pagine metafisiche: schopenhauer e il diritto di punire

"Dio abbia pietà delle vostre anime..." (Otto Preminger, Exodus)


Da: IL MONDO COME VOLONTA' E RAPPRESENTAZIONE (1818), Mursia, Milano, 1969


-"Tutto il contenuto della natura, l’insieme dei fenomeni, è assolutamente necessario; di ogni parte dell’universo, di ogni fenomeno,di ogni avvenimento, è possibile dimostrare la necessità" (pag. 328).


-"Ognuno si crede a priori (cioè per un sentimento innato) libero in ciascuno dei suoi atti, nel senso di poter compiere, in qualsivoglia caso, un’azione qualsivoglia ideata a piacere; soltanto a posteriori, soltanto in seguito all’esperienza e alla riflessione, veniamo a riconoscere che i nostri atti sono il prodotto necessario di due fattori: carattere e motivi. E perciò anche, i più rozzi fra gli uomini, pedissequi seguaci dell’istinto, difendono con tutto il calore del sentimento la tesi della piena libertà delle singole azioni, mentre i grandi pensatori di tutti i tempi, e persino le dottrine religiose più profonde, sostennero la tesi contraria" (pag. 330).


-"Un’azione cattiva, sia pure unica, è sicura garanzia di un’infinita serie di azioni simili, che l’uomo dovrà compiere, e non potrà non compiere. Inoltre, come dice lo stesso Kant, chi conoscesse a fondo il carattere empirico e i motivi di un uomo, potrebbe calcolare la sua condotta futura come si calcola un’eclissi" (pag. 333).


-"Nella dottrina cristiana troviamo il dogma della predestinazione, riferibile alla scelta (divina) tra la grazia e la riprovazione (san Paolo, Epistola ai Romani, IX, 11-24); il dogma deriva, senza dubbio, dalla credenzache l’uomo non varia; che la sua vita e la sua condotta non sono che la manifestazione del suo carattere intelligibile, lo sviluppo di disposizioni fisse, invariabili, riconoscibili fin dall’infanzia; e che, in conseguenza, la sua condotta è già determinata fin dalla nascita, e si conserva essenzialmente identica fino alla morte" (pag. 335).


-"L’istruzione, la più perfetta conoscenza, in una parola l’influenza esterna, serviranno senza dubbio alla volontà, qual mezzo per accorgersi che la via seguita era falsa; e potranno anche servirle di guida a cercare per altre vie, e a riporre in ben altro oggetto il fine cui non cessa di tendere in virtù della sua intima natura: ma non riusciranno mai a farle volere qualcosa di realmente diverso da ciò che ha voluto; il fine resta immutabile: cambiarlo, sarebbe un sopprimere la volontà stessa che n’è costituita" (pag. 336).


-"Se si riesce a convincere un uomo che ogni atto di beneficenza gli sarà ripagato al centuplo nella vita futura, tale convinzione avrà tutto il valore e l’effetto di una ben garantita cambiale a lunga scadenza; e l’uomo potrà essere generoso per egoismo, come avrebbe potuto, con altre convinzioni, essere per egoismo avaro. Ma non perciò si può dire che la sua natura cambi: velle non discitur" (pag. 337).


-"In origine siamo tutti innocentti; vale a dire: non conosciamo, né gli altri conoscono, quel che c’è di cattivo nella nostra indole; i motivi, che soli possono mettere in luce ogni cosa, esigono tempo ad esser conosciuti. Alla lunga, finiamo con il renderci consci di noi stessi, e ci riconosciamo ben diversi da come ci credevamo a priori; sicché, allora, non di rado ci assale un senso di orrore e di raccapriccio" (ibidem).


-"La noia è la causa per cui esseri che si amano così poco fra loro, e cioè gli uomini, pure si cercano a vicenda con tanta premura; è, dunque, la radice della socievolezza. E contro la noia, la saggezza politica prende, come contro le calamità comuni, dei provvedimenti pubblici. A ragione; perché la noia, e il suo estremo opposto che è la fame, può spingere gli uomini ai più furiosi eccessi; panem et circenses è ciò di cui il popolo ha bisogno. Il rigido sistema penitenziario di Filadelfia, che impone l’isolamento e l’inazione, fece della noia un mezzo di punizione: l’effetto fu così terribile, da spingere al suicidio i detenuti. Se il bisogno è il flagello del popolo, la noia è il suppliziodelle classi superiori. Nella borghesia, la noia è rappresentata dalla domenica, il bisogno dagli altri sei giorni della settimana" (pag.355).

 

Da: LA LIBERTA' DEL VOLERE UMANO (1839), Laterza, Bari, 1994.


-"Se si interrogasse un uomo del tutto semplice, egli esprimerebbel’immediata coscienza tanto spesso presa per una presunta libertà di volere, probabilmente così: Io posso fare ciò che voglio; se voglio andare verso sinistra vado verso sinistra; se voglio andare a destra vado a destra. Ciò dipende unicamente dalla mia volontà: dunque sono libero" (pag. 60).

-"Puoi tu veramente, dei desideri opposti che sorgono in te, assecondare tanto l’uno quanto l’altro? Per esempio, dovendo scegliere tra due oggetti di possesso che si escludono a vicenda, puoi preferire tanto l’uno quanto l’altro?" (pag. 61).

-"L’uomo è come vuole e vuole come è. Perciò domandargli se potrebbe volere anche in modo diverso da quello in cui vuole, significa domandargli se potrebbe essere un altro invece di lui" (pag. 63).

-"Tu puoi fare ciò che vuoi, ma in ogni dato momento della tua vita puoi volere soltanto una determinata cosa e assolutamente nient’altro che quest’una" (pag. 66).

-"Come una palla di bigliardo non può mettersi in moto prima di aver ricevuto un urto, nemmeno l’uomo può alzarsi dalla seggiola prima che un motivo lo attiri o lo spinga: allora però il suo alzarsi è necessario e immancabile come il rotolare della palla dopo l’urto. E aspettarsi che uno faccia qualcosa alla quale non lo inviti alcun interesse è come attendersi che un pezzo di legno si muova verso di me senza che ci sia una fune a tirarlo" (pag. 89).

-"Il carattere dell’uomo è: 1) individuale, e in ognuno diverso; 2) empirico: soltanto con l’esperienza si viene a conoscerlo, non solo negli altri ma anche in se stessi; 3) costante, rimane sempre lo stesso per tutta la vita; 4) innato: non è opera dell’arte o delle circostanze soggette al caso, bensì opera della natura stessa" (pagg. 93-98).

-"In Misura per misura, atto II, scena I, di Shakespeare, Isabella chiede al reggente Angelo la grazia per suo fratello che è condannato a morte:
 
  Angelo. Non lo voglio fare.
  Isabella. Ma lo potreste voi se lo voleste?
  Angelo. Ecco, ciò che non voglio, non lo posso fare.
  E nella Dodicesima notte, atto I:
  Ora, Destino, puoi mostrare il tuo potere: nessuno è padrone di sè.
  Ciò che è decretato dev’essere, ed essere così.
 
  Anche Walter Scott, grande conoscitore e pittore del cuore umano e dei suoi segreti, mise in luce quella profonda verità nel St.Ronan’s Well, vol. III, cap. 6. Egli descrive una peccatrice pentita che sul letto di morte cerca di alleggerire l’angosciata coscienza mediante confessioni, e tra queste le fa dire:
 
  Andate e lasciatemi alla mia sorte. Io sono la creatura più misera e detestabile che sia mai vissuta, più che mai detestabile a me stessa. Nel mio pentimento c’è qualcosa che mi sussurra in segreto che, se fossi di nuovo come sono stata, commetterei un’altra volta tutte le malvagità che ho commesse, e anche di peggiori. Oh, mi aiuti il cielo a soffocare questo indegno pensiero!
 
  Una riprova di questa descrizione poetica è il seguente fatto parallelo che ad un tempo viene a confermare appieno la sostanza del carattere. Esso è pubblicato nel 1845 dal giornale francese La Presse, nel Times del 2 luglio dello stesso anno, donde lo traduco. Ecco il titolo:
"Militare giustiziato a Orano"
 
  Il 24 marzo lo spagnolo Aguillar, alias Gomez, è stato condannato a morte. Il giorno prima del supplizio disse conversando col suo carceriere: "Io non sono colpevole come mi si è dipinto: sono accusato di aver commesso trenta omicidi, mentre ne ho commessi soltanto ventisei. Fin dall’infanzia ho avuto sete di sangue; quando avevo sette anni e mezzo pugnalai un bambino. Ho ucciso una donna incinta e più tardi un ufficiale spagnolo e perciò fui costretto a fuggire dalla Spagna. Mi rifugiai in Francia dove commisi due delitti prima di arruolarmi nella Legione Straniera. Fra tutti i miei delitti sono specialmente pentitodel seguente: nell’anno 1841 ero a capo della mia compagnia, feci prigioniero un commissario generale che era scortato da un sergente, da un caporale e sette uomini; feci decapitare tutti. La morte di costoro mi pesa assai sulla coscienza: li vedo nei miei sogni e domani li rivedrò nei soldati incaricati di fucilarmi. Ciò nonostante se ottenessi ancora la libertà, ne ucciderei degli altri".
 
  Qui va citato anche il passo dell’Ifigenia di Goethe (atto IV, scena II):
 
  Arcade. Non seguisti il consiglio dei fedeli.
  Ifigenia. Quanto potevo ho fatto volentieri.
  Arcade. Or muti ancora in tempo il tuo pensiero.
  Ifigenia. Questo però non è in potere nostro.
 
  Anche un famoso pezzo di Schiller nel Wallenstein enuncia la nostra verità fondamentale:


  Gli atti e i pensieri umani -acché sappiate!-
  non sono onde del mar cieche e agitate.
  Dal microcosmo qui, dal mondo interno
  come da un pozzo sgorgano in eterno.
  Son necessari come al fiore il pomo;
  il caso estroso non li può mutare.
  Quando ho scrutato l’intimo d’un uomo,
  so cosa può volere e cosa fare." (pagg. 135-137).

-"In generale si devono considerare commessi in assenza della libertà intellettuale tutti i delitti nei quali l’uomo o non sapeva che cosa facesse o non era in grado di considerare che cosa l’avrebbe dovuto trattenere, cioè le conseguenze della sua azione. Perciò in questi casi non va punito" (pagg. 151-152).

 

Da: IL  FONDAMENTO  DELLA  MORALE  (1840), Laterza,Bari, 1991.


-"In origine siamo tutti inclini all’ingiustizia e alla violenza, perché il nostro bisogno, la nostra cupidigia, la collera e l’odio entrano direttamente nella coscienza e possiedono quindi lo ius primi occupantis; invece i dolori altrui, causati dalla nostra ingiustizia e violenza, arrivano alla coscienza soltanto per la via secondaria della rappresentazione e soltanto attraverso l’esperienza" (pag. 218).


-"Se il mio animo è accesssibile alla compassione, essa mi tratterrà dove e quando, per raggiungere i miei fini, vorrei servirmi del dolore altrui come di un mezzo, indifferente se questo dolore è del momento o dovrà avvenire più tardi, se è diretto o indiretto, cioè procurato attraverso anelli intermedi. Allora non assalirò né la proprietà né la persona dell’altro, non procurerò dolori né spirituali né fisici, mi asterrò non solo da qualunque lesione fisica, ma non gli procurerò dolori neanche per via spirituale con offese, afflizioni, dispetti o calunnie. La medesima compassione mi tratterrà dal cercare soddisfazione alle mie voglie a spese della felicità di esseri femminili, dal sedurre la donna di un altro, dal corrompere moralmente e fisicamente i giovani istigandoli alla pederastia" (pag. 219).

-"Il ricco che paga il suo bracciante agisce giustamente; ma come è piccola questa giustizia di fronte a quella di un povero che riporta volontariamente al ricco una borsa d’oro che ha trovato!" (pag. 225).

 

Da: SUPPLEMENTI  (1844), Mondadori, Milano, 1989.


-"Immaginiamo che qualcuno, per eesperienza propria o perché glielo fanno notare gli altri, riconosca un grave difetto del proprio carattere e se ne rammarichi, proponendosi con fermezza e sincerità di migliorarsi e di liberarsene: ciò nonostante alla prima occasione quel difetto avrà di nuovo libero corso. Nuovo pentimento, nuovo proposito, nuova ricaduta. Se questo sarà accaduto più volte, quell’individuo si convincerà di non essere capace di correggersi, che quel difetto risiede cioè nella sua natura e personalità, anzi esso è una ed una sola cosa con quest’ultima. Egli disprezzerà e maledirà allora la sua natura e la sua personalità, provando una sensazione dolorosa che può diventare perfino rimorso: ma non potrà cambiarle" (pag. 1024).

-"Se si potessero castrare tutti i farabutti e chiudere in convento tutte le sempliciotte, se si potesse assegnare a ogni uomo di nobile carattere un intero harem, e se si potessero procurare uomini, che fossero in tutto e per tutto tali, alle fanciulle dotate di intelligenza e di spiritualità; allora non tarderebbe a nascere una generazione, che eclisserebbe il secolo di Pericle. Ma, anche senza arrivare a piani utopistici di questo genere, si rifletta, se non si risparmierebbero al mondo intere stirpi di furfanti, facendo della castrazione la pena più grave dopo quella di morte, come di fatto accadeva già, se non mi sbaglio, presso alcuni popoli dell'antichità: e quel risultato sarebbe tanto più sicuro, in quanto è noto che la maggior parte dei delitti viene compiuta già tra i venti e i trent'anni. Lichtenberg dice nella sua Miscellanea (Göttingen, 1801, vol. 2, p. 447): "In Inghilterra è stato proposto di castrare i ladri. La proposta non è malvagia: tale punizione è molto dura e rende gli uomini spregevoli, ma non impedisce loro di lavorare; inoltre, se il furto è ereditario, fa sì che esso non venga ereditato. Anche il coraggio diminuisce e, poiché è l'istinto sessuale che conduce così spesso al delitto, viene meno anche questo motivo. Si potrebbe ancora osservare, per pura malizia, che le donne ce la metterebbero tutta per impedire ai loro mariti di rubare, visto che, se si adottasse tale punizione, esse rischierebbero di perderli del tutto"" (pag. 1426).

 

-"Se il mondo è una teofania, allora le azioni dell’uomo, e anche quelle degli animali, sono tutte ugualmente divine ed eccellenti; niente può essere biasimato e niente può essere lodato a preferenza di qualcos’altro: quindi l’etica non esiste" (pag. 1509).

-"Non il destino dei popoli, che esiste solo nel fenomeno, bensì quello dell’individuo, viene deciso moralmente. Di fatto i popoli sono pure astrazioni: soltanto gli individui esistono realmente" (pag. 1510).

-"Non è mai possibile un vero miglioramento morale: si possono solo creare dei deterrenti da certe azioni. Non c’è dubbio che nel contempo sia possibile rettificare la conoscenza e risvegliare la voglia di lavorare: ma resta ancora da vedere quali risultati se ne potranno ricavare. Inoltre, dal fine della pena risulta chiaro che, dove è possibile, le sofferenze da essa provocate devono essere più forti in apparenzache non in realtà: ma la reclusione in isolamento produce l’effetto contrario. Il grande tormento, che tale forma di reclusione infligge, non ha testimoni e colui che non ne ha ancora fatto esperienza, non può in nessun caso immaginarselo: essa quindi non agisce come deterrente" (pag.1519).

-"Beccaria ha insegnato che la pena deve essere direttamente proporzionale al delitto: e questo non perché essa ne sia l’espiazione, ma perché il pegno dev’essere commisurato al valore di ciò, di cui è garanzia. Ognuno ha quindi il diritto di esigere in pegno la vita altrui, come garanzia per la sicurezza della propria: ma non può fare altrettanto per garantire la sicurezza della sua proprietà, per la quale è pegno sufficiente la libertà altrui, eccetera. Per garantire la vita dei cittadini, la pena di morte è dunque assolutamente necessaria. A coloro che vorrebbero abolirla, bisogna ribattere: "Incominciate ad abolire l’omicidio dal mondo: poi potrete abolire anche la pena di morte". Anche il tentato omicidio dovrebbe essere punito esattamente come l’omicidio, dal momento che la legge vuole punire l’atto, non vendicarsi del risultato. In generale è il danno da prevenire, e non l’indegnità morale dell’azione proibita, che dà l’esatta misura della pena da comminare. Perché la legge può, a buon diritto, punire con la reclusione chi lascia cadere un vaso di fiori dalla finestra e con i lavori forzati chi fuma nei boschi durante l’estate; ma può consentire che si fumi durante l’inverno. È invece troppo condannare a morte per l’uccisione di un uro, dal momento che la conservazione della specie degli uro non può essere barattata con la vita umana" (pag. 1520).

 

Da: PARERGA  E  PARALIPOMENA  (1851), Mursia, Milano,1981.


-"Una costituzione politica nellaa quale prendesse corpo unicamente il diritto astratto, sarebbe una cosa eccellente per altri esseri che non fossero gli uomini; essendo la maggior parte degli uomini supremamente egoisti, ingiusti, senza scrupoli, menzogneri, talora anche malvagi e forniti di scarsa intelligenza, ne deriva la necessità di concentrare in un solo uomo, posto al di sopra della legge e del diritto, un potere completamente irresponsabile dinanzi a cui ogni cosa si piega e che viene considerato come un essere di specie superiore, un signore per grazia di Dio. Soltanto in questo modo si può a lungo andare dirigere e governare l’umanità" (pag. 112).

-"Nella monarchia la lega naturale dei cervelli limitati contro gli spiriti eminenti è presente solo da un lato, e cioè dal basso: in alto invece l’intelligenza ed il talento trovano il loro naturale patrocinatore e protettore" (pag. 113).

-"Il monarca ereditario non può separare il bene suo e della sua famiglia da quello del suo Stato: il che invece non si avvera per lo più nel caso delle monarchie elettive" (pag. 115).

 

Da: NEUE  PARALIPOMENA  (postumo, 1893), Mursia, Milano, 1981.


-"Quanto a quello che gli pseudo--filosofi insegnano ai nostri giorni, che cioè intento dello Stato sia quello di promuovere il fine moraledell’uomo, è ben piuttosto il contrario che è vero. Fine dell’uomo (espressione parabolica) non è già che egli agisca in un modo piuttosto che in un altro, poiché tutti gli opera operata sono in sè indifferenti. Bensì che la volontà, di cui ogni uomo è un completo specimen (anzi egli è questa volontà stessa), cambi rotta; che l’uomo (l’unione del conoscere e del volere) riconosca questa volontà, si rispecchi nelle sue azioni e ne scorga tutto l’obbrobrio. Lo Stato, il quale mira solamente al benesseredi tutti, impedisce le manifestazioni della cattiva volontà e per nulla impedisce questa volontà, ciò che sarebbe impossibile. Onde avviene che ben raramente un uomo vede tutto l’orrore dell’essere suo nello specchio delle sue azioni. O credete voi realmente che Robespierre, Bonaparte, l’imperatore del Marocco, gli omicidi che voi vedete torturare siano i soli fra tutti ad essere così malvagi? Non vedete voi che molti si comporterebbero come iene, se essi solamente lo potessero?
  Taluni malfattori muoiono più serenamente sul patibolo che taluni non-malfattori nelle braccia dei loro congiunti. Quelli hanno conosciuto e rinnegato la loro volontà. Questi non poterono rinnegarla perché mai poterono conoscerla. Lo Stato mira ad un paese di cuccagna il quale è in recisa contraddizione col vero fine della vita, con la conoscenza della volontà in tutto il suo orrore" (pagg. 127-128).

-"Bonaparte non fu propriamente peggiore di molti uomini, per non dire della maggior parte degli uomini. Egli possedette appunto l’egoismo ben comune di cercare il suo bene a spese degli altri. Ciò che lo distingue è puramente la maggior forza nel voler soddisfare a questa volontà, un’intelligenza, una ragione, un coraggio più grandi, a cui il caso ancora concesse buon gioco. Per tutto ciò egli operò in pro del proprio egoismo ciò che mille altri ben vorrebbero operare in pro del loro, se ne avessero la possibilità. Ogni mariolo impotente che per mezzo di piccole malvagità si procura un piccolo vantaggio a danno altrui, per quanto questo possa essere lieve, è altrettanto malvagio quanto Bonaparte.
  Coloro che si cullano nell’illusione di una ricompensa dopo morte desidererebbero che Bonaparte espiasse con tormenti inenarrabili tutti gli innumerevoli dolori che egli ha cagionato. Ma egli non è più reo di tutti coloro che hanno la medesima volontà, pur non avendo la medesima forza. Per avere ricevuto in dono questa rara forza egli ha rivelato tutta la malvagità della volontà umana: ed i dolori della sua epoca, che ne sono il necessario contrapposto, rivelano il dolore che si riconnette indissolubilmente alla cattiva volontà, il cui fenomeno nel suo complesso è il mondo. Ed appunto questo è il fine del mondo, che cioè venga conosciuto con quale dolore senza nome la volontà di vivere si connette, anzi è propriamente una cosa sola. La realà fenomenica di Bonaparte contribuì dunque molto a questo fine. Il mondo non ha per fine di essere un insipido paese di cuccagna; ma ben più di essere una tragedia nella quale la volontà di vivere si riconosca e si rinneghi. Bonaparte non è che un potente specchio della volontà di vivere umana.
  La differenza fra ciò che cagiona il dolore e ciò che soffre non è che fenomenica. Tutto ciò è l’unica volontà di vivere che è una cosa sola col dolore, la cui conoscenza la conduce a rinnegare se stessa ed aver fine" (pagg. 128-129).

-"Quaeritur: quando un delinquente diviene pazzo dopo l’istruttoria, deve egli ancora venir suppliziato per l’omicidio da lui commesso allo stato di ragione? – Certamente no" (pag. 133).

 

Da: COLLOQUI  (postumo, 1898), Rizzoli, Milano, 1995.


-"L’ottimismo è insostenibbile. Ciò che chiamiamo trasfigurazione della volontà, cioè miglioramento, è impossibile. Rimane solo la scelta tra affermazione e negazione della volontà" (pag. 110).

-"Imprecano incessantemente contro i governi, come se i governi fossero colpevoli di ogni male. No, il male deriva inevitabilmente dalla natura umana. L’uomo è predestinato al male dalla sua volontà" (pag.116).



BIBLIOGRAFIA:

- Ademollo Alessandro, Le annotazioni di Mastro Titta carnefice romano. - Città di Castello : Lapi, 1886.
- Amnesty International : pena di morte. - Pordenone : Studio Tesi, 1980.
- Camus Albert, Koestler Arthur, La pena di morte. - Roma : Newton Compton, 1981.
- Cantarella, Eva: I supplizi capitali. - Milano : Rizzoli, 2005.
- Casalinuovo Aldo, Il problema della pena di morte. - Catanzaro : Bruzia, 1935.
- Christie, Niels: Abolire le pene.
- Foucault, Michel: Surveiller et punir.
- Hassemer, Winfried: Perché punire è necessario : difesa del diritto penale. - Bologna : Il mulino, 2012.
- Hood Roger, Kovalev Sergei, L'abolizione della pena di morte in Europa. - Roma : Sapere 2000, 2000.
- Hugo Victor, L'ultimo giorno di un condannato a morte. - Milano : Mondadori, 1998.
- Kafka, Franz: Nella colonia penale.
- Marcucci Vincenzo, Della pena di morte. - Capolago : Elvetica, 1854.
- Mathiesen, Thomas: Perché il carcere?.
- Mereu Italo, La morte come pena : saggio sulla violenza legale. - Roma : Donzelli, 2000.
- Morino Daniela, Novarino Massimo, Ottino Carlo, Pena di morte. - Torino : Gruppo Abele, 1989.
- Muoni Damiano, Considerazioni storico-filosofiche sulla pena capitale. - Milano : Boniotti, 1862.
- Nessuno tocchi Caino : la pena di morte nel mondo : rapporto 1999. - Venezia : Marsilio, 1999.
- Panico, Guido: Il carnefice e la piazza : crudeltà di Stato e violenza popolare a Napoli in età moderna. - Napoli : Edizioni scientifiche italiane, 1985.
- Pastore, Massimo: L'illusione correzionale.
- La pena di morte nel mondo : convegno internazionale di Bologna, 28-30 ottobre 1982. - Casale Monferrato : Marietti, 1983.
- Romeo, Giovanni: Aspettando il boia : condannati a morte, confortatori e inquisitori nella Napoli della Controriforma. - Firenze : Sansoni, 1993.
- Stahl, Paul Henri: Histoire de la décapitation. - Paris : PUF, 1986.



FILMOGRAFIA:

- Antonioni, Michelangelo: I vinti.
- Bresson, Robert: Un condannato a morte è fuggito.
- Chabrol, Claude: Un affare di donne.
- Chaplin, Charles: Monsieur Verdoux.
- Coen, Joel & Ethan: L'uomo che non c'era.
- Darabont, Frank: Il miglio verde.
- Fleischer, Richard: Frenesia del delitto.
- Friedkin, William: Assassino senza colpa?.
- Grosbard, Ulu: Vigilato speciale.
- Kubrick, Stanley: Orizzonti di gloria.
- Kulesov, Lev: Dura lex.
- Leconte, Patrice: L'amore che non muore.
- Lumet, Sidney: La parola ai giurati.
- Mackenzie, David: Young adam.
- Metcalfe, Tim: Killer - Diario di un assassino.
- Montaldo, Giuliano: Sacco e Vanzetti.
- Moore, Michael: Where to invade next.
- Parker, Alan: The life of David Gale.
- Robbins, Tim: Dead man walking.
- Saura, Carlos: Goya.
- Scorsese, Martin: Gangs of New York.
- Stevens, George: Un posto al sole.
- Trier, Lars von: Dancer in the dark.
- Wellman, William: Alba fatale, The Ox-Bow incident.



POSTILLA:

1) Sulla scorta degli illuministi milanesi (Beccaria, Verri, Manzoni), ovviamente, la tortura non ha alcun senso, giudiziario, terapeutico, pedagogico...

2) E la pena di morte? Si badi che Schopenhauer risulta contraddittorio, giacché politicamente difende la pena di morte, come abbiamo testé visto, ma metafisicamente respinge, ad esempio, l'aborto, in quanto sarebbe inutile "annullare" la volontà che ormai si è manifestata empiricamente: bisognerà quindi solo assecondarla e casomai guidarla alla redenzione (cosa che forse intendeva potesse succedere, appunto, nell'intimo della coscienza dei condannati a morte...).


- "Sì sì condannata / a... a... a..."
- "A morte!"
- "Ma no ma no / di più di più!"
- "All'ergastolo!"
- "Ma no ma no / di più di più!"
- "Alla vita!"


(Dino Buzzati, Procedura penale. - Milano : Ricordi, 1959. - P. 21).


"Ma quale legge, quali delitti! Delitto è il mio che sono nato"

(Fernando Vallejo, La vergine dei sicari. - Parma : Guanda, 1999. - P. 20).


"Anche i condannati a morte, in ultimo, benché innocenti, chiedono perdono come se fossero colpevoli"

(Ugo Betti, Corruzione al palazzo di giustizia. - Roma : Newton Compton, 1993. - P. 65).


"Dentro o fuori, ormai, carcere lo stesso!"

(Luigi Pirandello, Se..., in Novelle per un anno. - Roma : Newton Compton, 1993. - P. 116).


"La convinzione quasi religiosa che tutti gli uomini sono nati uguali e che tutte le deficienze morali del delinquente si debbano attribuire agli errori commessi dagli educatori, annienta ogni naturale senso della giustizia"

(Konrad Lorenz, Gli otto peccati capitali dell'umanità. - Milano : Adelphi, 1974. - P. 74).


"Se dopo aver commesso molti crimini, arrivassi a non avere più rimorsi? Allora bisognerebbe strozzarvi"

(Voltaire, Voce: Catechismo cinese, Secondo dialogo, in: Dizionario filosofico. - Roma : Newton Compton, 1991. - P. 54).

"Tutte le liti a tavola sono accuratamente represse"

(Voce: Catechismo del giapponese. - P. 67).

"Guardate il Gran Turco: governa ghebri, baniani, cristiani greci, nestoriani, romani. Il primo che vuol provocare tumulti viene impalato, e tutti stanno tranquilli"

(Voce: Tolleranza. - P. 290).


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