2° Incontro dei GRUPPI FAMIGLIA a Pederobba (TV)
03 Dicembre 2000

CRISI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA
Analisi dei motivi e dinamiche di prevenzione e sostegno

dottor GianAntonio Dei Tos
La parola crisi è una parola che non invita alla gioia. Normalmente nel nostro vocabolario ha una connotazione negativa, è sinonimo di perdita di orientamento, di inquietudine, di negatività, di depressione.
La crisi la vediamo in genere in questa prospettiva, però questo radicale pessimismo che porta con sé la parola crisi nel nostro uso quotidiano in realtà non è così nella sua origine semantica. Questa parola deriva dal greco ed ha un senso profondamente diverso, ossia significa decidere, distinguere, scegliere.

Cos'è la crisi
Crisi dunque non è un qualcosa di negativo ma è il momento in cui si deve passare all’azione. È il momento in cui si constata la difficoltà e si prende una decisione. Anche in medicina, quando si parla di crisi, si intende in senso positivo: la crisi della malattia è il momento in cui si supera la fase negativa e si va verso la guarigione.
Anche noi cerchiamo oggi di vedere questo tema sotto una luce positiva, non con lo sguardo pessimistico di chi dice che ormai la società si sta distruggendo, che non abbiamo più identità, che la famiglia è frantumata, che la chiesa è dispersa, che i valori non esistono più e stiamo andando verso la fine di una esperienza culturale e di fede.
Credo che questo atteggiamento non sia rispettoso di questo tempo e soprattutto non ci aiuti a trovare una strada da percorrere insieme. Non bisogna mai maledire il nostro tempo perché ogni tempo ha le sue difficoltà ma anche i suoi valori. Non siamo né più buoni né più cattivi dei nostri genitori, nonni, antenati.
In passato coloro che ci hanno preceduto hanno avuto i loro problemi né peggiori né migliori dei nostri. Oggi però tocca a noi affrontarli con la stessa fede con la quale i nostri antenati hanno vissuto i loro problemi, armati di fiducia e non di pessimismo.
Abbiamo motivo di credere che le difficoltà fanno parte della vita perché non esiste la vita senza difficoltà, e come in ogni momento storico anche nel nostro ci sono soluzioni possibili ai nostri problemi.
Dire che la coppia e la famiglia è in crisi è una constatazione che tutti fanno ed è abbastanza scontata. Ora noi cercheremo di osservare questa nostra crisi per poi vedere se è possibile intravedere germogli di vita nuova che stanno crescendo e già si possono scorgere dentro la nostra società.

La frantumazione della coppia
Il primo elemento che balza agli occhi della vita di famiglia è oggi la frantumazione della vita di coppia.
Nelle giovani coppie, nei primi 8 anni della loro vita matrimoniale, circa il 20% va incontro ad una grave crisi di identità e di queste la metà si separa. Questo vale anche per i fidanzati cristiani che si sposano in chiesa perché il matrimonio religioso non garantisce da questo punto di vista.
Se si va nelle aree urbane (una recente statistica in Diocesi di Verona) il dato è agghiacciante, si parla del 66% delle coppie che si separano, ossia 2 su 3. Ed è un trend che va a salire.
Nei prossimi anni dobbiamo aspettarci che le separazioni aumenteranno e che nella scuola aumenteranno sempre di più i bambini dei separati e divorziati. Un tempo erano quasi una eccezione questi bambini, oggi sono una bella fetta della classe.
Certo è difficile parlare di famiglia in un contesto in cui questa si sta sgretolando, anche se la nostra realtà nazionale è una realtà dove la famiglia ha ancora un ruolo importante.
Ma se usciamo dall’alveo italiano o dell’Europa Latina, mediterranea e andiamo verso il Nord Europa, oppure negli Stati Uniti, in quei paesi la famiglia (nel senso che intendiamo noi) è quasi scomparsa. Non ha i tempi, i ritmi, le tendenze delle nostre famiglie.

Sempre meno tempo
Il tempo
dentro la famiglia si sta sempre più contraendo. La maggior parte del tempo della nostra giornata è fuori della famiglia. Questa è la situazione di chi lavora.
Se poi sono inseriti nel mondo del lavoro sia il papà che la mamma le case diventano sempre più deserte. Lo sanno anche i preti quando vanno a benedire le case, se ci vanno nel pomeriggio forse trovano i bambini con la baby sitter. La casa si ripopola per cena, ma poiché si torna tardi dal lavoro, si cena tardi.
Alle 9.00 la gente è ancora normalmente a cena per cui lo spazio del dopo-cena che una volta era lo spazio del rilassamento, del riposo, della conversazione, dei gruppi, dei rapporti sociali viene sempre più ridotto, sempre più difficile da trovare. Quante volte avere una riunione in parrocchia alle 20.30 diventa quasi un atto di eroismo: vestirsi di nuovo, uscire, lasciare i piatti da lavare…
I tempi della famiglia stanno cambiando profondamente e purtroppo questi tempi, così cambiati, non aiutano la vita della famiglia. Con una grossa fetta di tempo dedicato al lavoro e ad altri impegni quello per vivere dentro la famiglia si restringe sempre di più.
Lo spazio di contatto con i figli è uno spazio sempre più ridotto perché anche i figli in genere trascorrono gran parte del loro tempo fuori della famiglia.
In primo luogo perché la scuola ha occupato sempre più spazio che prima era dedicato alla vita in famiglia(la scuola a tempo pieno…).
In secondo luogo i nostri figli si accumulano impegni extra scolastici in maniera sempre più vorticosa: sport, scuola di musica, danza, inglese per cui le mamme o i papà, nel tempo libero dal lavoro, passano i pomeriggi a scarrozzare i figli da una attività all’altra. Risultato: i figli sono sempre meno a casa.
Questo significa che di fatto nel contatto fisico e umano che ogni genitore ha con i figli e che i figli hanno con il mondo degli adulti, la quota proporzionale di tempo dedicato ai genitori e dai genitori diventa sempre più insignificante.
Paradossalmente possiamo dire che questi figli non sono più nostri figli perché non vengono educati dalla famiglia, ma da molte altre agenzie che si interpongono tra genitori e i figli stessi.
La maggior responsabilità in questo senso ce l’ha la scuola. Gli insegnanti stanno molto più a contatto con i nostri figli di noi, se facciamo il conto delle ore nelle quali i figli sono a casa, ed a queste sottraiamo le ore davanti al televisore e quelle del sonno, succede che il tempo medio che il bambino passa con i propri genitori si aggira intorno ai 60 minuti.
In un’ora al giorno è difficile educare una persona. La scuola ne ha almeno 5 al giorno, se non di più. Alla fin fine le catechiste sembrano quasi avere più tempo di noi nei confronti dei nostri figli.

I figli: questi sconosciuti
Ecco come stanno cambiando le cose e di conseguenza il volto della nostra famiglia. È mia impressione che i nostri figli siano sempre più dei grandi sconosciuti in famiglia. Ciò che fanno, che pensano, che dicono, che combinano credo che spesso i genitori non lo sappiano. Lo sanno magari gli insegnanti che li osservano dall’esterno, quanto poi succede in paese, nel quartiere, per strada raramente arriva in orecchio ai genitori.
E allora i ragazzi entrano nella logica dell’auto educazione: si educano tra loro. Dialogano, si raccontano ed escludono il genitore dal suo ruolo di confidenza. Non lo fanno per cattiveria, ma perché la storia li ha messi in questa situazione.
C’è un altro aspetto. I genitori sono sempre più deboli, sempre più fragili, hanno difficoltà a gestire un ruolo autorevole. Sempre di più l’immagine di punto di riferimento per i figli, da parte dei genitori, tende ad impallidire ed i messaggi dei genitori tendono a non essere autorevoli verso i figli.
Conta molto di più il messaggio che passa attraverso la televisione. Una televisione che occupa uno spazio di tempo molto superiore a quello che noi dedichiamo ai nostri figli. Alla fine "Il grande fratello" tende ad educare molto di più del padre e della madre sebbene non ce ne accorgiamo.
Siamo convinti ad essere noi ad educare i nostri figli, in realtà i messaggi che loro ricevono, gli stimoli che li raggiungono sono ben lontani da quella che è la nostra visione delle cose.
Non c’è più tempo per vivere in famiglia e per vivere la famiglia, perfino le vacanze della famiglia sono scomparse. Le vacanze quasi tutti le fanno, ma in genere sono vacanze che la mamma passa con i figli senza il papà, oppure che mamma e papà vivono da soli perché i figli se ne vanno nei campi scuola.
Oppure, come succede, sono vacanze che la mamma e il papà passano separatamente (così va di moda oggi!). Il tempo della vacanza non è più il tempo in cui recuperiamo lo spazio per la famiglia, in cui recuperiamo noi stessi e la nostra interiorità. Tante volte la vacanza è un’ulteriore dispersione delle energie e delle potenzialità familiari.

Ben-essere o ben-avere?
Abbiamo considerato il fattore della frantumazione della coppia, la difficoltà della gestione dei figli, la crisi del tempo dentro la famiglia
Un altro elemento è l’economia. Anch’esso rappresenta una realtà molto delicata dentro la nostra vita. Lentamente la nostra vita si è sempre più orientata verso l’acquisire mezzi di benessere.
Non è questo un fatto di per se stesso negativo: star meglio dal punto di vista economico è importante. Avere una casa è sicuramente importante, uno stipendio che garantisca un futuro senza grossi problemi è sicuramente desiderabile per tutti. Dover vivere con l’ansia di chi non arriva a fine mese appesantisce notevolmente la vita.
Ma la cosa che oggi ha messo in difficoltà la famiglia è che questo valore dell’economia e del consumo è diventato talmente importante da soverchiare le altre dimensioni della vita di famiglia.
Oggi il primo obiettivo dentro una coppia / famiglia è quello di conquistare un benessere che consenta di godere dei beni di consumo. Non sarebbe negativo se questi oggetti non diventassero la cosa più importante dentro la vita di famiglia.
La conseguenza di tutto questo è che siamo costretti a rinunciare ad altri valori che invece sono fondamentali. Nel magnifico Nord Est poi, questa cosa diventa parossistica perché tanti hanno il secondo ed il terzo lavoro e tutta la vita, in genere, è vissuta dentro questa logica. Anche chi di lavoro ne ha uno solo lo straordinario è di regola. Per fare poi che cosa? Per consumare. Le nostre case traboccano di benessere, non è solo un vivere bene.

Famiglia e mondo
Questo appare ancora più stonato se si confronta con la mondialità. Tra di noi la maggioranza vive con redditi medio bassi e anche se si lavora in due non si fanno cose folli.
Se però confrontiamo la nostra situazione con il resto del mondo c’è un abisso profondo tra la ricchezza di un reddito medio e la situazione di chi invece vive nei paesi poveri. Da notare che questi sono la grande maggioranza nel mondo.
In Albania si vive con 50.000 lire al mese che a noi non bastano per comperare la torta di compleanno. E l’Albania è ancora un paese in cui non si muore di fame. Ma se ci spostiamo in altre aree del mondo questa differenza diventa abissale.
Purtroppo noi siamo diventati tanto chiusi in questa nostra sicurezza!
Capisco anche la fatica di averla conquistata perché cent’anni fa la fame c’era anche da noi; avere polenta a sufficienza non era da poco. Dopo la seconda guerra mondiale l’evoluzione economica delle nostre strutture sociali, delle nostre famiglie è stata talmente forte che ci ha fatto perdere di vista quello che è l’equilibrio mondiale delle risorse.
Oggi noi piangiamo sulla nostra presunta povertà senza renderci conto nel contesto mondiale delle risorse che si consumano, con lo scotto che siamo meno felici di quando eravamo poveri.
Siamo proprio certi che la qualità della nostra umanità sia migliorata parallelamente a quella del nostro possedere?
Certamente abbiamo scoperto che tra progresso tecnologico, scientifico, economico da una parte e progresso umano dall’altra non c’è identità. Non è detto che la gente oggi nel Nord, o Nord Est nell’essere più ricca sia anche più felice, più umana, più serena.
Un importante redattore di Il Gazzettino diceva tempo fa: "Dalla mia posizione di osservatore della società veneta posso dire che c’è un benessere dilagante, però se chiedi alle persone se sono soddisfatte della loro vita scopri una scontentezza diffusa e profonda. Eppure hanno tutto e magari possono cambiare auto ogni tre anni per scaricare l’IVA!".

Un popolo di idolatri?
Forse abbiamo rischiato o stiamo rischiando di credere che la nostra realizzazione, la nostra pienezza di vita, il nostro sentirci autenticamente uomini possa essere barattato con i mezzi di consumo, con ciò che stiamo producendo.
L’errore più tragico che un uomo può fare è proprio quello di confondere se stesso, il suo universo con ciò che produce. È una cosa vecchia questa quanto il mondo perché, in fondo, l’idolatria non è altro che questo.
Una storia vecchia come la Bibbia che ci presenta il salmo 115 con una plasticità unica; racconta di uomini che hanno costruito i loro idoli che "Hanno occhi ma non vedono, hanno orecchi ma non odono, hanno bocca ma non parlano e non possono emettere suoni dalla loro gola…Diventi come loro chi li fabbrica".
Il grande rischio che stiamo correndo è di diventare come le nostre automobili, come le nostre case, come i nostri mobili, come i nostri vestiti firmati. Di essere cioè individui che non sono più capaci di sentire, di parlare, di vedere, di vivere emozioni. Ciechi, muti, sordi come gli oggetti che abbiamo prodotto, tendiamo ad identificarci con ciò che è il frutto delle nostre mani.
Il senso della grande ambiguità è il passare da soggetti ad oggetti ed il vivere giocato tutto su questa dimensione. Abbiamo fatto, abbiamo prodotto ma alla fin fine non ci soddisfa.

Genitori troppo tardi
Un esempio concreto. Uno dei problemi che sta emergendo in questi anni, dalle osservazioni della Commissione Etica Regionale Veneta (organismo che ha il compito di produrre pareri sulle scelte di politica regionale), è il problema della sterilità della vita delle coppie. Il 20% delle coppie non riesce ad avere figli.
Sappiamo che oggi esistono molte tecniche mediche che vengono applicate e consentono spesso, non sempre, di risolvere il problema. Però tutto questo comporta dei costi di qualche miliardo per il Veneto, e questi costi ricadono sul sistema sanitario regionale. La regione ha cominciato ad interrogarsi se erogare questi servizi gratuitamente oppure no.
Dall’analisi della situazione ci si accorge che il motivo per cui le coppie non riescono più ad avere figli è che il desiderio di maternità o paternità non è un desiderio prioritario dentro la vita della coppia, ma è qualcosa che viene posposto alla fine di una serie di altri obiettivi che sono: successo, lavoro, casa, auto,… ossia tutta una serie di cose che riguardano l’avere. Composto tutto questo quadro di benessere, solo allora si pensa al figlio.
Tutto questo però è costato in termini di tempo per cui, oggi, la coppia si pone il problema dei figli dopo i 35 anni. Purtroppo la natura ha i suoi tempi, le sue leggi: dopo quell’età è difficile avere bambini.
Si raggiungono nella vita magari obiettivi molto importanti, poi però quando non c’è più tempo ci si accorge di non avere nessuno con cui condividere i traguardi conquistati.
Quella commissione si poneva l’obiettivo di fare una campagna informativa sulla difficoltà ad avere figli dopo una certa età, però il problema di fondo rimane: dentro l’universo dei valori la maternità non è al primo posto, viene dopo altre cose.
Che fare? Credo che dobbiamo recuperare una serie di valori che non abbiamo perduto, ma forse li abbiamo lasciati assopire. Bisogna risvegliarli, reincarnarli dentro la nostra cultura, dentro il nostro modo di essere.

Valori da ritrovare
Il primo valore è quello dell’alterità, vivere l’alterità dentro la coppia.
Non possiamo credere che la coppia si costruisca sui bisogni dell’altro. Non è possibile che l’altro sia il mio fine e viceversa.
Se una coppia non vive questa alterità è chiaro che si frantumerà presto perché le esigenze individuali spesso tenderanno a soverchiare le esigenze della coppia.
Una coppia che non ha questa visione dell’alterità di fatto fallisce la logica stessa dell’essere coppia. Il tema dell’alterità è complesso e non riguarda solo la coppia, riguarda il lavoro, il compito di essere uomini. È però una strada da battere.
Vivere dentro la coppia l’altro, l’altra, mio marito, mia moglie, il mio fidanzato, la mia fidanzata come un fine da perseguire. Non io devo essere il fine ma lei, lui e io sarò il fine per lui, lei. Solo così la coppia può crescere.
Sicuramente un’altra strada da percorrere è di recuperare il tempo della famiglia e questo costringerà a delle rinunce dentro la nostra vita.
Questo diventa difficile oggi nel contesto di una mentalità del successo, della auto realizzazione perché quando si comincia a cavalcare una realtà, o la si cavalca fino in fondo oppure non si riesce a concludere nulla.
Tante volte nel mio lavoro scopro che la causa del male è una corsa continua, e se invito la persona a diminuire i giri del motore mi sento rispondere che non è possibile. O tutto o niente!
Le aziende stesse o fanno profitti a dismisura oppure non vanno avanti, non esiste via di mezzo. Il mercato richiede così, il lavoro viaggia in questa direzione.
Ci sono però delle scelte da fare, sapendo che il rischio per chi non accetta la logica della prudenza, della auto limitazione, della critica verso se stessi, è quello di continuare a fare per arrivare alla fine e fallire sul piano umano.
Aver realizzato chissà quale ricchezza per poi aver perso la mogli ed i figli, aver frantumato gli affetti non è una gran cosa. Quante storie finite così!

Cosa conta davvero
Ci dobbiamo chiedere: nella mia vita che cosa è prioritario? La carriera, guadagnare,…oppure il rapporto con gli altri, far crescere persone mature nella mia famiglia?
Non sarò importante ma se ho creato intorno a me spazi di umanità ho migliorato il mondo in una visione che è più organica del semplice successo ottenuto.
Vivere accanto ai figli diventa un programma di vita oggi, ma soprattutto assumere un progetto di vita all’interno della famiglia.
Ecco ciò che manca alle nostre famiglie cristiane. Quale è la nostra visione di società a cui vogliamo contribuire? Oggi c’è bisogno di questi grandi vivi.
Il mio impegno umano, personale, familiare che speranze ha del futuro, cosa vogliamo per i nostri figli? Il futuro dipende dal presente e dipende da noi. Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli domani, qual’ è la responsabilità che ci sentiamo di prenderci oggi per il domani?
Per i cristiani, in maniera più specifica, quale modello di famiglia? La risposta è impegnativa e ci deve interrogare sul come rientra la nostra fede dentro la famiglia, il lavoro, la società.

Fede e vita
Come fare a non dissociare la vita dalla fede. Spesso si crede che la fede è la fede, gli affari però… Se la fede non penetra la vita, se non da le risposte alla vita non è più fede ma un simulacro, diventa ritualismo.
La fede non è la messa di mezzanotte di Natale od un’altra cerimonia, queste cose hanno senso se c’è un travaso continuo dentro il mio quotidiano di questa esperienza.
La chiesa, i cristiani hanno sempre avuto difficoltà a fare sintesi tra vita e fede, l’unica denuncia del Concilio Vaticano II è stata proprio questa: la dissociazione tra fede e vita.
Questa difficoltà esisteva già ai tempi di S. Paolo quando l’apostolo invia la lettera alla comunità di Corinto e si arrabbia perché celebravano l’eucarestia in maniera dissociata. "Voi quando spezzate il pane non lo fate in modo autentico perché lo fate con disparità, c’è chi arriva troppo sazio e chi ha fame".
Non è possibile vivere l’eucarestia in questo modo, perché il pane e il vino prima di essere corpo di Cristo sono strumento per vivere e non possiamo fare unità intorno al corpo e sangue di Cristo se prima non facciamo unità attorno alle banane o al petrolio, questa è l’eucarestia. S. Paolo è categorico: "Chi fa l’eucarestia in questo modo mangia e beve la propria condanna". Chi vive l’eucarestia con questa falsità sarà condannato, non avrà speranza nel futuro.

L'Amore Vero
Dobbiamo assumere il modello della paternità di Dio dentro alla nostra famiglia.
A modello di Dio che non ha confini quando accoglie, perdona, quando è misericordioso.
Questo è il papà e la mamma vera, persone che non hanno confini, che non hanno limiti nella dimensione dell'amore. Questo è il modello a cui dobbiamo riferirci ed è un modello consolante perché di fronte a tutti questi problemi che cosa possiamo fare? Siamo dei poveracci, degli infedeli, siamo faticosamente cristiani.
Pensiamo agli Apostoli che nonostante l’insegnamento e l’esempio continuo di Gesù ad un certo punto litigano per le cariche, e Pietro il capo della futura chiesa, quando è stato di fronte a Gesù che stava per morire ha giurato di non conoscerlo! Chissà che cosa poteva aver pensato Gesù: "Questi qui non hanno proprio capito niente". Gesù nel Getsemani prega, soffre, suda sangue da solo mentre gli altri dormono, e poi va a morire da solo.
Questa è la Chiesa, è sempre stata così con questa grande incapacità di essere! D'altronde il Vangelo è talmente radicale che ci destabilizza in continuazione nelle nostre sicurezze, ma anche ci invita ad aprirci ad un nuovo respiro e soprattutto di dice di non aver paura per i problemi che sono grandi e tanti, alla fine è il Signore che fa, è Lui che costruisce.
Noi dobbiamo fare perché le braccia di Gesù sono le nostre braccia, siamo noi nella storia che lavoriamo per Gesù, per questo progetto del Regno, però alla fine dobbiamo avere coscienza che è il Signore che fa davvero, e che di noi, comunque vadano le cose, ha sempre una gran buona opinione.
Anche se sbagliamo, per fortuna non ha la nostra giustizia ma la sua misericordia. Questa è la grande rivelazione del Vangelo. Ci ha insegnato a chiamare Dio Abbà, è il babbo non uno che calcola, che ti restituisce 100% di quello che hai fatto ma uno che da sempre di più.
Anche di fronte a questi problemi noi dobbiamo avere la serenità interiore per dire: "Abbiamo difficoltà e problemi però, Signore, tu fai sempre cose nuove, sei in grado di riproporci di nuovo orizzonti più aperti, ed anche là dove ci sembra di fallire bisogna comunque andare avanti, anche se a volte abbiamo la sensazione di non costruire nulla, di non avere orientamento".
In questi momenti il Signore è ancora più vicino. Anzi, come nel noto racconto delle orme sulla sabbia, quando si nota che ci sono soltanto quelle di una sola persona, sono i momenti in cui il Signore ci prende in braccio.
Cerchiamo allora di vivere questa certezza anche se non è razionale, dobbiamo sentirlo con il cuore questo affidamento al Signore.
La crisi esiste ma il Signore è più grande della crisi. I nostri genitori hanno avuto le loro crisi, noi abbiamo le nostre e nel futuro ce ne saranno delle altre, ma il Signore è con noi e ci custodisce.
Questo deve darci tanta speranza, non è davvero il caso di essere pessimisti né dentro di noi, né come chiesa.