5° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a Vallà
09 Marzo 2003
Armonia tra la realizzazione personale e quella di coppia
Coppia per la crescita personale o persona in funzione della coppia?
Relatore: dott. Luca Tosoni
Dalla contrapposizione alla tenerezza
Parlare del nostro vissuto di coniugi è affascinante, ma difficoltoso. Ci troviamo di
fronte a relazioni che portano alle più grandi gioie e a far esperienza della vetta:
estasi, contemplazione, desiderio di intimità e comunione profonda. Tocchiamo con mano la
profondità e la bellezza di un sentimento forte ed entusiasmante, ma nello stesso tempo
dobbiamo fare i conti con le piccole o grandi delusioni e le sofferenze del fluire
quotidiano. In alcuni momenti è più facile contrapporsi (o io o tu, o la mia
personalità o la tua), che sentirsi parte di un progetto comune (e io e tu, io e te
insieme...). Sono momenti in cui risulta difficoltoso comprendere fino in fondo quello che
Gesù con il suo linguaggio semplice diceva: "Se il chicco di grano caduto in
terra non muore, non porta frutto" (Gv 12,24). Il limite è insito in ogni amore,
ma non per questo il cammino è meno bello e affascinante.
È necessario, quindi, vivere il tempo e letà, i conflitti e le debolezze, come
arricchimenti di storia e di senso e non come ostacoli. La vocazione coniugale sta nel
ridare valore al rapporto ogni giorno, a riscoprire la persona che abbiamo incontrato come
dono di Dio e saper cogliere sempre più in profondità lunicità e lincanto
sperimentati quel giorno in quellincontro.
Siamo chiamati a convertire giorno dopo giorno i nostri sguardi: guardare con gli occhi di
Dio, infinita tenerezza "lento allira e grande nellamore".
Comprendere fino in fondo che morire ai nostri orgogli e presunzioni è darci la
possibilità di rinascere come coppia e che per crescere è indispensabile saper
accogliere le giuste richieste dellaltro.
Questa umiltà facilita il riconoscimento dei propri errori, la capacità di ricevere
correzioni per il proprio bene, di chiedere perdono e di perdonare. In questo modo
possiamo divenire segno di speranza e spazio nuovo di relazione e d'incontro per noi e per
gli altri.
Tra progetto di Dio e vissuto incarnato.
Fatta questa premessa, vorrei iniziare questa mia riflessione, con una frase del libro
del Siracide. Si dice: "Tutte le cose sono doppie, luna di fronte
allaltra; Egli nulla fece di incompleto; luna completa la bontà
dellaltra; chi finirà di contemplare la sua gloria? (42, 24-25)
Di
fronte al male cè il bene e davanti alla morte la vita, così davanti al pio
cè il peccatore. Guarda così a tutte le opere dellAltissimo, due a due,
luna davanti allaltra " (33, 14-15)".
È la "sapienza"del due. Il due è il simbolo di conflitto e di opposizione,
ma anche di richiamo reciproco. Esso indica lequilibrio realizzato o le latenti
minacce. La più alta espressione di questa dualità, nel piano di Dio, è la
creazione delluomo e della donna, nel loro riconoscersi reciproco, come dono
luno per laltro: "Questa volta essa è carne della mia carne, osso
delle mie ossa" (Gn 2,23). Luno di fronte allaltro, vicini ma
distanti, uniti ma separati, divergenze convergenti.
A questa "sapienza" Dio affida un compito ben preciso:
"Per questo luomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e
i due saranno una sola carne" (Gn 2,24). Questa frase non termina con "avranno
tanti figli", come sarebbe stato logico in una società dove il figlio oltre che
essere un dono era una risorsa. Invece, laccento è posto sulla coppia,
dallunione dipende il cammino e la sua realizzazione.
Queste parole sono allo stesso tempo, un comando ed una profezia, oltre che un progetto di
vita. È il Creatore che chiede alluomo e alla donna la collaborazione per
realizzare il suo progetto. Riflettere sui termini significa comprendere la dinamicità e
la struttura portante dello specifico cammino di noi coniugi: "Lascerà
si
unirà
saranno".
Cè un abbandono, un separarsi dalla famiglia dorigine per promuovere
una nuova unione e incamminarsi verso una comunione di vita e damore; cè
un passato da cui veniamo per vivere intensamente un presente ed aprirci insieme ad un
futuro carico di speranza; siamo stati figli e forse lo siamo ancora, ma abbiamo scommesso
su una nuova relazione, e abbiamo aperto il nostro amore mettendoci a servizio della vita.
Questo progetto si è fatto carne, si è incarnato, si è reso visibile nel volto
dellaltro, il giorno del nostro matrimonio quando ci siamo detti: "Io,
prendo te come mio sposo/a e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia
vita".
È strana questa formula. Se poniamo attenzione ad essa non troviamo alcun riferimento
né a Dio, né a Gesù. Lattenzione è posta sulle due persone che liberamente vanno
verso laltare. Quel giorno ci siamo promessi di impegnarci in una relazione unica,
insostituibile, senza equivalenti. Ci siamo impegnati ad accogliere tutto laltro,
non una parte. Non quando tutto va bene, quando i rapporti sono distesi e gioiosi. Abbiamo
promesso di sposare gli alti e i bassi, i momenti di slancio e i momenti di pausa, gli
invecchiamenti e i rinnovamenti dellaltro. Come ogni cammino questo viaggio richiede
la fatica del procedere, del conoscersi e del crescere, del ricominciare e del rinnovarsi
nel "sì" detto una volta, per ribadirlo con spirito sempre nuovo anche quando
si vivono situazioni di prova o di sosta. Non ci promettiamo, dunque, di riuscire sempre,
di essere sempre scattanti e desiderabili, ma di impegnarci perché lamore cresca e
riesca.
Nella formula, inoltre, è insita unaltra scommessa. Ogni amore, ciascun amore,
questo amore, divengono sacramento. Gesù scende verso questa realtà per
assumerla. Nellamore umano sinnesta lamore di Dio per lumanità,
di Cristo per la sua Chiesa. E un sì degli sposi detto non solo al cospetto di
Cristo, ma a Cristo, ed è un sì di Cristo detto agli sposi. Il sì, detto, è un sì
detto a Dio e al suo progetto creativo originario sul matrimonio. E un sì detto
alla vocazione che Dio affida ai coniugi nella Chiesa e nel mondo, un sì al Dio della
vita.
È certo che vivere questo è difficile. A volte nella realtà gli scontri divengono
inevitabili, non siamo più alleati. Gli sguardi sembrano non incrociarsi più. A volte
siamo troppo occupati, affaccendati, non riusciamo a capire che lamore è
attenzione, comprensione, è dinamico come dinamica è ogni persona. In questa direzione
va lamara riflessione di un marito da poco lasciato dalla propria moglie:
"Mi ritiravo e tornavo a pensare ai miei affari. Che pazzo sono stato! Adesso
capisco che mia moglie non voleva che io le dessi consigli per affrontare le difficoltà
che incontrava a lavoro. Voleva la mia comprensione. Voleva che la ascoltassi, che le
prestassi attenzione, che le dimostrassi che capivo le sue difficoltà, lo stress che
accompagnava la sua giornata lavorativa, le pressioni cui era sottoposta. Voleva sapere
che la amavo e che ero con lei. Non voleva consigli; voleva solo che la comprendessi. Io,
invece, non ho mai cercato di comprenderla. Ero troppo occupato a darle consigli. Che
pazzo! E adesso lei se nè andata. Perché non riusciamo a capire queste cose mentre
le viviamo? Mentre accadevano, ero cieco. Solo adesso ho capito, ora che la ho
perduta".
Essere amore esige attenzione allaltro, a riconoscere risorse e fragilità, ci
impegna a parlargli con il cuore, assumendoci la responsabilità delle fragilità e della
crescita. Anche se lo ripetiamo continuamente ci resta difficoltoso incarnare
questo nei momenti della nostra vita quotidiana. In alcuni momenti siamo così affezionati
al nostro modo di pensare, alle nostre abitudini, alla nostra sensibilità e ai nostri
gusti, che abbiamo paura di cedere e di non ritrovarci più: "Devo fare sempre
quello che piace a lei/lui", "Cedi oggi, cedi domani e laltro se ne
approfitta,"
Non riusciamo a vedere la bellezza del percorso fatto
insieme, le negatività e i litigi ci accecano.
In questo momento di "non bellezza", di "difficoltà", siamo chiamati
a ridare forza al nostro amore, convinti che lamore del Padre è capace di ridonare
una nuova possibilità di testimoniare lamore e la fedeltà. I coniugi cristiani,
quindi, non godono di sconti o privilegi, vivono i conflitti, le piccole o grandi
disattenzioni che portano a turbamenti e insofferenze progressive.
Lumiltà diviene il terreno dove può crescere lalbero della carità:
"paziente, benigna, che non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca
di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male
ricevuto, non gode dellingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto
crede, tutto spera, tutto sopporta". (1 Cor 13,4-7).
La conversione degli sguardi: guardare con gli occhi di Dio
Tutto questo è possibile quando i nostri sguardi sono protesi verso linfinita
tenerezza di Dio e si aprono ad essa nella realtà concreta. Non possiamo avere la pretesa
di eliminare i contrasti e i differenti punti di vista, ma possiamo aiutarci a plasmare le
nostre "crisi" in momenti di crescita e di maturazione reciproca. La tenerezza,
quindi, non è un sentimento o un semplice moto dellanimo, ma è un atteggiamento
preciso, che implica decisione e maturità. La tenerezza è tenace, resistente, capace di
tenere e trattenere, di imprimere e di toccare, di sostenere e accarezzare, non è
opprimente, fa sentire laltro desiderato e desiderabile, lo rende un valore senza il
quale la nostra esistenza risulta vuota. Dio chiede, quindi, ad ognuno di noi, ad ogni
coppia, allinterno della nostra famiglia di guardare con i suoi occhi. Ci
chiede di non fermarci a guardare come nella parabola del Figlio Prodigo (o del Padre
misericordioso), con gli occhi del figlio maggiore: "Ora che questo tuo figlio che
ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello
grasso." (Lc 15,30); ma di passare dalla parte del Padre. I suoi gesti sono
intrisi di profonda tenerezza; labbraccio e i baci continui sono segni di perdono e
riconciliazione. Il Padre tratta il figlio da eguale, non da schiavo o inferiore. Il
perdono è un dono maggiore: "Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e
facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed
è stato ritrovato." (Lc 15,23-24). Il Padre è pieno di compassione, la
sua non è pietà. Sembrano due parole simili, quasi sinonimi, ma in realtà sono diverse.
"La pietà, afferma la teologa Lilia Sebastiani, "è distante, la
compassione è vicina; la pietà è paternalistica, la compassione è fraterna e
"sororale"; la pietà è sottilmente superba e paga di sé, la compassione è
cosciente e solidale in modo illimitato; pietà significa chinarsi su qualcuno
dallalto della propria rispettabilità, delle proprie sicurezze e del fatto che
comunque non si è personalmente toccati dalla sua miseria, mentre compassione significa
aprire il cuore, accogliere laltro dentro di sé, riconoscere nelle sue sofferenze
le proprie".
Comprendere fino in fondo quanto detto è sentirci figli di un amore che si è
donato fino in fondo. Donarci fino in fondo e senza riserve, è rispondere ad
un Dio che ha amato tanto il mondo, da dare il proprio figlio e rinnovare la propria
fedeltà. La Croce, strumento orrendo e degradante di supplizio, subisce una
trasfigurazione. Il legno di morte è diventato lalbero della vita. Lo strumento
della degradazione è divenuto il luogo della manifestazione della gloria. Gesù
sfigurato, la faccia intrisa del suo sangue, delle sue lacrime e dei nostri sputi, diventa
il simbolo di un amore più forte della morte. La Croce ci rivela la verità del Padre,
che ci ha amati fino a consegnarci suo figlio, ma nello stesso tempo ci rivela la verità
del Figlio, che ci ha amati fino allestremo nella sua obbedienza filiale al Padre.
Il colpo di lancia diviene una freccia in movimento che indica la direzione
in cui il fedele deve guardare. Il sangue e lacqua, che sgorgano dalla ferita, sono
segni di vita, indizi evidenti della fecondità di quanto accaduto. Paradossalmente nel
momento di maggiore sofferenza Gesù ci fa rivivere, ci ridà la vita, ci dà la
possibilità di rivedere il volto glorioso della vittoria. Quella che Gesù ci apre è la
strada della speranza: siamo amati nella nostra debolezza e finitezza. La vita umana che
ha origine da Dio è da Lui sostenuta con lo stesso amore con cui è stata creata.
La fedeltà diviene, quindi, scuola di umiltà, spazio lasciato ad un Altro. Nella nostra
relazione Dio è vicino. Il Dio cristiano è il Dio fedele. È un Dio che è pronto a
scommettere di nuovo anche quando umanamente tutto sembra perduto. Non abbandona il suo
popolo, lo cinge daffetto e di tenerezza. Egli è un Dio, innamorato follemente di
noi. Anche quando non lo percepiamo e non lo comprendiamo, ci protegge e ci sostiene con
il suo amore, la sua tenerezza, la sua comprensione.
Questo cinvita a riflettere sulla dinamicità della fedeltà, come dinamica è la
persona. La fedeltà, perciò, è continuamente rinnovabile, non conosce la
passività e la ripetitività, la pigrizia e lacquiescenza. Non è promessa ad un
momento più o meno distante, ma ad una persona. Promettendo fedeltà scommettiamo sul
tempo. Esso diviene mezzo per crescere, maturare e costruire. Ogni grande opera richiede
tempo. Tuttavia, nel nostro contesto attuale si fa del tutto per ammazzarlo o per
riempirlo al massimo: cultura della fretta, dellimmediato, della quantità. Il tempo
dellamore e della fedeltà è un tempo più affine a quello del giardiniere. Egli sa
attendere, conosce la pazienza. "Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore una
pietra dopo laltra alto arriverai", recita il cantico di S. Damiano.
Il giardiniere inoltre sa individuare il momento favorevole ad ogni operazione. Non a
caso il Vangelo lo cita come esempio, unitamente al vignaiolo. È commovente un amore che
sboccia, ma come non riconoscere la bellezza di un amore che ha sostenuto il peso
eccezionale della realtà? Lamore sa fare del tempo un alleato.
La fedeltà, quindi, si apre costantemente alla speranza, è contemporaneamente stabilità
e rottura, sicurezza e rischio. Non si chiude in un ambito ristretto ma si apre verso una
durata senza scadenze. Come coppie siamo chiamati a testimoniare lapparente
inutilità dellamore. Esso sembra inutile, perché non si può quantificare, non si
pesa, rientra in una logica totalmente diversa da quella portata avanti dal pensiero
odierno. Chi ama non è indifferente, ma disponibile ad aprirsi allaltro, non ha
paura di rischiare e di impegnarsi per timore di perdersi. Lamore alimenta la
speranza, rifiuta di lasciarsi rinchiudere nella sua privatezza e ha imparato a guardare
lontano.
Lessere porta diviene il segno distintivo della coppia cristiana. Due sono i
movimenti della porta: chiusura ed apertura.
La porta preserva lintimità, fa da scudo alle intemperie, protegge. I coniugi se
vogliono effettivamente essere segno dellamore di Cristo per la sua Chiesa, devono
prima di tutto crescere nel loro amore, in un reciproco e totale dono di sé. E
veramente importante che la coppia trovi, spazio, tempo e desiderio per una condivisione
profonda: essere coppia è un dono che va custodito.
Ma daltra parte la porta si apre ad una condivisione più ampia. Essere fino in
fondo coppia, significa anche essere con gli altri e per gli altri imparando a giocare la
propria esistenza personale e coniugale per gli altri. I coniugi non vivono la carità
coniugale chiudendosi nel proprio mondo, ma operando dentro le realtà temporali. La
santità non è da ricercare altrove o nonostante, ma proprio dentro e attraverso la vita
coniugale.
In questo cammino il Signore si fa compagno di viaggio come ha fatto con i pellegrini di
Emmaus. Li ha aiutati a rileggere i fatti alla luce della Parola di Dio, donando loro
speranza. Si è seduto a tavola con loro e con loro ha spezzato il pane. Così vuole fare
con ogni coppia. Tocca a noi invitarlo alla nostra mensa.
Per la riflessione: