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SCONFINANDO

MONDO ANTICO

LE RIVOLTE DEGLI SCHIAVI NEL MONDO ANTICO

LA PRIMA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI IN SICILIA

ALCUNE QUESTIONI STORIOGRAFICHE

IL MITO DI SPARTACO

 

LE RIVOLTE DEGLI SCHIAVI NEL MONDO ANTICO

"Durante tutto il corso della storia ci sono state solo quattro rivolte di schiavi che abbiano avuto le dimensioni di un’autentica guerra, con molte migliaia di uomini sotto le armi da una parte e dall’altra, con battaglie campali, con assedio e occupazione di città: le tre di Sicilia e d’Italia del periodo 140-70 a.C. e la grande rivolta di Haiti, accompagnatasi alla Rivoluzione francese, della quale va considerata come un effetto secondario. Solo la rivolta di Haiti, capeggiata da negri e mulatti di condizione libera, fu coronata da successo." 1

Così ha scritto Moses Finley in un bel libro che indaga il rapporto fra la schiavitù antica e le ideologie moderne.(vedi scheda) Finley intende sottolineare il fatto che, nonostante le condizioni degli schiavi fossero in genere ben peggiori rispetto a quelle di altre categorie di lavoratori subalterni, raramente si sono verificate, nel corso della storia, ribellioni di schiavi su vasta scala. Di queste, ben tre ebbero luogo nel mondo antico. Esse furono in ordine cronologico:

  1. la prima rivolta degli schiavi di Sicilia, che fu guidata da Euno ed ebbe come epicentro la città di Enna (136-132 a.C.);
  2. la seconda rivolta degli schiavi di Sicilia, che fu guidata da Salvio e da Atenione e sconvolse l’intera isola da Lilibeo a Morgantina (104-101 a.C.);
  3. la rivolta dei gladiatori guidati da Spartaco, che scoppiò a Capua nel 73 a.C. e mise a ferro e fuoco tutta la penisola italica per circa due anni.

Dato il carattere eccezionale di questi eventi può essere utile esaminarli più dettagliatamente, per poter meglio comprendere le questioni che essi pongono alla storiografia contemporanea. Non se ne fornirà, tuttavia, un resoconto esaustivo, che si andrebbe ad aggiungere inutilmente alle numerose e ben più autorevoli ricostruzioni già esistenti. Ci si soffermerà soltanto sul primo e sul terzo episodio e si proporrà per entrambi una sintesi ricavata da un’unica fonte, lasciando al lettore che lo desideri il compito di integrare queste informazioni e di confrontarle con quelle fornite da altre fonti, o con le ricostruzioni degli storici moderni.

 

LA PRIMA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI IN SICILIA

"La guerra degli schiavi esplose in Sicilia dopo sessant’anni di prosperità seguiti alla sconfitta dei Cartaginesi. Non si era mai vista una rivolta di schiavi così grande…" 2

Così comincia la sezione della Biblioteca storica di Diodoro Siculo dedicata al racconto della prima grande rivolta degli schiavi di Sicilia. Diodoro è la nostra fonte principale tanto sulla prima quanto sulla seconda rivolta degli schiavi di quell’isola. Egli aveva largamente attinto, peraltro, all’opera storica di Posidonio di Apamea3.

Dopo una breve introduzione all’argomento, Diodoro analizza a lungo le "cause" della rivolta, fornendo un’ampia descrizione delle condizioni in cui versavano gli schiavi di Sicilia. Sorvoliamo per il momento su questa parte del testo, riservandoci di esaminarla più avanti, e soffermiamoci per ora sul resoconto degli eventi.

Racconta Diodoro che un certo Damofilo, nativo di Enna – uomo ricchissimo e di modi superbi, proprietario di enormi latifondi e di numerose mandrie di bestiame – aveva alle sue dipendenze una grande quantità di schiavi e li trattava con insolenza:

"…Acquistato un gran numero di schiavi, li trattava con offensiva durezza, marchiando a fuoco il corpo di questi sventurati, che peraltro nel loro paese d’origine erano stati uomini liberi e facevano esperienza della condizione di schiavi perché caduti in prigionia. Alcuni li gettava, in ceppi, negli ergastoli, altri li utilizzava come pastori senza fornire loro né cibo né adeguate vesti." 4

Gli schiavi decisero di ribellarsi e chiesero consiglio a un certo Euno, uno schiavo siriaco originario di Apamea. Questi aveva fama di indovino e da qualche tempo andava dicendo che la divinità siriaca Atargatis, apparsagli in sogno, gli aveva preannunciato che egli sarebbe divenuto re:

"…Si recarono dunque da Euno (che era lì vicino) e gli chiesero se gli dei approvassero il loro progetto. Saputo il motivo per cui erano venuti da lui, si esibì in una delle sue scene di invasamento e rispose che gli dei approvavano la rivolta, purché si mettessero all’opera immediatamente: il fato aveva decretato che Enna, la cittadella dell’intera Sicilia, dovesse essere la loro patria." 5

Udito ciò, gli schiavi non indugiarono oltre. Dopo essersi raccolti in numero di quattrocento in un campo nei pressi di Enna, irruppero nottetempo nella città e fecero strage dei loro padroni. Diodoro descrive senza reticenze le terribili violenze degli schiavi:

"…Piombarono nelle case e compirono un massacro immane, non risparmiarono nemmeno i lattanti. Anzi li strappavano dai capezzoli e li fracassavano per terra. Le violenze e gli oltraggi che inflissero alle donne, sotto gli occhi dei loro uomini, è impossibile riferirli." 6

Anche Damofilo e sua moglie, Megallide, furono giustiziati. Euno fu eletto re, prese il nome di Antioco e chiamò Siri i ribelli:

"…Cinse un diadema, assunse gli altri distintivi della dignità regale, proclamò regina la donna con cui viveva – una siriana della sua stessa città -, costituì attorno a sé un consiglio composto da coloro che sembravano distinguersi per qualità intellettuali." 7

Nei giorni seguenti la rivolta si estese. Infatti Acheo, consigliere di Euno, riuscì ad armare oltre seimila schiavi, che si scontrarono più volte, con successo, con le forze dei Romani. Intanto un’altra rivolta di schiavi scoppiava ad Agrigento, sotto la guida di un certo Cleone, un Cilicio originario della regione del Tauro. Questa nuova schiera di circa cinquemila rivoltosi unì le proprie forze a quelle di Euno.

Anche molta gente del popolo, di condizione libera, cominciò a ribellarsi contro i ricchi e i potenti dell’isola, odiati per i loro privilegi. Il comportamento dei liberi fu però ben diverso da quello degli schiavi:

"…mentre gli schiavi ribelli si preoccupavano del futuro ed evitavano perciò di bruciare le ville dei signori o di saccheggiarne i beni e le provviste, e risparmiavano a ragion veduta i lavoratori impegnati nell’agricoltura, i popolani invece, spinti da quell’odio cieco di cui ho detto, quasi facendosi schermo della ribellione in atto, facevano vere e proprie sortite, saccheggiando provviste e incendiando ville." 8

I ribelli raggiunsero in breve tempo il numero di duecentomila. Non appena poi la notizia di questa rivolta si diffuse, scoppiarono altre ribellioni a Roma, nell’Attica, a Delo e in molte altre località; esse furono tuttavia represse in breve tempo.

In Sicilia invece la rivolta continuava ad estendersi e intere città cadevano nella mani dei ribelli. Molti eserciti furono sconfitti dai rivoltosi, fino a quando il console Rupilio non assediò e riconquistò ai Romani la città di Taormina,

"…Durante questo assedio, Rupilio strinse i ribelli in una morsa costringendoli alla fame e alla disperazione, spingendoli addirittura al cannibalismo: i ribelli cominciarono col mangiare i propri figli, poi passarono ai corpi delle loro donne, alla fine non si astennero dal mangiarsi tra loro." 9

La città cadde soltanto a seguito del tradimento di un siriaco, di nome Sarapione. Gli schiavi superstiti furono torturati e poi gettati giù dalle rupi.

L’esercito di Rupilio raggiunse poi Enna e la assediò. Anche questa città, che era stata il primo focolaio della ribellione, fu presa grazie ad un tradimento. Nel frattempo Cleone era morto eroicamente in battaglia. Euno fu catturato e morì poco dopo in carcere.

"… Euno fu imprigionato, ed il suo corpo fu divorato da una enorme massa di pidocchi. Così, a Morgantina, trovò una morte degna della sua ribalderia. Dopo di che Rupilio, battendo in lungo e in largo l’intera Sicilia, con ben pochi reparti, la ripulì completamente dal brigantaggio, e molto più rapidamente di quanto si potesse sperare." 10

 

 

La rivolta dei Gladiatori

La rivolta di Spartaco ci è narrata principalmente da Plutarco, nei capitoli 8-11 della Vita di Crasso, e da Appiano nelle Guerre Civili (I, 116-121). Qui di seguito riassumeremo il racconto di Plutarco, lasciando al lettore che lo desideri il compito di confrontarlo con Appiano e con le altre fonti che trattano di questo episodio.

Plutarco racconta la "rivolta dei gladiatori" (o "guerra di Spartaco") nella parte iniziale della biografia di Marco Licinio Crasso. La rivolta ebbe inizio per la seguente ragione:

"… un tale Lentulo Batiato aveva a Capua una scuola di gladiatori, per lo più Galli e Traci, i quali tenuti rinchiusi a forza per la lotta gladiatoria, non per aver commesso gravi colpe ma per l’ingiustizia del loro padrone, progettarono di fuggire in duecento. Nonostante una delazione, settantotto di loro, che ne erano stati preavvertiti e si erano armati in anticipo di coltellacci e di spiedi trovati in cucina, riuscirono ad evadere." 11

I ribelli si scelsero poi tre capi:

"… Avendo poi occupato una posizione forte, si scelsero tre capi, il primo dei quali era Spartaco, un Trace della tribù dei Maidi, dotato non solo di grande coraggio e forza fisica, ma anche di intelligenza e dolcezza superiori alla sua condizione e più greco di quel che non dicesse la sua origine." 12

Spartaco e i suoi uomini respinsero con successo gli eserciti inviati contro di loro. Prima il pretore Clodio, poi l’altro pretore Publio Varinio, con i suoi collaboratori Furio e Cossinio, dovettero soccombere ai ribelli.

Nel frattempo si erano uniti ai gladiatori "molti mandriani e pastori del luogo, gente agile e robusta"13. Spartaco era ormai potente e temibile, ma non si illudeva di poter sconfiggere Roma: progettò infatti di guidare il suo esercito verso le Alpi, superate le quali ciascuno dei suoi uomini avrebbe potuto far ritorno al paese d’origine, chi in Gallia, chi in Tracia.

Ma gli altri schiavi, "forti del loro numero e pieni di orgoglio"14, non gli obbedirono e presero a devastare l’Italia con le loro scorribande. Un gruppo di ribelli di origine germanica, che si era distaccato dagli altri, fu sorpreso e annientato dal console Gellio. Tuttavia Spartaco ebbe la meglio sull’altro console, Lentulo, e poi su Cassio, proconsole della Gallia Cisalpina, che aveva tentato di sbarrargli il cammino verso le Alpi.

Nel racconto di Plutarco non vi è alcuna spiegazione del motivo per cui gli schiavi guidati da Spartaco, invece di proseguire il loro cammino verso le Alpi, invertirono la rotta e ripresero a muoversi verso sud. Si dice soltanto che il Senato, sdegnato contro i consoli, affidò il comando della guerra a Crasso, il quale messosi in marcia si fermò ai confini del Piceno. Il legato Mummio, mandato in avanscoperta, contravvenendo agli ordini attaccò battaglia e fu volto in fuga dagli uomini di Spartaco. Crasso allora riportò in auge il vecchio castigo della decimazione dei soldati:

"… quanto ai cinquecento che si erano dati alla fuga per primi e con maggiore codardia, li divise in cinquanta decurie e ne mandò a morte uno per ciascuna, estraendolo a sorte e riprendendo così dopo molto tempo un modo tradizionale di punire i soldati. Infatti a questo tipo di morte si aggiunge il disonore e i riti orribili e raccapriccianti, che accompagnano la punizione, avvengono al cospetto di tutto l’esercito." 15

Nel frattempo Spartaco si ritirò verso sud attraverso la Lucania e arrivato al canale di Sicilia concepì un nuovo piano:

"… imbattutosi, sullo stretto, in alcune navi corsare cilicie, decise di andare in Sicilia e di sbarcarvi duemila uomini per riaccendere nell’isola la guerra servile, la quale non era spenta da molto tempo e non aveva bisogno che di una piccola esca per divampare di nuovo." 16

Il progetto non poté tuttavia essere realizzato a causa del tradimento dei Cilici. Allora Spartaco prese a risalire la penisola calabra verso nord, ma il passo gli fu sbarrato da Crasso, il quale fece scavare attraverso l’istmo, da mare a mare, un fossato lungo circa 55 km, sormontato da un muro di eccezionale altezza e solidità. Quest’opera imponente non fu però sufficiente a bloccare Spartaco, il quale, approfittando di una notte di bufera, colmò il fossato con terra, legname e rami e vi fece passare sopra il suo esercito.

Gli schiavi marciarono nuovamente verso nord e, in seguito a discordie, alcuni di loro si allontanarono da Spartaco. Proprio contro questi reparti, che erano sotto il comando di Gannico e di Casto, si diresse l’esercito di Crasso. Ne scaturì un’aspra battaglia nella quale i Romani uccisero dodicimila e trecento nemici: " due soli furono trovati trafitti alle spalle, mentre tutti gli altri morirono fermi al loro posto, nell’atto di combattere"17 In seguito, il legato di Crasso, Quinto, e il questore Scrofa inseguirono Spartaco che si ritirava nuovamente verso sud, verso i monti di Petelia. All’improvviso Spartaco invertì la marcia e inflisse ai Romani una dura sconfitta. Pieni di baldanza per questa vittoria gli schiavi costrinsero Spartaco e gli altri capi ad andare incontro ai Romani e ad affrontarli in una battaglia campale. Questa decisione segnò la loro rovina. Mentre infuriava la battaglia, Spartaco andò alla ricerca del suo principale avversario:

"… Spingendosi poi alla ricerca di Crasso in persona, in mezzo alle armi e ai colpi, non lo poté raggiungere ma uccise solo due centurioni che lo avevano assalito insieme. Alla fine, mentre quelli intorno a lui fuggivano, fermo al suo posto e accerchiato da molti nemici, fu massacrato di colpi mentre ancora si difendeva." 18

L’esercito di Crasso ebbe dunque la meglio. Cinquemila superstiti della battaglia si scontrarono con Pompeo, che tornava dalla Spagna, e furono sterminati.

 

 

ALCUNE QUESTIONI STORIOGRAFICHE

La storiografia moderna ha discusso e commentato molteplici aspetti del resoconto delle "guerre servili" tramandatoci dalle fonti antiche. Essa ha formulato, inoltre, come di consueto, una serie di domande e di problemi che gli antichi non si erano posti. Qui ci soffermeremo soltanto su qualcuna delle questioni sollevate e lo faremo sulla base di un limitato campione di testi storiografici. Il lettore che lo desideri potrà poi ampliare e approfondire per proprio conto questa ricerca.

Una prima importante questione storiografica è quella delle cause delle guerre servili. Perché gli schiavi si ribellarono? La domanda può sembrare oziosa. Le disumane condizioni di vita, nelle quali molti di loro erano costretti, non potevano non spingerli verso la ribellione. E tuttavia, proprio quella condizione di totale assoggettamento e di assoluta privazione della libertà doveva ridurre drasticamente sia le possibilità concrete, sia le probabilità di successo di una rivolta.

Daniele Foraboschi, in apertura del suo saggio su Spartaco, ha osservato che "molto poche furono le ribellioni servili attraverso i lunghi secoli dominati da società imperniate sulla subordinazione schiavile di milioni di uomini"19. Sarebbe tuttavia opportuno precisare che cosa intendiamo con la parola "ribellione". Infatti, esplosioni di violenza limitate a pochi individui, o a gruppi non molto numerosi di ribelli, sono state abbastanza frequenti in ogni società schiavistica20. Sono invece assai rare le rivolte di grandi dimensioni. Le tre grandi guerre servili dell’antichità sono quindi episodi eccezionali. E’ per questo che necessitano di una spiegazione, anche perché si è colpiti dal fatto che le tre rivolte si verificarono nell’arco di appena settant’anni, laddove il sistema schiavistico dell’Impero romano fu operante per parecchi secoli.

Quali furono quindi le cause delle tre grandi guerre servili dell’antichità? Vi furono cause comuni a tutte e tre le rivolte, o dobbiamo considerare ciascuna di esse separatamente?

Già Diodoro Siculo si era posto il problema delle cause della prima grande sollevazione di schiavi che ebbe luogo in Sicilia. Aveva quindi premesso al suo racconto un lungo esame delle condizioni che, a suo giudizio, l’avevano determinata. I grandi proprietari terrieri di quella fertile isola, avendo accumulato enormi ricchezze, avevano acquistato schiavi in gran numero e li trattavano in modo disumano e crudele. Infatti, li logoravano con la pesantezza del lavoro e non davano loro cibo a sufficienza, spingendo così alcuni di loro – e soprattutto quelli dediti alla pastorizia, più giovani e più liberi nei movimenti - a ricorrere al brigantaggio per procurarsi di che vivere. Vi era stato quindi un dilagare di violenze, di rapine e di delitti, ai quali i governatori romani dell’isola avevano cercato di porre un freno, ma senza alcun frutto, visto che i briganti erano protetti dai loro potenti padroni. Intanto, crescevano i maltrattamenti nei confronti degli schiavi; e l’odio che questi avevano accumulato esplose, infine, in aperta rivolta21.

Sulla scorta di questa e di altre fonti antiche, gli storici moderni hanno potuto - senza troppa difficoltà, ma spesso alquanto superficialmente - ricondurre le guerre servili alla diffusione della schiavitù e al peggioramento della condizione degli schiavi, che si verificarono in conseguenza delle guerre di conquista intraprese da Roma a cavallo fra il III e il II secolo a.C. Prendiamo, ad esempio, la ricostruzione fatta da Hugh Last nel primo capitolo del volume VII della Storia del mondo antico della Cambridge University22. L’esposizione dei fatti della prima guerra servile è preceduta da un lungo paragrafo intitolato "La crisi economica", nel quale ci si sofferma ad analizzare la situazione economica e sociale dell’Italia nel II secolo a.C.. Si mette anzitutto in rilievo il fatto che la piccola proprietà agricola stava ormai cedendo il passo ai latifondi. Le guerre di conquista avevano portato alla concentrazione in poche mani di grandi capitali, che trovavano nell’acquisto di terre la più naturale e più sicura forma di investimento; al tempo stesso, le guerre avevano creato serie difficoltà economiche a molti piccoli proprietari terrieri. Questi ultimi cominciarono a vendere le proprie terre ai proprietari più ricchi. E questi portarono con sé manodopera nella sua forma più a buon mercato: gli schiavi. "Le fortunate campagne belliche – scrive Last – avevano reso gli schiavi numerosi e nello stesso tempo poco costosi…" Ma il ricorso alla manodopera servile non soltanto andò a detrimento dei lavoratori liberi, spingendoli a migrare verso le città, ma "mise in pericolo la sicurezza dell’intera società concentrando nell’Italia rurale grosse bande di disperati che, se si fossero coalizzati contro i padroni, avrebbero potuto formare un esercito dalle dimensioni più che minacciose."23

Questo tipo di approccio suscita qualche perplessità. Si dà per scontato, tra l’altro, che i grandi proprietari terrieri dovessero trovare conveniente il ricorso alla manodopera servile, senza chiedersi quali fossero le alternative che avevano a disposizione24. Ma, soprattutto, non si spiega in modo convincente come mai in Sicilia (e in Italia) non vi furono rivolte di schiavi su larga scala né prima del 140, né dopo il 70 a.C. Si avanza l’ipotesi che in Sicilia, a seguito delle guerre servili, si verificasse un ritorno alla proprietà della terra su piccola scala, ma questa affermazione è assai discutibile e non si applica comunque alla penisola italica.

Appaiono quindi più convincenti quelle spiegazioni che, pur senza sottovalutare l’importanza dei mutamenti economici e sociali, collegano le grandi rivolte di schiavi alle eccezionali circostanze politiche del periodo compreso tra la conclusione delle guerre puniche e la fine della repubblica. Luciano Canfora ha sottolineato le connessioni esistenti tra le due rivolte di Sicilia e la crisi più generale dell’impero :

"… Le due crisi colsero Roma in momenti di grave pericolo. La prima rivolta esplose e si sviluppò mentre era in atto la guerra degli Spagnoli per l’indipendenza, conclusasi con il durissimo assedio di Numanzia (133 a.C.): ed ebbe termine solo l’anno dopo la capitolazione di Numanzia. La seconda si verificò dopo la tremenda sconfitta di Arausio (Orange), dell’ottobre del 105, dove i Cimbri sterminarono migliaia e migliaia di prigionieri romani. Di mezzo c’erano state la prima e la seconda crisi graccana, segno di un profondo malessere della repubblica, gravido di conseguenze, nonché la guerra estenuante ed umiliante contro Giugurta (111-105) …La concomitanza e la concatenazione di questi eventi non poté essere casuale… " 25

Moses Finley, considerando il carattere eccezionale delle ribellioni di schiavi su larga scala, ritiene parimenti che anche le circostanze, che furono all’origine di questi episodi, debbano essere state del tutto eccezionali:

"… Può darsi che una spiegazione complessiva delle tre rivolte gravi dell’antichità non sia possibile darla, è certo comunque che fattori di decisiva importanza furono la generale crisi sociale e politica che si era prodotta nella società romana e la presenza di un larghissimo numero di uomini ridotti in schiavitù da poco tempo, che comprendevano molti provenienti dalle medesime regioni della Siria e dell’Asia minore e un gruppo abbastanza numeroso di gente istruita e di livello sociale elevato tanto da fornire quadri adeguati." 26

Finley prende spunto da queste osservazioni per interrogarsi più a fondo sulle ragioni per le quali le rivolte di schiavi siano state così poco frequenti, o abbiano coinvolto un numero di individui così limitato. E arriva alla seguente conclusione:

"…la grande maggioranza degli schiavi dell’antichità veniva a patti con la propria condizione, o passivamente e di malavoglia o positivamente o forse, più spesso, con un misto delle due cose. Quando dico ‘positivamente’, intendo riferirmi a tutti quei milioni di schiavi, soprattutto delle città, che, nel loro comportamento, sembrano aver accettato i valori dei liberi, e averne accettato l’intera gamma: dal farsi adoperare come malviventi, lenoni, spie, orditori di intrighi, al prestare lealmente il loro servizio nelle case, nelle botteghe e negli uffici del padrone, con la speranza della finale manumissione, anche a prezzo di lasciarsi dietro, come accadeva spesso, i propri figli come schiavi. … In che altro modo avrebbero potuto sopravvivere, gli schiavi, se non accettando il compromesso e l’adattamento?" 27

Daniele Foraboschi sottolinea invece il fatto che agli schiavi mancava comunque "un’ideologia della liberazione". E aggiunge che "notoriamente, la mancanza di una cultura del conflitto riduce la percezione delle ingiustizie e schiaccia i rapporti sociali dentro le relazioni interpersonali, col loro alone di sentimenti di odio, di amore, di autentica dedizione servile al padrone." 28

Ma qual era l’ideologia o, quantomeno, la mentalità, di quegli schiavi - non così numerosi, ma proprio per questo interessanti - che si ribellarono? Quali furono gli obiettivi delle loro rivolte?

Ha scritto Mario Dogliani che "le guerre siciliane e quella di Spartaco furono il frutto non di prese coscienza ideologica, ma della ribellione contro una condizione di sofferenza materiale e di degrado morale divenuti insostenibili. E’ innegabile però che quest’ultimo aspetto – del riscatto dal degrado morale: Spartaco che ingaggia una guerra disperata e i trecento di Satiro che si uccidono a vicenda pur di non prestarsi all’abiezione dei giochi – coinvolge un profilo di affermazione della propria soggettività, di ‘presa di coscienza’."29

Occorre in ogni caso distinguere fra rivolta e rivolta. Mentre le migliaia di schiavi che si ribellarono in Sicilia non ebbero mai come obiettivo la fuga dall’isola, ma tesero piuttosto a dar vita a regni o comunità autonome, il movimento di Spartaco appare alquanto incerto e diviso al proprio interno sugli obiettivi da raggiungere e persino sulle possibili vie di fuga dall’Italia. Mentre i capi della prima rivolta siciliana appaiono influenzati dalla cultura di stampo ellenistico della Siria, loro paese d’origine, Spartaco - secondo Foraboschi - appare portatore di una sorta di "cultura primigenia":

"…Cultura primigenia che non è senza storia: il rito del cavallo che Spartaco sgozza prima dell’ultima battaglia rientra in un linguaggio religioso indoeuropeo di cui troviamo tracce dall’India alla Spagna. Cultura che si nutre di magia e superstizione … Cultura sensibile a certi filoni irrazionalistici e mistici dell’ellenismo, come gli ‘orghiasmoi’ dionisiaci della sua donna trace, cioè la pratica dei Baccanali che parevano un disordine antagonista all’ordine politico del pantheon romano." 30

Delle tre grandi rivolte di cui abbiamo parlato, non c’è dubbio che sia stata quella di Spartaco a influenzare maggiormente l’immaginario dei contemporanei e delle generazioni successive, fino a ripercuotersi in modo significativo anche sull’immaginario degli uomini del XIX e XX secolo. Sul "mito" di Spartaco vale dunque la pena di soffermarsi più approfonditamente.

 

IL MITO DI SPARTACO

 

La rivolta dei gladiatori impressionò profondamente i Romani dell’epoca delle guerre civili. Essa colpì gli osservatori coevi per le sue dimensioni e per la sua durata, per il pericolo che aveva comportato per Roma, per le eccezionali doti di cui diede prova il suo capo, Spartaco. Si può affermare che già nell’antichità la figura del gladiatore trace fu oggetto di una trasfigurazione mitica o leggendaria, sia nell’ambito della cultura popolare, sia in ambito letterario. Sulla "mitizzazione" di Spartaco a livello popolare abbiamo ben pochi dati; si può citare questa interessante testimonianza di Tacito, riguardante un tentativo di fuga compiuto da alcuni schiavi all’epoca di Nerone:

"In quel tempo […] alcuni gladiatori di Preneste tentarono di fuggire, ma furono fermati dal presidio di soldati che erano di guardia; e già il popolo parlava di Spartaco e degli antichi mali, poiché è bramoso di novità e nello stesso tempo le teme." 31

Il "mito" di Spartaco è assai ben documentato, invece, a livello letterario32. La figura del gladiatore trace attirò l’attenzione degli scrittori antichi lungo un arco di oltre cinque secoli: dai contemporanei, o quasi, come Cicerone o Sallustio, fino a quelli della tarda latinità, come Sant’Agostino o Orosio. Nella maggior parte di questi autori è presente un atteggiamento decisamente ostile e denigratorio nei confronti del capo dei gladiatori; in altri troviamo invece un atteggiamento più o meno apertamente favorevole.

L’ostilità nei confronti di Spartaco si colora di toni ed accenti che variano da scrittore a scrittore, e da periodo a periodo.

In un primo momento, nell’epoca delle guerre civili, l’ostilità è espressione dell’ideologia oligarchica degli ottimati. Ce ne fornisce un esempio Cicerone nelle Filippiche, laddove utilizza il nome di Spartaco come epiteto spregiativo nei confronti di Antonio: "O Spartaco! Con quale altro nome potrei infatti chiamarti, visto che le tue nefandezze hanno reso sopportabile persino un Catilina?"33.

Più tardi, nel periodo imperiale, Spartaco diventa l’emblema "non più di un nemico attuale, ma di tutte le violenze che avevano caratterizzato l’epoca precedente"; egli è ora "il rappresentante della sovversione e, più in generale, dei secoli della paura, dell’età del ferro, e riassume in sé tutti gli antichi mali, in opposizione alla pace restaurata da Augusto"34.

Infine, quando l’Impero cominciò ad essere minacciato dai "barbari" che premevano ai suoi confini, si diede rilievo alle origini "barbariche" del gladiatore e dei suoi seguaci. Giulio Capitolino scrisse, per esempio, che l’imperatore Massimino il Vecchio – detto per la sua origine "il Trace" e considerato dalla nobiltà senatoria come un barbaro sanguinario - governò "seguendo l’esempio di Spartaco e di Atenione"35.

Nella tradizione favorevole a Spartaco, rappresentata da Varrone, Sallustio, Diodoro Siculo, Plinio il Vecchio e Plutarco, confluirono – secondo Mario Dogliani - due elementi. In primo luogo, l’ammirazione per le sue qualità, in secondo luogo la comprensione e la compassione per le disumane condizioni degli schiavi. Da un lato, furono lodati il coraggio di Spartaco, le sue capacità militari, la sua grandezza d’animo, il suo senso della giustizia. Dall’altro lato, si manifestò un atteggiamento critico nei confronti dei maltrattamenti e delle ingiustizie cui molti schiavi erano sottoposti. Avverte tuttavia Dogliani che questa tradizione favorevole a Spartaco "non esprime una posizione politico-sociale contraria allo schiavismo, ma il riconoscimento della presenza di qualità morali diffuse tra gli schiavi ingiustamente trattati"36. E più avanti precisa ancora che:

"La tradizione antica favorevole a Spartaco e agli schiavi ribelli era dunque fondata su posizioni morali e sulla persistenza di concezioni giuridiche risalenti [cioè: proprie della concezione arcaica della schiavitù. N.d.R], e non su un rifiuto teorico o politico della schiavitù. Alla cultura filosofica e giuridica antica era totalmente estranea ogni forma di analisi critica di questo istituto (ogni forma di abolizionismo, diremmo noi), se si eccettuano alcune minoritarie correnti di pensiero ellenistico37"

La figura di Spartaco rimase viva per secoli nella letteratura e nella storiografia. Tuttavia, la moderna "fortuna" di questo personaggio non si spiegherebbe senza la rielaborazione del suo "mito" operata, a partire dal XIX secolo, nell’ambito della sinistra europea.

Già Karl Marx aveva riletto con entusiasmo la storia della ribellione guidata dal gladiatore trace. Così aveva scritto infatti in una lettera ad Engels nel febbraio 1861:

"Alla sera leggo per sollievo le guerre civili romane di Appiano nel testo greco originale. Libro di gran valore … Spartaco vi figura come il tipo più in gamba che ci sia posto sotto occhi di tutta la storia antica. Grande generale (non un Garibaldi), carattere nobile, real rapresentative dell’antico proletariato"38.

Secondo Dogliani, questo giudizio di Marx "spiega l’inizio della diffusione del mito di Spartaco nel movimento socialista"39. Sarebbe tuttavia erroneo ritenere che il mito "moderno" di Spartaco sia stato alimentato unicamente da questo movimento. Occorre ricordare, infatti, che, a fianco alla rilettura della rivolta di Spartaco come simbolo della rivoluzione proletaria, vi è stata anche – almeno in Italia - una rivisitazione del mito in chiave democratica e libertaria, come attesta il romanzo Spartaco di Raffaele Giovagnoli, pubblicato nel 1874. Giovagnoli era stato un fervente garibaldino, aveva partecipato alle guerre di indipendenza ed aveva combattuto con Garibaldi a Mentana. Secondo Chiara Fossati, Giovagnoli prese spunto "dal mito eroico dello schiavo ribelle amato in tutte le epoche", introducendovi "componenti populiste" e dipingendo Spartaco "come un garibaldino carismatico e salvatore del popolo"40.

La fortuna del mito di Spartaco proseguì nel XX secolo. E’ noto che l’organizzazione dei comunisti tedeschi guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, nata nel 1916, si chiamò "movimento spartachista". In Italia, durante la Resistenza, molti partigiani scelsero "Spartaco" come nome di battaglia e a Spartaco furono intitolati diversi giornali e pubblicazioni clandestine41.

Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, la riattualizzazione del mito ricevette un nuovo impulso dal cinema hollywoodiano. Nel 1961 la Universal Pictures immortalò il gladiatore ribelle con il film Spartacus, che aveva come regista Stanley Kubrick e vantava un cast di attori comprendente Kirk Douglas, Laurence Olivier e Tony Curtis. Il film era stato tratto da un romanzo di Howard Fast, mentre la sceneggiatura era di Dalton Trumbo. Non è superfluo ricordare che sia Fast che Trumbo erano stati inclusi nella lista nera stilata dalla commissione sulle attività anti-americane presieduta dal senatore McCarthy, con l’accusa di essere comunisti. E il film Spartacus fu duramente osteggiato dalla critica di destra in quanto sembrò indicare il ritorno, nel cinema hollywoodiano, di idee politiche di sinistra, dopo un decennio di repressione maccartista42.

Mario Dogliani, considerando la stretta associazione creatasi fra la figura di Spartaco e l’ideologia comunista, si chiede che cosa rimanga di questo mito dopo il crollo del socialismo di stampo sovietico. Egli risponde che il mito di Spartaco rimane vitale ancora oggi, perché esso contiene elementi che mantengono la loro validità anche al di fuori dell’ideologia comunista. Si tratta infatti di un mito di liberazione che trae la sua forza anzitutto da ciò che presuppone, ossia la condizione disumana degli schiavi, che non può non ripugnare alla nostra coscienza e far nascere, per contrasto, una istintiva simpatia morale nei confronti di coloro che ebbero il coraggio di ribellarsi contro di essa43. Chiara Fossati afferma, dal canto suo, che la rivolta di Spartaco rappresenta simbolicamente, nell’immaginario collettivo, "l’eterna lotta dell’uomo contro la sopraffazione e la prepotenza e l’anelito di libertà"44. Noi riteniamo che il "mito" di Spartaco rappresenti un utile terreno di indagine sui rapporti che intercorrono in ogni epoca, compresa la nostra, fra la verità storica e gli archetipi dell’immaginario collettivo, fra le ideologie e la ricerca spassionata della verità.

APPROFONDIMENTI

BIBLIOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

 

NOTE


1 Moses Finley, Schiavitù antica e ideologie moderne, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 153-154 (ed. orig.: Ancient Slavery and Modern Ideology, 1980).
2 Diodoro Siculo, La rivolta degli schiavi in Sicilia, a cura di Luciano Canfora, Palermo, Sellerio, 19923, p.11.
3 Cfr. Luciano Canfora, La rivolta dei dannati della terra, in Diodoro, La rivolta degli schiavi…, cit., pp. 51 ss.
4 Diodoro, La rivolta degli schiavi…, cit., pp. 17-18.
5 Ivi, pp. 18-19.
6 Ivi, p. 19.
7Ivi, p. 22.
8 Ivi, p. 24.
9 Ivi, p. 25.
10 Ivi, p. 27.
11 Plutarco, Vite parallele: Nicia e Crasso, traduzione di Daniela Manetti, Milano, Rizzoli, 19994, p. 245.
12 Ivi, pp. 245-246.
13 Ivi, p. 249.
14 Ivi, p. 249.
15 Ivi, p. 251.
16 Ivi, p. 253.
17 Ivi, p. 255.
18 Ivi, p. 257
19 Daniele Foraboschi, La rivolta di Spartaco, in Storia di Roma, vol. VII, tomo I, Torino, Einaudi, 1990, p. 715.
20 Cfr. Finley, Schiavitù antica e ideologie moderne, cit., p. 153.
21 Cfr. Diodoro, La rivolta degli schiavi …, cit., pp. 11-15.
22 Cambridge University, Storia del mondo antico, vol. VII, La crisi della repubblica romana, a cura di S.A. Cook - F.E. Adcock - M.P. Charlesworth, Garzanti, 1975 (ed. orig.: The Cambridge Ancient History, 1963-1966), pp. 5 ss.
23 Ivi, pp. 11, 15.
24 Cfr. Finley, Schiavitù antica…, cit., pp. 97 ss.
25 Canfora, La rivolta dei dannati…, pp. 52-53.
26 Finley, Schiavitù antica…, cit., p. 154.
27 Ivi, pp. 155-156.
28 Foraboschi, La rivolta di Spartaco, cit., p. 723.
29 Mario Dogliani (a cura di), La ribellione degli schiavi, Milano, Baldini&Castoldi, 1997, p. 49.
30 Foraboschi, La rivolta di Spartaco, cit., pp. 719-720.
31 Tacito, Annali, 15, 46, citato in Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 17.
32 Cfr. Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., pp. 10-14. L'esposizione che segue si basa su questo agile testo, che rinvia a sua volta a G. Stampacchia, La tradizione della guerra di Spartaco da Sallustio a Orosio, Pisa, Giardini, 1976.
33 Cicerone, Filippiche, 13, 22, citato in Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 11.
34 Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 13.
35 Giulio Capitolino, Massimino, 9, 6, citato in Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 14.
36 Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 18.
37 Ivi, p. 22.
38 Lettera del 27 febbraio 1861, in Carteggio Marx-Engels, trad. it., vol. IV, Edizioni Rinascita, Roma, 1951, p. 25, citata in Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 32.
39 Ivi, p. 32.
40 Chiara Fossati, Spartacus di Stanley Kubrick, tesi di laurea, Università di Pavia, leggibile all'indirizzo web:
www.infinito.it/utenti/c/chiafos. Le affermazioni citate si trovano alla pagina web:
www.infinito.it/utenti/c/chiafos/Capitolo2/htlm
41 Cfr. Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., pp. 7-9.
42 Si veda, su tutta la vicenda del film Spartacus di S. Kubrick, la già citata tesi di laurea di Chiara Fossati, e specialmente i capitoli II e III.
43 Cfr. Dogliani, La ribellione degli schiavi, cit., p. 40.
44 Fossati, Spartacus di Stanley Kubrick, cit. Le affermazioni citate si trovano alla pagina web: www.infinito.it/utenti/c/chiafos/Capitolo2/htlm