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SCONFINANDO

TOTALITARISMO



GLI SCHIAVI DI STALIN

(Intervento di Elena Dundovich)



Si può analizzare il sistema concentrazionario sovietico seguendo l’ordine cronologico, dal 1918, anno immediatamente successivo alla rivoluzione bolscevica, per arrivare fino al 1960, anno in cui il sistema del lager viene ufficialmente dissolto, anche se occorre ricordare che nella realtà effettuale i lager continueranno ad esistere per molti anni ancora.

Molti documenti sul sistema dei lager in Unione Sovietica sono stati raccolti grazie all’istituzione "Memorial": si tratta di un’istituzione fondata negli anni ottanta da alcuni intellettuali dissidenti. Tale istituzione, fino al crollo del regime di Gorbaciov, ha potuto lavorare tra molte difficoltà; ora è divenuta invece molto famosa, ha un’organizzazione molto efficiente ed ha curato anche alcuni documentari sui lager nei quali i sopravvissuti raccontano le loro esperienze, ed il loro racconto è inframmezzato da spezzoni di filmati che risalgono agli anni Trenta, gli anni in cui il sistema dei lager è stato più diffuso.

Prima di iniziare qualsiasi considerazione sul lager sovietico occorre sgombrare il campo da un equivoco sui termini usati: il termine Gulag, con cui è conosciuto il campo di concentramento sovietico, è in realtà un acronimo: sta infatti per Glavnoe upravlenje lagerei, ossia Direzione generale dei lager. Quindi il termine lager può essere usato tanto per i campi nazisti che per quelli sovietici.

La prima fase della storia dei campi di lavoro forzato risale al periodo 1918-1922, ossia agli anni contraddistinti dalla presa del potere da parte dei bolscevichi e poi segnati dall’edificazione della nuova società socialista sovietica. In realtà, questi campi risalivano già all’epoca zarista ed erano usati come luoghi di reclusione correttiva. Quando i comunisti prendono il potere devono decidere come utilizzarli e all’inizio in tali luoghi vengono mandati prigionieri di varia natura: sia delinquenti comuni, sia avversari politici o sospetti tali.

Dal 1918 al 1922 questa varietà di prigionieri vengono mandati nei campi, ma non vengono utilizzati in alcun modo particolare. Siamo in una fase in cui non si è ancora fatta strada l’idea di campo di lavoro forzato. Del resto gli anni dal 1918 al 1922 sono contrassegnati dall’instabilità in campo politico: è in corso la guerra civile tra menscevichi e bolscevichi e questi ultimi, quindi, non dedicano molta attenzione ai campi di reclusione. In questa fase non è neppure chiaro da quale ente i campi dipendano: lo stato come entità statuale sovietica è inesistente e quindi c’è una sorta di lotta tra i vari dicasteri che si stanno via via formando, che riguarda anche quale ente debba assumere la gestione dei campi di reclusione detentiva.

Nel 1923, quando oramai l’Unione Sovietica è istituzionalmente una realtà, viene deciso di affidare la gestione di questi campi alle varie repubbliche che compongono l’URSS, quindi la gestione spetta al potere locale. In questo stesso periodo prende corpo l’idea che i campi debbano servire ad insegnare a lavorare ai detenuti, quindi ai campi è assegnata una funzione correttiva, in modo che il detenuto, una volta riacquistata le libertà, possa usare l’esperienza maturata nel campo ed inserirsi in modo proficuo nella nuova società sovietica socialista. Un altro principio viene elaborato negli anni che vanno dal 1923 al 1929: i campi devono autofinanziarsi mediante il lavoro e non devono gravare sul bilancio statale, principio che rimarrà valido anche in seguito, negli anni Trenta e Quaranta. Nel 1927 sono reclusi nei lager circa 200.000 mila detenuti, un numero quindi relativamente esiguo, se lo si confronta con le cifre degli anni a venire.

Si tenga presente che gli anni dal 1922 al 1929 sono quelli contrassegnati dalla Nuova Politica Economica (NEP) nei quali la disoccupazione è molto alta, quindi i campi continuano a mantenere la loro fisionomia di centri di detenzione punitiva, ovvero sono una fattispecie di prigione: non è ancora radicata l’idea di usare i prigionieri come manodopera, anche perché in questo preciso momento non se ne ravvisa il bisogno, c’è molta disoccupazione ed è ancora vigente un’economia mista.

La situazione cambia radicalmente nel 1929, in seguito all’adozione, in campo economico, del primo piano quinquennale, che dal 1928 durerà fino al 1933. Stalin ha vinto la sua lotta all’interno del partito bolscevico e assunto il potere: trionfa la sua idea di rivoluzione in un solo paese, che si traduce nello sforzo della creazione della industria pesante, e nella contemporanea collettivizzazione forzata dell’agricoltura, con la deportazione nei lager della Siberia dei contadini che resistevano.

A questo punto la funzione dei campi muta radicalmente perché c’è bisogno di manodopera per realizzare le grandiose opere pubbliche che il regime vuole costruire. Nel luglio del 1929 il Sovarkom dell’URSS approvò una legge che prevedeva che i prigionieri venissero utilizzati come forza lavoro. E’ il primo grande mutamento che segna il passaggio del lager da campo di detenzione a campo di lavoro forzato, tanto è vero che a partire da questo momento i campi verranno designati con la sigla IPL, che significa "campo di correzione attraverso il lavoro". Molti lager sono già esistenti, molti invece vengono costruiti ex-novo, in regioni scarsamente popolate, là dove si pensa che ci possano essere giacimenti d’oro, di stagno, o dove il regime decide di dare avvio a grandi opere pubbliche, come la costruzione del canale tra il Mar Bianco e il Mar Baltico: circa 15.000 prigionieri muoiono durante la costruzione del canale, che rappresenta il primo esperimento di uso della manodopera dei lager.

E’ in questo periodo che il lager sovietico acquista la sua fisionomia ed il lavoro diventa l’elemento fondamentale, l’anima della vita del campo; inoltre il lager assume un rilevanza anche all’interno dello stato staliniano, anche come entità economica.

Nel 1930 la gestione dei lager è sottratta alle singole repubbliche ed il controllo dei campi è centralizzato: viene creato, appunto, il GULAG. Il Gulag dipende a sua volta dalla NKVD, ossia dal Ministero degli affari interni e quindi dal medesimo organo da cui dipende la polizia politica, un intreccio non irrilevante, perché poi negli anni del terrore staliniano, dal 1937 al 1939, i campi diventeranno il bacino di ricezione di tutte le vittime del terrore staliniano, che saranno moltissime.

Nel 1930 sono rinchiusi nei campi 160.000 mila detenuti, e 510.000 mila nel 1934. A questo punto è lecito porsi un interrogativo: come mai il numero dei prigionieri nel 1927 era di 200.000 mila unità mentre nel 1930 era decresciuto scendendo a 160.000 unità? Perché ogni tanto, come spesso accade, il potere decideva di concedere delle amnistie, grazie alle quali una parte dei prigionieri riacquistava la libertà.

Che cosa cambia nei campi grazie alla legge del 1929? La prima cosa, come è già stato osservato, è che il prigioniero diventa forza lavoro gratuita per lo stato, che in questo modo può disporre di un’enorme quantità di manodopera. Un’altra trasformazione non irrilevante per i lager è che il Ministero degli affari interni diventa anche una sorta di ministero per l’economia con poteri estesissimi : proprio nel momento in cui l’economia sovietica passa da una fase transitoria, cioè dalla NEP al piano quinquennale di industrializzazione forzata, la NKVD diventa il cuore dei progetti economici che Mosca decide di realizzare. Non è un caso che proprio a partire dal 1930 vengano creati molti nuovi campi, soprattutto là dove il governo sovietico decide di dare avvio a monumentali opere pubbliche: nuovi campi vengono allestiti nella zona del Volga, dove sorgeranno i grandi complessi industriali, nelle zone dell’estremo oriente russo, nella regione della Kolyma dove i prigionieri saranno costretti a lavorare all’estrazione dell’oro e dello stagno. In poche parole ovunque ci sia bisogno di realizzare qualche grande struttura pubblica come ferrovie, canali, strade, nelle vicinanze viene costruito un lager.

In realtà, nella maggioranza dei casi c’era un lager principale con tanti piccoli campi satelliti: ovviamente, mentre i prigionieri ritenuti più pericolosi venivano assegnati al campo principale, che poteva essere controllato meglio, i detenuti considerati meno pericolosi venivano assegnati ai campi periferici, dove il controllo era affidato solo a due o tre guardie e le baracche restavano aperte durante la notte.

Del resto, i campi erano anche collocati in regioni remote per motivi di sicurezza, oltreché per motivi strategici e militari: la zona della Kolyma, ad esempio, viene potenziata proprio negli anni Trenta, cioè dopo la conquista della Manciuria da parte del Giappone.

Negli anni tra il 1935 e il 1937 l’affluenza ai campi sembra subire un momento di sosta, in realtà ciò corrisponde ad un momento di allentamento della tensione anche all’interno del paese: si può infatti affermare che il cammino dei campi rifletta i mutamenti della politica interna sovietica. In questi anni, appunto dal ’35 al ’37, non vengono aperti nuovi campi e anche il numero dei prigionieri diminuisce.

Occorre tenere presente però un fatto non irrilevante: che è molto difficile ricostruire la storia del lager sovietico: infatti gli archivi russi sono stati inaccessibili dal 1917 fino al 1992. Nel 1992 gli studiosi di storia della Russia hanno potuto studiare i documenti contenuti negli archivi dell’ex URSS e hanno potuto constatare che i documenti relativi ai lager sono molto numerosi, grazie alla ossessiva precisione della burocrazia russa, che ha registrato praticamente tutto. Purtroppo però gli studiosi hanno avuto pochissimo tempo a loro disposizione per analizzare i documenti, perché nel 1996 gli archivi si sono nuovamente chiusi e a tutt’oggi non è possibile fare liberamente una ricerca: quindi tutta la produzione storiografica sul sistema concentrazionario sovietico si colloca negli anni che vanno dal 1993 al 1998-99 e tutti gli studi fanno riferimento ai documenti studiati durante il periodo 92-96. E’ facile quindi capire che restano ancora aperte ed irrisolte molte questioni.

In base all’analisi dei documenti, gli studiosi ritengono che il fatto che negli anni 35-37 non siano stati creati altri campi, e che il numero dei prigionieri sia diminuito, sia imputabile ad una lotta interna al partito bolscevico: infatti, quando nel 1928 fu varato il piano quinquennale, tutta la leadership del partito era solidale con Stalin: il piano di industrializzazione forzata costò però enormi sofferenze alla popolazione e ci furono moltissime ribellioni - e questo è stato scoperto grazie alla lettura dei documenti conservati negli archivi moscoviti. Del resto il piano voluto da Stalin ebbe un impatto drammatico sulla società: intere famiglie di contadini, ad esempio, che vivevano in Georgia, paese dal clima mite, venivano sradicate in piena notte, caricate su un convoglio e dopo un viaggio di una settimana si trovavano a vivere in Siberia, a quaranta gradi sotto zero per otto mesi all’anno. Queste persone dovevano affrontare enormi difficoltà di ambientamento, di lingua.

Si può quindi affermare che il primo piano quinquennale, che pure non corrispondeva ancora al periodo del terrore staliniano, fu contrassegnato da un livello notevole di violenza sulla popolazione. Quindi, pare che una parte del Comitato Centrale del Partito abbia chiesto a Stalin un allentamento della tensione nelle campagne e nelle città, e che di questa richiesta si sia fatto portavoce il segretario del partito di Leningrado, Kikov. Purtroppo, non essendo ancora possibile leggere i documenti relativi al congresso del partito del 1934, questa rimane una ipotesi.

E’ però vero che il secondo piano quinquennale ebbe un impatto meno duro sulla popolazione. Del resto questo allentamento della morsa repressiva si può anche ricollegare alla situazione internazionale: a partire dal 1936 la situazione per l’URSS si fa molto complessa. Infatti, fino al 1932 l’URSS attuò una politica isolazionistica, dopo il 1932, invece, si aprì alle democrazie occidentali, cercando di entrare a far parte della Società delle Nazioni e firmò un trattato con la Francia. Nel 1936, l’anno in cui Hitler compie la rimilitarizzazione della Renania e comincia la guerra di Spagna, Stalin capisce che Francia e Inghilterra non hanno una grande determinazione nel combattere Hitler e si sente esposto. Così riprende il sopravvento la politica isolazionistica.

L’allentamento della repressione dura però pochissimo: nel 1937 diventa terribile e i motivi non sono del tutto chiari. Nel luglio 1937 il Politburo emana un ordine indirizzato alla NKVD centrale e agli uffici periferici in cui si ordina di eliminare tutti i sabotatori e gli oppositori in base a quote stabilite da Mosca: si tratta quindi di un terrore centralizzato, pianificato, pensato, voluto da Mosca. Nel momento in cui il terrore staliniano ha inizio, ovviamente i campi si riempiono, poiché il terrore ha una duplice modalità di esecuzione: le persone vengono arrestate in casa propria o nei luoghi di lavoro, e subito processate, dopodiché o nell’arco di 24-36 ore, vengono fucilate sul posto oppure vengono inviate nei lager di cui si compone il sistema concentrazionario sovietico.

Così il numero dei campi lievita: nel 1934 esistono 14 lager, nel 1938 sono già 31, nel 1940 diventano 57. Negli anni immediatamente prima della guerra sono rinchiusi nei campi circa due milioni di prigionieri. Se si confronta questo numero con quello dei primi anni trenta, si capisce che il numero di prigionieri è enormemente aumentato.

Quali sono state le cause che hanno provocato il cosiddetto terrore staliniano? Le ragioni profonde restano ignote, ma certamente, come è emerso dalla lettura dei documenti analizzati negli anni 92-96, il lager non è strettamente connesso con lo stalinismo, anche se è vero che i campi subiscono una profonda trasformazione nel momento in cui Stalin giunge al potere. Così si può dire che se i campi non nascono con lo stalinismo, sono un elemento costitutivo della politica staliniana. Una delle ragioni che può aver spinto Stalin è che il dittatore usasse il terrore per radicare il suo potere, ma non riusciamo a farci un’idea del ruolo che in questo possano aver giocato gli altri membri del Politburo, anche perché gli archivi del Partito Comunista sono sempre rimasti inaccessibili.

Nel 1939 il terrore finisce, forse anche grazie all’intervento di alcuni membri del Politburo che inducono Stalin ad allentare la morsa. Tra l’altro occorre ricordare che durante il terrore si sono verificati terribili episodi di "concorrenza" fra il potere centrale e quello periferico: gli uffici locali della NKVD, per dimostrare a Stalin la loro fedeltà e il loro zelo, sono spesso arrivati ad uccidere un numero di persone più elevato da quello richiesto da Mosca, e su molti di questi fatti sono stati rinvenuti i documenti. E’ evidente quindi che il meccanismo funzionava benissimo: non solo il centro emanava gli ordini, ma l’apparato periferico li eseguiva alla perfezione: si ricordino a questo proposito i bambini che denunciavano i propri genitori e in virtù di questo diventavano piccoli eroi, la cui storia veniva narrata su tutti i giornali.

Nel settembre 1938 viene emanato l’ordine di allentare la repressione, il terrore staliniano finisce, ma non finisce la storia dei lager sovietici. Con la guerra, tuttavia, i lager da una parte si svuotano perché molti detenuti vengono mandati al fronte a combattere, dall’altra si riempiono di prigionieri di guerra e per questo motivo il numero dei campi cresce: nel giugno del 1941 sono 82 e durante la guerra il numero dei prigionieri è di circa due milioni e duecentomila, molti di questi sono però prigionieri di guerra. Stalin si compiace di avere a disposizione un numero così elevato di prigionieri e nel 1946 pensa di dare inizio ad una nuova stagione di opere pubbliche, ma gli organismi internazionali lo obbligano a restituire i prigionieri di guerra, che a partire dal 1946 vengono rimpatriati.

I campi si svuotano nuovamente e si arriva al periodo per noi più oscuro dello stalinismo: all’inizio degli anni cinquanta Stalin ha in mente di scatenare un nuovo terrore, forse vi è spinto dalla situazione creatasi con la guerra fredda. Quale che sia la motivazione, agli inizi degli anni cinquanta i campi si ripopolano e si arriva ad un numero di prigionieri che di nuovo oscilla fra i due milioni e cinquecento e i due milioni e ottocento. Del resto gli anni che vanno dal 1951 al 1953 sono quelli della follia paranoica di Stalin, gli anni in cui il dittatore è stato preda di veri e propri accessi di follia, che si è tradotta in una nuova ondata di terrore sulla popolazione.

Nel 1953 Stalin muore; fra il 1953 e il 1956 Kruscev prende una serie di provvedimenti, volti a favorire un miglioramento della situazione interna, tra cui numerose amnistie in favore dei prigionieri politici. Si comincia ad avanzare l’ipotesi di smantellare i lager. Il percorso politico che conduce a questa decisione non è del tutto chiaro, comunque nel 1960 viene emanato l’ordine ufficiale di smantellare i lager, che però continueranno a funzionare oltre questa data, anche se in misura ridotta.

Un’ultima considerazione: quello che differenzia enormemente i lager sovietici da quelli nazisti è che nei lager sovietici non è mai stata effettuata nessuna pulizia etnica, mentre è vero che in entrambi i sistemi concentrazionari i prigionieri sono stati sfruttati come forza lavoro gratuita.