Questa donna
di morte.
Sto sfogliando un quotidiano di tiratura nazionale ma quasi
svogliatamente...troppi sono i fatti sui quali vorrei documentarmi. Per altrettanti
oggi, a quest’ora tarda, non ho la lucidità di leggere l’intero articolo.
Tutte notizie troppo gravi. Verità troppo assurde. Parziali. Probabilmente
falsate. Questa notte voglio restarmene in pace. Non riesco a prendere sonno,
ma non c’è un vero motivo. Arrivo alle ultime pagine che quasi non sto nemmeno
più rivolgendo lo sguardo al giornale e semplicemente lo sfoglio.
Stanca
ed irrequieta sto per chiudere e ripiegare il quotidiano quando un articoletto
di pochissime righe colpisce la mia attenzione.
E’ una pagina di cronaca di Milano. Il titolo del
pezzo: “Uccise la figlia a forbiciate. Rinviata a giudizio.”. Sul momento
sono investita da una sensazione di angoscia violenta e penetrante. Le mie
labbra divengono molto secche, asciutte. Gli occhi si chiudono istintivamente,
serrati. La testa mi duole, provo disgusto e mi sembra quasi di divenire più
debole. M’infastidisce reagire in questo modo ma non mi è possibile -non mi è più possibile- bloccare le emozioni a ‘comando’. Per fortuna...certo!
Solo mi domando se per quanto riuscivo ad essere fredda e distaccata un tempo,
debba fare, ora, esperienza di questo malessere, sofferenza e coinvolgimento?!
Forse...in ogni caso non sono così fragile come spesso mi percepisco e dipingo.
Questo pensiero ed una respirazione normalizzata mi permettono di acquietarmi
e leggere quel paragrafo.
Il pezzo si riferisce ad un omicidio avvenuto un anno
fa in un paese della provincia di Milano. Forse alcuni lo ricorderanno: una
ragazza di 19 anni aveva partorito, in casa, la sua bambina e subito dopo
l’aveva uccisa con una forbice, cucendole le labbra con una pinzatrice perché
non emettesse vagiti. Aveva, poi, nascosto in uno zaino sotto al letto il
piccolo corpo di sua figlia. Il cadaverino ‘torturato’ e la verità furono
scoperti dai carabinieri, avvertiti dai medici dell’ospedale dove la ragazza
si era presentata -ed era stata
ricoverata- per un’emorragia interna.
L’articolo informava sull’inizio del processo.
Tale è la cronaca... Terribile. Intollerabile. Sconvolgente.
Spaventosa. Nella mia mente ho dovuto creare spesso una ‘distanza di sicurezza’
da porre forzatamente, incastrandola a fatica, tra me, la mia vita, e fatti
che mi sembrano appartenere ad una categoria che deve trovarsi oltre l’umana
comprensione ed accettazione. Ma in verità è impossibile. Comincio ad agitarmi.
Troppo. Ho la tachicardia. Provo ad inspirare profondamente ma non riesco
a trattenere l’aria nei polmoni. Intanto i miei occhi si fanno umidicci per
le lacrime che non riesco più a frenare. Singhiozzo. Ormai la mia mente visualizza
l’accaduto ed è come se potessi riviverlo in me... E’ paradossale che io possa
alienarmi nelle circostanze in cui sono la ‘vittima’ per poi magari ‘vivere’
quasi con i sensi percettivi, quasi ‘nel mio corpo’ la violenza inferta ad
altri. Eppure io mi sento, adesso, completamente vinta e battuta, in uno stato
confusionale che mi fa ricadere inerme sul letto.
Quella ragazza abita nel paese accanto al mio. Forse
ad un paio di chilometri dal cancello della mia casa... o forse a 10 metri!
L’ospedale
dove si è recata dopo quel bestiale delitto è quello dove io sono nata.
Forse
il suo viso lo avrò visto mille volte. O forse mai.
Il
suo viso...già! Come sarà il viso di una ragazza che ha commesso una tale
atrocità? Forse più dolce del mio. Più gentile. Più ‘pulito’. Più angelico...
E
la sua casa...? Come sarà quell’abitazione, scenario di tanta efferatezza?
Forse una villetta bianca, con il prato verde ed il cielo sempre azzurro...
Quella
donna sarà come me...non diversa!
Come
me, forse, terrà un quaderno, suo “Diario dei pensieri inutili”, ed all’interno
vi avrà riposto una rosa seccata... forse regalo del ragazzo che ama. Forse
del padre di sua figlia. Di quella che era, che fu, per qualche istante, la
sua neonata bambina.
Io
la immagino così... Come me... Ed allora non posso fare a meno di domandarmi
come ha potuto fare tutto questo!
“La donna sana assomiglia molto al lupo:
robusta, piena d’energia, di grande forza vitale, capace di dare la vita,
pronta a difendere il territorio, inventiva, leale, errante. Eppure la separazione
dalla natura selvaggia fa sì che la personalità della donna diventi povera,
sottile, pallida, spettrale. Non siamo nate per essere cuccioli spelacchiati
e incapaci di balzare in piedi, incapaci di cacciare, di creare una vita.”
Clarissa Pinkola Estés
Donne che corrono coi lupi, 1993, 11.
L’anima femminile è una sola ed ogni donna ne custodisce
una ‘cellula’...
Mi
farebbe orrore pensare di lottare, di ‘battermi’ al fianco di quel mondo,
di quella gente, di quel pensiero che ha portato a tutto questo!
Donne
che ‘coltivano’ il loro corpo come fosse un fiore in serra e si rivoltano
contro se stesse, magari arrivando ad uccidere il loro figlio. Donne che rinunciano
alla loro ‘cellula’ di anima femminile perché vogliono un ruolo che non è
il loro e che, quindi, non potrà mai produrre del bene, ma che anzi le spezzerà
in quel loro tentativo di non voltarsi indietro mai per non conoscersi ‘dentro’
e per non dover, poi, guardare ed andare oltre.
Qual
è il prodotto della battaglia che hanno intrapreso? Un illusorio modello al
quale adeguarsi ad ogni costo... la ‘perfezione’ di quella donna brillante,
affascinante, bella, con un lavoro di responsabilità, che vive in una grande
città, che ha una vita sociale intensa ed una vita affettiva invidiabile -dove, però è probabile che la vera componente
affettiva sia scarsa!
Una
donna che, forse, vede un figlio come un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo!
Una donna fragile... Una donna che, quando arriva alla ‘rottura’ con l’indole
innata che si dovrebbe alimentare e propagare in lei attraverso quella piccola
‘cellula’ di anima femminile che conserva, comincia a sviluppare dei disturbi
che poi magari la porteranno a rivolgersi alla psicoterapia e, per suo tramite,
ad un’eterna dipendenza da quel modello stravolto di donna!
Beh...questo non è lo scopo per il quale io potrei
mai più intraprendere nessuna forma di competizione nella vita. Questa è l’involuzione.
E’ un fine ‘malato’, per una donna fragile come cristallo, incapace a vivere
la pienezza, quella vera, quella che non è un percorso tracciato per raggiungere
uno stato che non è il nostro naturale, ma un dischiudersi lento che porti
alla luce un tenero frutto della donna stessa.
La
donna non è l’uomo! E l’uomo non è la donna!
La
donna è la culla della vita. Nessuna donna dovrebbe mai, per natura, ‘ferire’
la vita!
Posso
piangere per questa realtà che osservano i miei occhi, ma so che il cuore
delle donne è grande e saprà guarirsi. Non ho dubbi. La natura non può ingannarsi
a lungo e le donne prenderanno a modello se stesse, perché non si può lottare
per portare avanti un esempio fallito, innaturale, distruttivo e di morte...