone;
; limitazione alla sovranità politica degli Stati Nazionali.
Conseguenze della globalizzazione, certamente, ma – al tempo
stesso – presupposti affinché essa possa svilupparsi e compiersi fino in fondo.
Vi è, nel cuore del processo, un progressivo abdicare delle
oligarchie economiche nazionali nei confronti dell’oligarchia economica
mondialistica, mentre il potere politico si rivela essere oramai un fantoccio,
uno specchietto per allodole, limitandosi ad avallare i desideri del Nuovo
Ordine Mondiale, il Mercato Globale; un mercato che necessita, evidentemente,
di una colonia di consumatori omologati, indifferenziati, pronti ad “assorbire”
acriticamente le produzioni delle multinazionali.
Si assiste, per questa via, ad un esiziale rivolgimento
della naturale logica di mercato, segnatamente nel rapporto fra produttore e
consumatore, con l’offerta che non risponde più alla domanda ma – al contrario
– l’anticipa e la plasma a suo piacimento.
Tutto questo, però, è possibile solo nel caso in cui: (I) si
abbia a che fare con una realtà sociale omogenea ed uniforme, senza comunità
locali, senza ataviche tradizioni, senza particolarismi culturali; (II) si
possa disporre di lavoratori affrancati dal loro patrimonio tradizionale,
liberi da vincoli familiari, sradicati dalle proprie appartenenze comunitarie e
territoriali.
Le continue richieste di flessibilità, avanzate dal sistema
economico-produttivo, originano propriamente dall’esigenza di poter muovere il
lavoratore come una pedina sulla scacchiera della produzione mondiale: per
questi motivi, il prestatore d’opera ideale sarà un uomo senza legami forti,
senza relazioni di comunità, “individuo” allo stato puro.
Il passo finale, obbligato, è facilmente intelligibile: si
tratta di creare una massa umana non organica, composta da individui non in
relazione fra loro, al pari di monadi che si muovono in maniera casuale, con
traiettorie contingenti sulla scena sociale. Occorre, in ultima istanza, un
agglomerato indistinto, massificato di esseri umani, utile sia in fase di
produzione (offerta), sia in fase di consumo (domanda): lo strumento più
evidente, utilizzato dal mondialismo finanziario, è rappresentato dal fenomeno
dell’immigrazione.
Attraverso l’immissione di elementi allogeni nel cuore di
una civiltà tradizionale è possibile – nel medio e lungo periodo – indebolire
le strutture di quest’ultima, smussarne le specificità culturali, minarne il
sistema di valori relazionali, spirituali, sociali, religiosi e comunitari.
E’ ciò che sta avvenendo, con tratti paradigmatici, nel
nostro continente: i centri di potere del mondialismo, governando i flussi
migratori di chiara natura islamica, stanno progressivamente abbattendo le
ultime resistenze etniche che si appellano ai Valori dell’Europa Cristiana e
Cattolica. L’imminente ingresso della Turchia nella Comunità Europea (con
milioni di musulmani in procinto di riversarsi nei nostri paesi), l’appoggio
alle fazioni musulmane albanesi in Kosovo, la cosiddetta “dorsale verde”
(trasversale politica e culturale che parte dal Medio Oriente per arrivare sino
alla Bosnia ed all’Albania), con intenti manifesti di “islamizzazione” del
continente europeo, ecc., sono semplici tasselli di questo allarmante mosaico.
Il fondamentalismo musulmano da una parte e la Tradizione Europea dall’altra:
due termini i quali – nei progetti dei potentati mondialistici – si elideranno
a vicenda. Il cerchio si chiude. Il pensiero unico trionfa.
Per accelerare il processo in atto, si attivano altri
fattori (possiamo definirli “catalizzatori”) tali da produrre lacerazioni
devastanti nel tessuto etico e morale delle comunità organiche tradizionali:
così si istituzionalizza il divorzio, si legalizza la soppressione di esseri
umani attraverso la legittimazione sociale dell’aborto (il controllo
demografico ha sempre avuto un posto di primaria importanza all’interno del
fenomeno della globalizzazione), si enfatizza la cosiddetta “depenalizzazione
dei reati minori” (rendendo “tollerabile” la microcriminalità), si accetta la
presenza del “terzo sesso” (?), si ammette la possibilità di non perseguire penalmente
i consumatori di sostanze stupefacenti (“leggere” o “pesanti” che siano),
formulando addirittura ipotesi di “liberalizzazione selvaggia”. Ancora:
pornografia dilagante, manipolazioni genetiche (in primis il fenomeno delle
clonazioni), uteri in affitto e fecondazioni eterologhe senza nessun pudore
morale o scientifico, commercio di organi umani direttamente controllato dallo
Stato, sono altri elementi di dissoluzione regolarmente utilizzati al fine di
provocare un indebolimento costante degli anticorpi della Civiltà Europea. In
sintesi, ciò che si registra è un attacco neanche troppo dissimulato nei
confronti di un pilastro fondamentale su cui si erge la nostra società: la
famiglia.
Sono due, alla resa dei conti, le modalità con le quali la
globalizzazione procede nel tentativo di creare una sostanza umana grigia,
omogenea, indistinta: un’azione condotta all’interno delle comunità nazionali
(disgregazione dei valori tradizionali) e un’azione promossa dall’esterno
(immigrazione). Il tutto per raggiungere l’obiettivo dell’abbattimento delle
frontiere, affinché le oligarchie mondialistiche (con la compiacenza succube
dei governi nazionali) siano in grado di espandere – in direzione radiale – il
loro potere assoluto su tutto il globo terrestre: lobby economico-finanziarie,
Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, organismi che già oggi
esercitano fortissime pressioni sulla vita politica dei singoli Stati (pur non
essendo di “natura elettiva”, cioè a dire: democraticamente ratificati),
disporranno – domani – di un “concentrato di poteri” mai visto nella storia
dell’umanità. Le nuove tecnologie, in questo senso, rappresentano il fulcro del
sistema (a tal punto che si può parlare – a ragion veduta – di “burocrazie
tecnocratiche”); esse consentono – infatti – transizioni economiche così veloci
da sfuggire a qualsiasi tentativo di regolamentazione. L’informatica, ad
esempio, permette di trasformare la moneta in impulsi elettronici “vaganti”, a
dispetto di qualunque frontiera: ricostruirne una mappa degli spostamenti è
praticamente impossibile. Libera circolazione dei capitali, libera circolazione
delle merci, libera circolazione della merce-lavoro (o deportazione di esseri
umani da impiegare come schiavi nell’ambito della produzione mondiale?): tale,
semplicemente, è lo scenario che si profila in un futuro ormai più che
prossimo.
Noi crediamo che tutto ciò non sia il risultato di una
situazione politico-economica contingente, ma il naturale svolgersi di
dinamiche già in atto nel XIX secolo. Come non ricordare gli attacchi
all’istituto familiare, alla religione, alla Tradizione, sui quali si fonda –
unitamente alla volontà di internazionalizzare la lotta di classe – l’intero
corpus teorico del “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels? Non è
stato forse il desiderio di abbattere le frontiere (per sconfiggere gli
“iniqui” nazionalismi) ad agevolare l’espandersi del capitalismo mondiale? Non
è stato forse il materialismo, di cui l’intera produzione marxista era
indubbiamente ammantata, a subordinare l’uomo e la sua spiritualità agli
imperativi economici e alla logica del profitto? Non sono forse gli epigoni
moderni di tali ideologie – segnatamente le principali organizzazioni sindacali
italiane – a
sostenere la necessità di cancellare le frontiere, per
facilitare la circolazione della merce-lavoro (cioè a dire: gli immigrati)?
Capitalismo e marxismo, a quanto pare, sono realmente le due facce della stessa
medaglia…
Dunque non è semplice comprendere la protesta dell’estrema
sinistra contro la globalizzazione; semmai, sembra si tratti più concretamente
di una critica al capitalismo mondiale, al neo-liberismo selvaggio, essa però
condotta – ancora una volta – secondo logiche internazionalistiche e comunque
senza rompere gli argini della globalizzazione e del pensiero unico.
La richiesta del “salario minimo planetario”, della
“globalizzazione dei diritti umani” (sono solo esempi) non pare costituire un
momento di cesura rispetto alle tendenze economiche mondialistiche.
Si rivela finalmente il vero obiettivo della sinistra
radicale: sostituire all’unificazione internazionale del proletariato il
coinvolgimento massiccio dei popoli del terzo mondo (essi rappresentando – de
facto – i sottoproletari del nuovo millennio), nell’ottica della creazione di
un “nuovo governo mondiale” di evidente stampo marxista.
Noi siamo convinti che non si possa sconfiggere l’iniquo
fenomeno della globalizzazione con dinamiche internazionalistiche da esso
stesso patrocinate.
Per essere reali antagonisti del pensiero unico, del mondialismo
massificante e dei suoi oscuri (ma – al fondo – intelligibili) progetti, della
globalizzazione, dobbiamo rispondere con l’universalità del radicamento etnico;
all’integrazione dell’individuo nella massa umana mondiale (processo di
uniformazione coatta), dobbiamo replicare con la tutela dell’integrità delle
comunità organiche.
Comunità portatrici esse stesse dei valori popolari in virtù
di un millenario legame con il suolo sul quale insistono, cellule primarie per
la trasmissione e la continuità della tradizione, unici elementi originari in
grado di difendere la propria terra con un utilizzo razionale delle risorse
naturali ed ambientali (in luogo di anonimi e speculativi processi di
sfruttamento e depauperamento operati da interessi e capitali sovra-nazionali).
OGNI TERRA HA IL SUO POPOLO
OGNI POPOLO HA LA SUA TERRA
Documento Politico a Cura di
Forza Nuova – Comitato Provinciale di Bologna