3° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a Vallà
01 Dicembre 2002

Le crisi di coppia: evento fallimentare od occasione di crescita?
Le attenzioni pastorali verso le coppie in genere e con le coppie in difficoltà

Relatore: Padre Giulio Catozzo
Nel mio intervento non rivolgerò la mia attenzione verso le coppie in genere perché non sono particolarmente competente: sono prete e frate, e non sposato con competenza specifica di cammino di coppia.
Tenterò invece di dare qualche traccia sugli aspetti che possono disturbare la coppia, che possono ritardarne la crescita o determinarne la crisi, e come poi riuscire a trasformare questa crisi, queste incomprensioni, questa non comunicazione in possibilità di crescita, in possibilità di maggiore intendimento.
In modo particolare parlerò sulla comunicazione proprio perché normalmente le coppie non vanno in crisi per valori di fede, qualche volta per dei valori, invece il più delle volte perché non c'è una buona comunicazione. Può succedere che si vada in crisi proprio per una non conoscenza dei valori, soprattutto per una misconoscenza dei valori dell'altro/a, ma non è molto frequente.
Una prima premessa che faccio è che noi siamo abituati, se non stiamo attenti, a essere frantumati. Le persone, in questo momento che stiamo vivendo, sono abbastanza nevrotiche e diventa difficile arrivare ad una sintesi della propria vita. Semmai questa sintesi arriva verso i 45/50 anni, prima però la persona subisce questa frantumazione nella società post moderna.
Un tempo c'era un tessuto connettivo sociale che teneva. Già il fatto di nascere in un paese conosciuti da tutti, di frequentare il catechismo in paese, la scuola nello stesso paese, il lavoro nello stesso paese, la fidanzata dello stesso paese, il matrimonio, gli amici, fino alla morte e al cimitero che circondava la chiesa. Oggi invece ci troviamo a nascere da una parte, ad abitare in un altro paese, si va a scuola a 20 km. da un’altra parte ancora, (e siamo fortunati se la scuola non è contro la famiglia e la famiglia contro la scuola) andiamo a lavorare a 40 km. verso un'altra direzione, gli amici li abbiamo a 30 km. ad Est, andiamo all'ospedale ad Ovest, ecc.
C’è una grande dispersione. I partiti contro la chiesa, la chiesa contro i partiti, praticamente non c'è più niente di connettivo che ci aiuti a fare sintesi, a fare unità nella nostra vita per cui è logico che ci si trova, volere o no, frantumati.
Capita allora che questa frantumazione esterna del tessuto connettivo sociale porta anche ad una frantumazione interna per cui non so mai chi sono. Al lavoro sono una persona, con gli amici sono un'altra persona, in famiglia un'altra, a scuola un'altra ancora. Alla fine non riesco più a ricompormi nella mia unità esistenziale, e più sono disperso, più mi trovo che penso una cosa e ne posso affermare un'altra, perché non si può sempre pensare ad alta voce, e nel profondo del mio essere coltivo un altro desiderio ancora. Succede così che ci troviamo soli ed è logico che, portando a casa tutte queste nevrosi, queste nevrastenie, esse si ripercuoteranno in una mega incomprensione all'interno della famiglia.
Non dico che le crisi di coppia siano attribuibili alla società al 100% però è logico che la società in cui viviamo non facilita affatto, semmai ritarda e a volte impedisce la vita di coppia.

Una seconda premessa sta proprio nella difficoltà di comunicare in modo vero e profondo: di pancia. Porto l’esempio della moglie che al sabato pomeriggio dice al marito: "Va a pagare la bolletta del telefono, ritira le scarpe del bambino, va dal parroco per che ci ha mandato un avviso, in macelleria a comprare le bistecche, …" Il povero uomo esce alle tre del pomeriggio e alle sei non è ancora tornato; quando ritorna la moglie lo investe: "Ma dove sei stato tutto questo tempo?" E il marito di rimando: "Ma come!? Mi hai fatto fare cento commissioni: dal parroco, dal calzolaio, dal macellaio, dal diavolo e peggio! Questo è il tempo che ci ho messo!"
È stata una comunicazione di superficie perché la sensazione profonda che la moglie voleva invece trasmettere era: "Sono sempre sola tutta la settimana e mi tocca essere sola anche al sabato." Se questa comunicazione di pancia della moglie riceve una risposta di superficie da parte del marito, o il contrario, è logico che la comunicazione non avviene e rimangono tutti e due frustrati.
Oltre a questo, nel comunicare, noi usiamo delle maschere, abbiamo dei ruoli da difendere. Pensate all'importanza che la nostra società dà ai ruoli e come è difficile spogliarsi, liberarsi dalla facciata che gli altri vogliono che ci portiamo addosso. In questa società sono stato educato ad usare delle difese, sono costretto a viaggiare sempre con qualche difesa in mano. La società d’oggi non ammette feriti e guai a chi molla, a chi si ferma. Il nostro mondo oggi permette malti di cuore, malati di tumore, ma non permette feriti per la strada, persone stanche, persone deboli. Non lo si può neppure dire ad alta voce che si è stanchi, che si è preoccupati, che si hanno certe emozioni in pancia che ci disturbano. Mi si costringe a camminare sempre eretto, non posso mai rilasciarmi. Addirittura io stesso uso la frusta su di me, perché mi sento obbligato a rispondere ad una certa immagine di me che gli altri mi chiedono di avere. Così, se a volte non ce la faccio, mi percuoto, e se non lo faccio io ci si mettono anche gli altri a convincermi: ma dai sforzati, impegnati, ma perché non reagisci.
Pochi giorni fa il padre di un mio cugino piangeva per la morte del figlio e i suoi amici gli dicevano: "Non eravamo d'accordo così! Non devi piangere! Altrimenti che uomo sei se piangi?" Non puoi permetterti di lasciarti andare, devi sempre tenere su quel certo linguaggio, quella certa facciata.
Oggi sembra che non ci si possa permettere di essere una persona vulnerabile, però mantenere questa facciata per conservare la propria dignità ha un costo. In fondo non si riesce più a riflettere sui propri problemi esistenziali e nessuno gradisce di venirne a conoscenza: si parla solo di lavoro, di divertimento, di politica,…ma noi non siamo fatti esclusivamente per il lavoro, per la compagnia, per il divertimento.
Noi siamo fatti soprattutto di problemi esistenziali e questi ci portano ad imporre a noi stessi degli atteggiamenti che coprono e nascondono questi problemi. Siccome ho una certa immagine di me, magari di inferiorità, ho sempre bisogno di camminare a testa alta. Ma il problema non è quello di camminare a testa alta, invece è che io ho un'immagine non qualificabile di me e per la mia insicurezza, per quel senso di inferiorità che mi porto dietro dalla nascita, proprio per non sentirmi inferiore, costruirò degli imperi, dei deliri di potenza tipo qui comando io!, tipo alzar la voce, tipo farmi vedere che sono più bravo degli altri. C'è tutto un impianto che sa appunto di insicurezza che io non voglio riconoscere o faccio fatica a riconoscere e comunque non voglio accettare. Che cosa capita allora?
Se osservate nella comunicazione c'è sempre un emittente e un ricevente. Sembra che il meccanismo sia facilissimo: l'emittente emette una comunicazione e il ricevente la riceva dall’altra parte. In realtà questo avviene rarissime volte perché la comunicazione è quasi sempre disturbata, ed è disturbata da una realtà di pancia che io ho e dalla realtà di pancia di un altro, di colui che è il ricevente. Ad esempio io chiedo correttamente: "Che ore sono?", e voi mi rispondete: "Sono le tre e dieci". Questa è una comunicazione diretta, non è capitato nulla a disturbarla. Ma se voi mi chiedete "Che ore sono?" e io rispondo:"Ma siete voi che non siete puntuali non io!" che cosa è capitato? È successo che voi mi avete chiesto semplicemente l’ora mentre io vi ho risposto, di pancia, come fossi stato accusato di non puntualità. È capitato che questa emissione di voce è andata a colpire la mia pancia, cioè tutti quei problemi che mi porto dietro fin dall'inizio della mia vita.
Vi racconto di me ma ognuno di voi ha questa pancia, questo bagaglio che si porta dietro. Mio fratello ha 2 anni e mezzo più di me e, non ricordo se fin dall'asilo, ma sicuramente da quando ho cominciato ad andare a scuola tutti dicevano: "Ah! Sei il fratello di Antonio." Non mi chiamavano Giulio! E mi dicevano anche: "Vedremo se sarai bravo come lui!" Voi capite che di questo Antonio io non ne potevo più e la mia aggressività nei suoi confronti era scatenata perché non ero accolto come Giulio ma come il fratello di Antonio. Ricordo con un senso di fierezza quando, cresciuto un po’, sono riuscito a buttarlo sotto la bicicletta. È stato quasi un senso di trionfo, avevo allora 7 anni. La mia pancia è fatta della presenza di mia fratello Antonio e questo me lo porterò sempre dietro. Quando qualcuno che mi paragona ad un altro è logico che la mia pancia freme. Quando mi sento fragile, debole, non consapevole della mia pancia diventerò competitivo, conflittuale, mi sarà proprio difficile collaborare con i miei fratelli o con quelli che io considero i miei fratelli. Mi sarà difficile per esempio accettare, quando non sono consapevole di questa mia pancia, un parere diverso dal mio quando vedo che la persona che mi sta davanti è superiore a me.
Come posso arrivare a conoscere questa mia pancia, questo profondo, queste emozioni che provo? La pancia reagisce per qualsiasi motivo, anche il più banale se mi risuona come un rimprovero. Se invece incomincio a riconoscere e quindi a far pace con quello che mi è capitato un tempo non avrò più le stesse forti reazioni. Ma fino a quando non ho la consapevolezza di quello che mi è capitato, di dare un nome alle cose, la mia pancia vibrerà senza che io me ne accorga.
Continuo a parlare di me ma nello stesso tempo parlo anche di voi. Nel gruppo di amici, se io ho un senso di inferiorità, capita che non mi va più bene di essere uguale agli altri, uno del cerchio ma la mia tentazione constante sarà quella di occupare il centro del cerchio e quindi di attirare l'attenzione su di me. Ma neppure in questo caso mi sentirò appagato, o meglio mi sentirò bene fino ad un certo punto. Però per occupare il centro ring io devo fare tutta una lotta e, una volta che ho occupato il centro ring, ho bisogno di attenzione. L’attenzione la ricerco in tantissimi modi, leciti e meno leciti: mettendo la minigonna, cambiando pettinatura, giocando a carte, bevendo più degli altri, … Tutti modi per attirare l'attenzione.
Notate che quando c'è una relazione, e la relazione esiste sempre quando si è in due in un posto, c'è sempre la tentazione di stabilire chi comanda. Chi ha figli per esempio sa che se il primo figlio suona il pianoforte il secondo, che vede che il fratello è bravo in pianoforte, non sceglierà il pianoforte ma la chitarra e il terzo il violino.
Cioè ognuno di noi ha bisogno di una propria distinzione, di un proprio territorio.
Ritornando all’esempio del centro ring, gli altri miei amici possono accettare per un po’ che io stia al centro ma poi mi arriva qualche colpo, qualche tiro mancino. Però io mi sono messo al centro perché non ho una buona stima di me e ho bisogno di conferme, ho sempre bisogno che qualcuno mi dica bravo e non mi basta mai. Perciò continuerò a chiedere: "Siete contenti che io sia qui? Cosa ne dite?". Cioè ho bisogno di continui rimandi, di continue conferme, sono come un secchio senza fondo, non mi basta mai l'attenzione e l'amore. Quando avrò accanto mia moglie/marito, non sarà tanto mia moglie o mio marito, ma mia mamma che preferiva mio fratello Antonio per cui dirò al partner: "Non mi dici mai che mi ami, che mi stimi, possibile che te lo debbo sempre chiedere io?" Però quando si occupa il centro c'è sempre qualcuno sferra qualche colpo e, se io soffro di inferiorità, sarò portato scappare all’esterno, a fare il broncio, a dire: "Te la faccio pagare!".
Non è così pacifico stare fuori dal gruppo perciò verso il gruppo userò aggressività. Mi avete eliminato? Adesso ve la faccio pagare! Non parlo! Ti accorgerai chi sono! Ho mal di testa! Sono tutti modi per dire che non c’è stata l’attenzione che mi aspettavo. Sentirsi rifiutati, non riconosciuti, non amati, non apprezzati, non stimati, non fa bene a nessuno per cui è logico che in qualche modo si risponde con l'aggressività e si cerca di ferire. E siccome conosco bene i tuoi punti deboli, se ho voglia farti soffrire ti faccio soffrire davvero.
Poi capita che qualcuno del gruppo si muove e viene a recuperarmi, mi da un rimando di stima e io ritorno nel gruppo. Se però il problema è mio, me ne starò buono per una settimana ma alla fine ritorna a galla quel mio fratello Antonio o quella mia sorella Luigina.
Anche nell'educare i figli quante espressioni si riferiscono a questa situazione: "Non voglio che i miei figli patiscano quello che ho patito io!". Si tratta di comunicazione di pancia perché qui c'è stata una ferita, una sofferenza.
Le signore presenti hanno l'esempio concreto di che cosa vuol dire essere mamme e sanno che cosa capita ad ogni bambino fin dal seno materno. Nel grembo della mamma il bimbo si fa sentire e si aspetta inconsapevolmente che qualcuno gli faccia festa. Quando si fa sentire, quando scalcia la mamma lo può accarezzare, gli può parlare ma può capitare anche, come spesso capita, che la mamma sia nervosa per cui invece di accarezzarlo gli dica seccamente: "E sta buono! Sta fermo!".
Il bambino percepisce che di fuori del grembo materno l’ambiente è ostile e alla fine ho preferisce addirittura di rimandare la nascita.
Quando bisogno, quanta fame rimasta di sentirci accolti, apprezzati, amati ci portiamo ancora fin dai primi giorni di vita! Quanta fame di latte materno anche se di latte ce n’era in abbondanza! Si rimane con l'impressione di aver succhiato poco latte. Questo non è razionale, è emotivo. Che significa per una persona avere l'impressione di aver succhiato poco latte? Avrà sempre fame, non tanto di cibo ma di affetto, di riconoscimento, di stima, di apprezzamento per cui nascono tante incomprensioni di coppia per le ferite dell'amore infantile. Questo capita a tutti, chi più chi meno.
Studiando l'Iliade di Omero abbiamo imparato che la madre dell'eroe Achille voleva renderlo immortale e, appena nato, lo immerse nelle acque del fiume Stige ma, per non lasciarlo cadere in acqua ed annegare, lo tenne per un tallone, unica parte del corpo che rimase vulnerabile. Achille infatti verrà ferito al tallone. Una mamma, per quanto sia premurosa, protettiva, non riuscirà mai a dare tutto ciò che il figlio si aspetta. Per questo noi siamo tutti feriti nell'amore, abbiamo un desiderio infinito che nessuno può ricompensare a meno che non entriamo nel discorso cristiano. Solo lì possiamo dire: "Di te ha sete l'anima mia, solo Tu puoi riempire ogni mio desiderio". Proprio perché l'infinito amore di cui abbiamo bisogno viene soddisfatto da una fonte infinita che è Dio.
Tutti siamo feriti nell'amore per cui ogni bambino si aspettava di essere amato e questo bisogno di affetto che non arrivato, di cui se ne sentiva il diritto, ha procurato tanta rabbia dentro il bambino che morde il capezzolo della mamma o graffia e prende per i capelli la sorellina. E quando questa aggressività, questa rabbia si è provato ad esprimerla ci è arrivato un contraccolpo addirittura più forte. Quando è nata la mia sorellina la mamma mi diceva di farle una carezza e io, buono, facevo la carezza, ma appena lei si girava arrivava il pizzicotto. La mamma per una volta stava ferma, la seconda mi rimproverava e la terza volta mi dava del cattivo. Ma perché ero cattivo? Avevo solo espresso la mia rabbia perché mi avevano occupato il posto, me lo avevano rubato gli altri e addirittura io avevo fatto delle rimostranze e mi dissero che ero cattivo!
Don Bosco, quando vedeva un ragazzino arrabbiato, lo mandava a confessarsi. Che confusione! Tutta la rabbia che mi porto dentro è giustificabile perché c'è stato quel mio fratello Antonio, perché c'è stata quella mia sorella Lina!
Allora il problema sta qui: prenderne consapevolezza anche se le cose non sono così semplici, perché tutte le mie reazioni passano sempre attraverso la mia pancia e vanno a toccare la pancia dell'altro.
Le donne sono migliori di noi uomini per cogliere gli aspetti di pancia perché intuiscono prima. Intuire è una parola latina che dice intus ire = andare dentro. Le donne hanno molta più intuizione di noi, pensate alle mamme che hanno la capacità di intuire, appena dopo una settima che è nato un bambino, se il pianto è da fame, dar mal di pancia o da sonno.
Gli adulti razionalizzano, diventano razionali però nel profondo c'è sempre l’eco del latte non succhiato del quale occorre prendere consapevolezza. Questa mia pancia ferita è un problema mio, non di mia moglie o di altri. Il fatto che io sia competitivo e voglia comandare è una ferita mia che ho alle spalle non è un problema di coppia. Le radici di molte crisi di coppia, non di tutte naturalmente, hanno proprio le radici su questa pancia, su questa ferita, su queste esigenze che ognuno si porta dentro e che non vengono riconosciute. Per quanto una coppia voglia comunicare finché le due persone non hanno fatto un buon lavoro, su se stesse ed insieme, dicendosi le sofferenze di fondo che si portano dietro fin dall’infanzia o dall’adolescenza non ci potrà essere un vero dialogo, una vera intesa. Senza tuttavia arrivare a sciocche esagerazioni. Se si vede che il gatto muove la coda vuol dire che ha problemi! Sarebbe troppo superficiale!
La coppia attraversa nella sua vita tante difficoltà. Ad esempio è facilissimo far l'amore i primi tempi, incomincia a diventare complicato quando ci si chiede il vero senso che ha per ciascuno dei due. Ci si chiede: che cosa hai in pancia? Prova a denudarti, a spogliarti. Spesso ritorniamo a quelle difese, a quegli scudi, a quelle corazze che abbiamo dovuto metterci e che faccio fatica ad abbassare. Faccio fatica a spogliarmi, ad aprire la camicia tanto più perché da piccolo io ho fatto l'esperienza che quando apro la camicia e mostro la pancia c'è qualcuno che ne approfitta per ferirmi. Non vengo capito. Nasce allora l’interrogativo: questa persona che mi sta di fronte chi è? se io mi scopro la pancia mi capirà oppure mi giudicherà, o addirittura mi ferirà, o mi prenderà in giro? Dopo alcuni anni di matrimonio nasce l’esigenza di questo tipo di comunicazione e se noi non abbiamo la fortuna di entrare dentro la pancia per comunicare con il partner perché ci vergogniamo, perché abbiamo paura non ci sarà il vero affidarsi. Ci sono persone che non ammettono neanche di avere mal di testa, meno che mai di aver sbagliato. A questo punto il vero problema non è tanto quello di stabilire chi ha sbagliato ma di abbassare la corazza, gli scudi. E non si abbasseranno quando si mangia la torta assieme né quando il figlio va male a scuola e neppure quando facciamo l'amore. Nascono quelle che superficialmente vengono chiamate incomprensioni.
Se io non faccio pace con mio fratello Antonio o con tutti coloro che assomigliano a mio fratello Antonio difficilmente entrerò in relazione con gli altri; la guerra non sta fuori di me ma sta dentro di me. Fare pace non significa succhiare il latte che non ho succhiato da bambino, è inutile che pretenda di succhiarlo adesso che non c'è più. L'amore che non ho ricevuto da bambino, la stima che non mi hanno dato i miei genitori me la devo procurare da adulto. È vero che oggi non c'è più il latte però c'è il pane, la pastasciutta, la carne, la verdura; cioè io mi posso rifare un archivio attuale d’affetto, di stima, ecc. Con un altro esempio ognuno di noi ha un archivio dove abbiamo archiviato tutte le nostre carte dal momento della nascita in poi ed è logico che, quando sento il bisogno di latte, vado a cercare nei miei primi anni di vita. Però non la troverò quella carta o la troverò tutta deturpata e se io mi incaponisco di andare sempre in cerca di quello che mi è capitato divento nevrotico.
Invece oggi mi posso rifare un archivio molto buono. Capita spesso che l'amore di mia moglie mi abbia aiutato a guarire alcune ferite di affetto e la comprensione di mio marito mi ha fatto sentire accettata per quello che sono. Questo mi aiuta a colmare alcune ferite, mi aiuta a prendere consapevolezza del mio vissuto.

REPLICA
Ho parlato oggi della comunicazione, della crisi di coppia sotto l’aspetto della comunicazione, quindi sotto l’aspetto psicologico e psicoterapeutico. Ma non è tutta qui la realtà di coppia, sarebbe come ridurre il prete o il frate a come predica, è solo un aspetto. Come pure mi pongo davanti a voi come uno che non è sposato, che vede la realtà dall’esterno, che se ne intende poco se non attraverso libri o in confessionale.
Sollecitato dai vostri interventi mi interessava sottolineare alcune cose.
Uno tra i valori fondanti la coppia è la comunione non tanto la comunicazione e quindi faccio presente l’aspetto appunto della preghiera e della fede. È verissimo, occorre diventare capaci di preghiera, dico di preghiera e non di preghiere. Dire l'Ave Maria assieme è una preghiera, fa parte delle preghiere, per diventare invece capaci di preghiera e di pregare assieme tra marito e moglie vuol dire essere nudi spogli di fronte a sé, all’altro e di fronte a Dio altrimenti ci imbrogliamo e chiamiamo testimone del nostro imbroglio anche Dio. Più puri siamo, nel senso di più purificati siamo, più in pace con noi stessi, più riconosciamo all’altro il suo posto, più ci conosciamo.
Comunicare è molto più superficiale che non fare la comunione. Comunicare vuol dire anche far l'amore. È diverso ad esempio fare la comunione e fare comunione con Dio soprattutto interagendo come coppia. Ci vuole un cammino di coppia fatto di fede perché non è che possiamo aspettare di essere perfetti per pregare.
Il cammino di fede è fatto di tentativi, però va in parallelo con tutto questo cammino di ascolto di se, di purificazione, di accettazione, di riconciliazione altrimenti continuiamo a dire preghiere, anche se dette assieme, senza però entrare in relazione profonda, per esempio, circa la propria vocazione di coppia. È logico che la si scopre così, pregando, ma pregando da persone sane, che riflettono sul disegno che Dio ha della loro coppia. È logico che questo traguardo viene raggiunto adagio adagio, però viene raggiunto con delle premesse, e se mancano queste premesse difficilmente si arriva ad una vocazione di coppia.
Qualcuno ha accennato anche ai rapporti sessuali.
Il problema dal mio punto di vista non è tanto di possibilità sessuali o genitali, il problema è molto più profondo. Voi che lo vivete in prima persona sentite che non è un problema tecnico, ma che è realmente difficile fare l'amore, un amore appunto che soddisfi pienamente una comunione. È logico che il primo a risentirne di una cattiva comunicazione o di una comunione impropria è proprio il gesto affettuoso e affettivo, a meno che uno non imbrogli, però l'altro se ne accorge subito. Ci si accorge subito quando il partner è disturbato. Non è il problema sessuale che rompe la coppia. Questa è una lettura di superficie, è molto più comodo dire non andavano d'accordo a far l'amore, perché è il primo aspetto che ne risente di una cattiva consapevolezza o di una comunione che non c'è. È la prima cosa che viene appannata.
Viene comodo per le riviste trattare il problema sessuale come fosse un fatto specifico ma non è assolutamente un fatto specifico, è un fatto che interagisce di pancia, forse il più profondo di pancia che esiste.
Non occorre mica farsi psicanalizzare, la maggior parte degli uomini e delle donne sono persone con i propri limiti che hanno bisogno solo di un po’ di lifting, di far la doccia. Portavo prima l'esempio del gatto per dire che un buon partner aiuta l'altro a crescere senza dover ricorrere a chissà quali terapie di coppia.
È logico che se lo fa in una maniera di superficie non si va lontano. Quando siete soli e che avete bisogno di parlarvi non parlate dell'Inter o della Juve, non parlate soltanto dei figli, dei problemi che stanno al di fuori di voi.
Il problema è come posso non scappare da me mentre gran parte della realtà oggi mi aiuta a scappare da me, perfino dal mio corpo, e non mi aiuta a far pace anzi mi sollecita a entrare in guerra con il mio corpo attraverso questa campagna subdola che mi vuol convincere che le mie gambe non sono quelle della Naomi.
Il partner ha il ministero, così sacro, che può esercitare nel fatto di aiutarmi senza giudicare, nell’accettarmi così come sono.
Il fidanzamento in fondo è un tempo in cui si gioca, poi una persona si sposa e nei primi anni si gioca a fare lo sposo e la sposa, arriva il primo figlio e lì ci accorge che c'è qualcosa di nuovo. Quando si comincia, appena sposati, si è amici non si è ancora totalmente sposati, poi capita a un certo punto della vita di dire: sposo te e non sposo l'ideale di te, quello che io avrei voluto che tu fossi.
Qui incomincia davvero il cammino di coppia, ma finché non capita questo "sposo te" e non l'ideale di te, non faccio pace con i miei desideri frustrati.
Quanti desideri frustrati ci sono in un matrimonio! Faccio pace con tutto ciò che avrei voluto! Un uomo alto, occhi azzurri, biondo e alla fine mi trovo uno con gli occhi verdi… Invece quando sposo Luigi con i suoi limiti, comincia a nascere questa complicità. Prima difficilmente c'è, o c'è solo in parte.
Il partner mi deve fare da specchio, ma allora vuol dire che mi aiuta a non scappare, mi aiuta a scendere in profondità per imparare a comunicare meglio.
Il momento della preghiera è il momento più intimo in cui uno è spoglio perché Dio non lo si imbroglia, e lì si impara a non imbrogliare se stessi e a non imbrogliare neppure il partner.