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SCONFINANDO

SCHIAVITU'

    La schiavitù contemporanea
    definizioni

 

Alcune definizioni possibili di partenza

Rapportando il fenomeno schiavistico al mondo occidentale, i suoi confini si fanno incerti, quasi sfuggenti e non chiari.

Per Bales uno schiavo è un individuo costretto con la violenza o con la minaccia della violenza a fini di sfruttamento economico.

Secondo altri studiosi, gli elementi costitutivi della relazione schiavo-padrone sono tre:

  1. il primo è quello sociale ed implica l'uso o la minaccia della violenza nel controllo che una persona subisce da parte di un'altra persona;
  2. il secondo riguarda l'aspetto psicologico dell'influenza, la capacità di persuadere un'altra persona a cambiare il modo in cui percepisce i propri interessi e le proprie condizioni;
  3. il terzo è dato dall'aspetto culturale dell'autorità, i mezzi per trasformare la forza in diritto e l'obbedienza in dovere.

Quello che appare evidente è che ci troviamo davanti a definizioni che hanno scopi differenti tra loro; in un caso (la definizione di Bales) l'obiettivo è quello di fotografare un ambito, di dare lo spettro più ampio possibile, indipendentemente dalla qualità scientifica della definizione; nel secondo l'approccio è quello di trattare con la materia in termini teorici senza badare al fenomeno nelle sue manifestazioni contemporanee.

Al primo caso assomiglia la definizione data dal Ccem (Comitè contro l'esclave modern), che fa un lavoro di intervento sociale di grande efficacia in Francia, (www.ccem-antislavery.org )

Chi invece conduce campagne e fa lobbying internazionale da più di un secolo è Antislavery international, (www.antislavery.org).

Il Ccem individua cinque criteri a partire dai quali una persona viene definita schiava:

  1. la confisca del passaporto;

  2. il sequestro o l' auto-segregazione indotta;

  3. le condizioni di vita e di lavoro particolarmente difficili;

  4. la rottura dei legami familiari;

  5. la rottura dei legami culturali (spaesamento, non conoscenza della lingua, eccetera).

A questi si aggiungono, come componenti non determinanti che giocano a favore del padrone, l'esercizio della violenza (reale o minacciato) e la paura della vittima rispetto alle autorità locali (indotta o meno). I criteri adottati dal Ccem sembrano utili perché rimandano inequivocabilmente all'immigrazione e pertanto individuano in questo segmento della popolazione -in alcune parti marginali di essa - l'area vulnerabile dove è possibile la produzione di relazioni basate sulla subordinazione schiavistica.

I diversi tipi di schiavitù

E' possibile individuare i tre ambiti all'interno dei quali si materializzano le forme contemporanee di riduzione in schiavitù:

  1. la prima forma di schiavitù è quella che si basa sul possesso. E' quella più vicina alle forme classiche e sopravvive in alcune zone dell'Africa; qui lo schiavo si compra e si vende, i figli sono a loro volta proprietà padronale, eccetera;

  2. la seconda forma di schiavitù è quella da debito. E' quella più comune in diverse parti del mondo e assume molte configurazioni specifiche. Costante tra tutte è l'erogazione del lavoro in maniera gratuita, offerto per pagare un debito contratto per soddisfare altre esigenze. I termini del rimborso sono determinati dal creditore, il quale li modifica a seconda della convenienza. Non c'è proprietà, ma soltanto controllo e possesso dei prodotti del lavoratore-schiavo. Il debito in alcuni casi si trasmette anche per via ereditaria ai parenti di prossimità della vittima;

  3. la terza forma di schiavitù è quella contrattualizzata. E' quella nella quale alcune delle moderne relazioni di lavoro sono usate per nascondere la schiavitù. Il lavoratore invischiato in tale meccanismo ha una relazione di lavoro legale ma al contempo è sottoposto a restrizioni di varia natura, non ha libertà di movimento e la sua agibilità sociale è controllata. Inoltre, può essere minacciato o sottoposto a violenza in caso di disubbidienza e di attivazione di conflitti finalizzati ad allentare i vincoli da indebitamento.

Ciascuna di queste forme si può sovrapporre alle altre. In particolar modo le ultime due, in quanto sono anche quelle maggiormente diffuse. La schiavitù da debito - prendendo innumerevoli forme concrete - è comunque molto difficile da definire, soprattutto perché si basa anche su contratti formali e/o informali apparentemente ineccepibili.

Esempi di schiavitù contemporanea nel mondo

In India

In India ci sono circa 15 milioni di child bondage labourers in età superiore ai cinque anni, giacché i prestiti vengono offerti alle famiglie locali in difficoltà economiche con lo scopo di reclutare manodopera. L'85% di questi bambini, secondo le stime più attendibili, lavora nell'agricoltura. Le principali industrie dove questi lavoratori-bambini vengono impiegati sono quelle delle sigarette, della seta, dei tappeti, del pellame. Non mancano gli impieghi nel settore dei servizi, come il cameriere, il tuttofare negli hotel o come domestici, nonché nel settore della prostituzione. Parliamo quindi di industrie e settori che sono in relativa espansione, anche per la forte domanda di prodotti orientali presente nel Nord del mondo.

In Brasile

Altra forma di grave assoggettamento da debito è quella brasiliana, nella quale il debito non è una prassi consolidata ma viene contratto attraverso l'inganno e il raggiro. In Brasile, i reclutatori (i gatos, gatti) sono a conoscenza di quando il raccolto va male e quindi si presentano nei villaggi con i camion gridando che offrono lavoro nelle foreste amazzoniche a condizioni ottime. Così facendo riescono a reclutare persone al limite della sopravvivenza offrendo loro denaro alla partenza per lasciarlo come anticipo alle famiglie. Dopo di che vengono trasportati a destinazione dandogli da mangiare durante il viaggio. Una volta arrivati vengono indotti a restituire i soldi anticipati alle famiglie attraverso l'impiego nelle opere di disboscamento.

In Cina

Il mercato creato dalle foreign funded enterprises nelle nuove aree industriali cinesi è quello più duro tra tutti, dove si verificano con più forza le violazioni e le forme di schiavitù a danno di lavoratori immigrati (da altre regioni). Infatti, nella Repubblica popolare cinese questi lavoratori ammontano a circa 144 milioni e rappresentano quella "forza lavoro periferica e flessibile nel nuovo libero mercato del lavoro che è stato spesso salutato come la pietra di svolta del successo economico della Cina" (Chan, 1998). I migranti cinesi quando si trovano in un altra regione da quella di origine assumono - sulla base delle disposizioni vigenti - lo status di foreign nationals, dovuto alla paura che le autorità centrali hanno per gli effetti che potrebbero determinarsi con gli spostamenti di massa e di inurbamento incontrollato.

Questi lavoratori, proprio perché migranti, hanno molti meno diritti (in relazione alla scuola, ai servizi sociali) rispetto a quando si trovano nel luogo di residenza abituale (in sostanza fanno un passo indietro rispetto allo status pieno di cittadinanza) e per di più non possono portare la famiglia. Per lasciare la campagna devono avere il permesso di partire e poi avere quello di lavorare nel contesto di migrazione e dunque di nuova residenza. Quando vengono trovati senza documenti possono essere espulsi e rinviati nella loro regione di origine. Anche in questo caso abbiamo un mix di debito e contrattualizzazione. Il management in genere paga le tasse per ottenere il permesso e le fa ripagare successivamente agli operai con il lavoro.

A volte il management trattiene i documenti a coloro i quali ha prestato i soldi, così il lavoratore non è incentivato ad uscire dalle residenze collocate generalmente nel perimetro delle fabbriche perché, se fermato dalla polizia e non potendo dare le sue generalità, rischia facilmente di essere rispedito a casa. Dal punto di vista delle condizioni di lavoro qui siamo in presenza di abusi rilevanti che si concretizzano anche con punizioni e percosse, nonché con orari che di dilungano anche fino a 16 ore giornaliere (senza considerare le ore in più come straordinari pagati). Questi orari sono più lunghi di quelli che la legge consente e sono generalmente pagati con la tariffa oraria normale. Non ci sono mai giorni liberi e di riposo, ma in compenso ci sono multe, deduzioni dalla paga per comportamento scorretto, o ritardi in entrata o per malattia (mai riconosciuta).

In Arabia Saudita e negli emirati del Golfo

Di grande rilievo è la situazione della manodopera immigrata nei Paesi del Golfo: gli immigrati non possono entrare nel paese senza la garanzia del Kafil (garante). Il Kafil può impiegare l'immigrato, farlo lavorare da altri, passare la sua garanzia ad un altro Kafil. Non secondaria è la figura dell'intermediario di manodopera. Questo la può importare (facendosene garante), ha la facoltà di collocarla direttamente al lavoro oppure di lasciarla libera di cercare autonomamente lavoro. In entrambi i casi però ha la facoltà di trattenere le carte dell'immigrato per il periodo della sua permanenza in maniera da avere la garanzia che l'immigrato stesso possa pagargli ogni mese un contributo per la sua assistenza. In alcuni casi l'intermediario incassa il salario direttamente e poi - una volta tolta la quota che ritiene congrua per il suo interessamento - lo passa all'immigrato facente parte della sua cerchia protetta.

Trafficking e smuggling

Parlando di schiavitù da debito legata all'immigrazione occorre distinguere tra due categorie che determinano forme diverse di possibile assoggettamento e sulle quali, nelle ondate di allarme sociale legate al fenomeno dell'immigrazione, si tende spesso a fare confusione:

il trafficking in human beings (la cosiddetta tratta) è lo sfruttamento economico (sessuale o lavorativo) delle persone costrette o indotte attraverso l'inganno o le minacce a migrare;

lo smuggling of migrant è l'atto di aiutare l'ingresso illegale dei migranti nei paesi di destinazione o di transito.

Nel primo caso, quindi, si tratta di un raggiro o di una violenza perpetrata ai danni di una persona che si cerca di far emigrare per poi sfruttarla nel paese di destinazione. Nel secondo caso è l'emigrante che contatta lo smuggler e paga per essere aiutato. Nel caso del trafficking quindi siamo in presenza di una forma di possibile schiavitù coatta, mentre nel secondo caso sono semmai possibili forme di servitù da debito nelle quali la persona introdotta nel paese, paga il viaggio con un periodo di lavoro (ma, anche, ripaga un debito contratto con la propria famiglia lavorando molto nel paese di emigrazione).

Le forme di paraschiavismo nel mercato del lavoro immigrato

L'ambito economico è quello in cui la relazione di sfruttamento opera e si esprime tra soggetti adulti nel campo di attività produttive (industria, agricoltura, servizi) caratterizzate da un rapporto tra un proprietario di mezzi di produzione e un prestatore di forza lavoro.

Pur nella varietà delle forme che si riscontrano, vi è un elemento che attraversa le diverse situazioni, vale a dire le diverse modalità di limitazione della libertà personale che subisce il lavoratore. In questa sede prendiamo in considerazione quei casi in cui la relazione contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore presenta un carattere fortemente alterato e compromesso, nel senso che quest'ultimo risulta privato delle possibilità di concordare minimamente le condizioni del proprio lavoro.

Quando questo rapporto non è frutto di un libero accordo tra le due parti fin dall'inizio, o quando le modalità concordate saltano per lasciare spazio all'esercizio di un potere di coercizione, dominio, sottomissione coatta, si determina una situazione nella quale si possono ravvisare gli estremi di forme di lavoro servile o para-schiavistico.

Le due condizioni si possono sintetizzare come segue:

  1. la condizione servile designa quelle relazioni segnate da un dominio e un potere decisionale incontrastato, tra individui che vivono situazioni di vicinanza fisica, psicologica e sociale. E' il caso della famiglia dove si è a servizio, del gruppo etnico o nazionale, e più in generale di una comunità di qualche tipo, nel senso che questa comunanza influenza le forme della soggezione servile. La condizione servile scaturisce più dalla persuasione che dalla violenza aperta, più dalla ricerca del consenso che non dalla prevaricazione e si basa su vincoli di appartenenza e di lealtà piuttosto che su contratti formalizzati. Questi vincoli vengono poi solitamente utilizzati a fini economici di produzione di profitto.

  2. L'household e la piccola impresa ne forniscono in questo senso l'esemplificazione più efficace, in quanto luoghi in cui i rapporti vengono gerarchizzati non soltanto sulla base dei ruoli tradizionali, ma anche perché subentrano interessi contrapposti di carattere sociale e economico e l'imprenditore necessita di assicurarsi la totale dedizione del lavoratore alla causa dell'impresa. Tale tipo di relazione è estremamente difficile da rescindere per la vittima. Si pensi alla collaboratrice domestica che vive e lavora in una casa da dieci anni e ha fatto di quello il suo contesto sociale, o alla persona che lavora in una fattoria e da essa dipende per l'alloggio, fino all'edile, magari irregolare, che dorme nella baracca del cantiere. Il padrone può dare qualche soldo in più una volta e la seguente non pagare affatto, minacciare violenza, fare molestie sessuali e, al contempo, far giocare i figli con la persona che vive in casa: si tratta di un contesto vischioso, dal quale la persona poco integrata nel tessuto sociale, ha grande difficoltà pratica e psicologica ad uscire.

  3. la condizione para-schiavistica si basa su rapporti di carattere coercitivo, sulla possibile limitazione della libertà e irruzione della violenza nel rapporto. Tale condizione è caratterizzata dalla lontananza delle parti in causa, laddove queste ultime, generalmente, non hanno legami familiari o etnici (ed in molti casi nemmeno un retroterra culturale comune). Le possibilità di negoziazione o di qualche forma di accettazione volontaria della sottomissione para-schiavista possono variare di grado, ma la natura del rapporto è comunque fortemente asimmetrica. Il modello di sfruttamento para-schiavista sembra avere un carattere rotatorio, molto spesso basato sul meccanismo del debito, e un carattere più dinamico di quello servile, a causa del continuo ricambio delle vittime. Se la condizione servile è interna alla cultura familiare, della casa in cui si vive o della comunità, quella para-schiavista è presente dove vige il lavoro sommerso e quelle forme di lavoro nero caratterizzate dalla facoltà degli imprenditori di imporre coattivamente l'esercizio di determinate attività.

 

    Schiavitù e tratta di esseri umani: definizioni

Le definizioni legali

La prima definizione internazionale della tratta è stata adottata il 6 ottobre 2000 dal Comitato Speciale delle Nazioni Unite, incaricato dell'elaborazione del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione sulla criminalità transnazionale relativo alla tratta di esseri umani.

L'articolo 3 del Protocollo volto a prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e di bambini, enuncia la seguente definizione (traduzione dell'autore):

"la tratta di persone designa il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza, attraverso la minaccia o il ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione, attraverso il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di autorità o di una situazione di vulnerabilità, o attraverso l'offerta o l'accettazione di pagamenti o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che esercita un'autorità su di un'altra ai fini di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, al meno, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o le pratiche analoghe alla schiavitù, la servitù o il prelievo di organi; il consenso della vittima della tratta di persone al tipo di sfruttamento, di cui al comma a) del presente articolo, è indifferente quando si ricorre ad uno dei mezzi enunciati (nella definizione); il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di un minore a fini di sfruttamento sono considerati tratta di persone anche se non vi è ricorso ad alcun mezzo enunciato al comma a) del presente articolo; il termine minore designa una persona al di sotto dei 18 anni". 

Prima dell'elaborazione di questa Convenzione, sono state date diverse definizioni della tratta di esseri umani.

La Convenzione internazionale del 25 settembre 1926 relativa all'abolizione della schiavitù definisce la schiavitù come "lo stato o condizione di un individuo sul quale sono esercitati gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di questi" (articolo 1, § 1)

Questa stessa Convenzione, nella sottosezione 2 dell'articolo 1, definisce la tratta di schiavi come ogni atto di cattura o di cessione di un individuo al fine di ridurlo in schiavitù ; ogni atto di cessione attraverso la vendita o lo scambio di uno schiavo acquisito al fine di venderlo o di scambiarlo, così come ogni atto di commercio o di trasporto di schiavi.

La Convenzione Europol del 1995 parla della tratta di esseri umani come il fatto di sottomettere una persona al potere reale e illegale di altre persone, ricorrendo a violenze o minacce o abusando di un rapporto di autorità o di stratagemmi, in particolare per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione altrui, a forme di sfruttamento e di violenze sessuali nei confronti di minori o al commercio legato all'abbandono di minori.

 

Altre definizioni

L'OSCE in " Trafficking in Human Beings : implications for OSCE ", definisce la tratta come ogni azione, ivi compresi il reclutamento, il rapimento, il trasporto, la vendita, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di persone, attraverso minacce o l'uso della forza, dell'inganno, della coercizione o della servitù per debiti, volta a ridurre o detenere delle persone, pagate o no, in uno stato di servitù involontaria, per un lavoro forzato o per sottometterla a dei creditori, in una comunità diversa da quella di origine.

Per l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni si ha un caso di tratta di esseri umani quando :

  • un migrante è ingaggiato in maniera illecita (rapito, venduto o semplicemente reclutato) e/o trasferito all'interno delle frontiere nazionali o verso un paese straniero ;

  • degli intermediari (trafficanti) ne traggono un profitto economico o di altro tipo, a qualunque stadio essi intervengano, attraverso l'inganno, la coercizione e/o altre forme di sfruttamento, in condizioni che violano i diritti fondamentali dei migranti.

Il GAATW (Global Alliance Against Trafficking in Women), l'International Human Rights Law Group e la Foundation Against Trafficking in Women (STV), in cooperazione con numerose ONG hanno elaborato una definizione basata sulle loro esperienze concrete.

"Ogni azione che porti un pregiudizio implicante il reclutamento, il trasporto all'interno o all'esterno dei confini nazionali, lo scambio, la vendita, il trasferimento, l'alloggio o l'accoglienza di una persona ricorrendo all'inganno, alla coercizione (ivi compreso il ricorso alla forza o all'abuso di potere) o alla servitù per debiti al fine di indurre o mantenere questa persona, in cambio o meno di un pagamento, in servitù (domestica, sessuale o riproduttiva), in situazioni di lavoro forzato o in condizioni analoghe alla schiavitù, in una comunità diversa da quella di origine".

La schiavitù nel diritto internazionale e italiano

a) Il quadro internazionale

Il problema della schiavitù viene affrontato con maggiore enfasi soltanto nel 1926 con l'approvazione della Slavery Convention ratificata inizialmente da trentasei stati. Il testo della Convenzione di Ginevra è composto da 12 articoli di legge di precisa formulazione. Nel Preambolo vi è un richiamo alle Convenzioni e Dichiarazioni che l'avevano preceduta.

Molto importante è l'art. 1, nel quale si esplicitano, per la prima volta, i concetti di schiavitù e tratta. La schiavitù è "lo stato o condizione di un individuo sul quale sono esercitate le prerogative del diritto di proprietà o alcune di esse" (art.1.1).

La tratta degli schiavi, contemplata nell'art. 1.2, include "ogni atto di cattura, acquisto o cessione di un individuo al fine di ridurlo in schiavitù; ogni atto di acquisto di uno schiavo al fine di venderlo; ogni atto di cessione a scopo di vendita o scambio di uno schiavo acquistato al fine di farne oggetto di vendita o scambio e, in generale, ogni atto che costituisca commercio o trasporto di schiavi".

A fine 2000, a Palermo, si è svolta la Conferenza Onu che ha portato all'approvazione della Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale, sottoscritta da 148 paesi. Altro sviluppo importante per quanto riguarda la tutela del minore è costituito dall'approvazione della Commissione Onu per i Diritti Umani, il 26 aprile 2000, di due Protocolli facoltativi alla Convenzione sui Diritti del fanciullo: il primo dedicato alla "Vendita, prostituzione e pornografia dei minori", il secondo al "Coinvolgimento dei minori nei conflitti armati".

 

Il quadro nazionale.

L'ordinamento italiano tratta il tema della schiavitù in alcuni articoli del Codice penale:

  • l'art 600 che sanziona la riduzione in schiavitù;
  • l'art. 601 che condanna il commercio di schiavi;
  • l'art. 602 sull'alienazione e l'acquisto di schiavi.

Nel maggio 1991 (legge n. 176) l'Italia ha apportato alcune modifiche al Codice per recepire la Convenzione sui diritti del fanciullo, nel 1998 per adeguare la legge alle decisioni della Conferenza internazionale di Stoccolma del 1996 (prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione materiale pornografico, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile).

L'orientamento della giurisprudenza italiana è quello di applicare l'articolo 600 sia alle situazioni di diritto che di fatto. Questo orientamento ha consentito l'applicazione dell'articolo per condannare alcune persone che hanno privato della libertà le proprie domestiche, impedendo loro la libertà di movimento, l'uso del telefono, di disporre delle proprie cose.