pagine estetiche: branduardi a varazze

di Mirko Fontemaggi



E perché non a Genova? Sarà stata la forza magnetica del menhir, che attira non solo gli archeologi ma anche gli artisti e i musicisti… Ma una ragione concreta c’è ed è stata la settima edizione del festival internazionale del mandolino tenutasi sabato 13 dicembre 2003 (premio assegnato in precedenza a De André, Arbore, Battiato, Guccini, De Gregori, PFM), anche se i mandolini non si sono visti né sentiti: il liutaio milanese Federico Gabrielli ha mostrato la prima parte del suo nuovo mandolino genovese, la cui differente forma e accordatura rispetto al cugino napoletano ignorava lo stesso Branduardi; e mancava anche tra i tanti strumenti coinvolti nell’esecuzione, dal violino a diverse percussioni irlandesi e orientali alle fisarmoniche. Bravi e complici tutti e quattro i musicisti (il pianista Carlo Gargioni, il batterista Davide Ragazzoni, il giovane percussionista Raoul Terzi, il contrabbassista e fisarmonicista Mihail Huszar), sempre suggestivo e toccante il nostro “menestrello”, nonostante questo epiteto gli dispiaccia ormai, visti i recenti aggiustamenti armonici e melodici del suo ultimo sincretistico album “Altro ed altrove”. A plasticizzare ulteriormente le note c’era anche il maestro Silvio Monti, live performer dall’efficacia cromatica che con larghe pennellate dipingeva indisturbato volti esotici e misteriosi sullo sfondo.

Ironico e sbarazzino in tuta Adidas nella prima parte, ha declinato verso barocchismi elettronici nella seconda, tradendo finalmente in modo esplicito la stessa ermeneutica cara a Battiato / Sgalambro: «È più importante il viaggio della meta» (Galimberti docet). Ma due perle concesseci alla riflessione dal saggio di Cuggiono valevano tutta la serata: «Cosa è successo a quest’oscurantistico Islam, che solo 500 anni fa dominava l’orizzonte culturale per temerarietà speculativa e sconvolgente carica sensuale nella poesia come nell’arte? E come la mettiamo con l’anima dei violini, i cui primi esecutori ne determinano per sempre il carattere? Dopo l’imprinting tirolese del 1760 questo violino è passato di mano in mano, di anima in anima, lasciandovi la sua piccola traccia: è lui a sopravvivere nei secoli, Angelo ne è solo un provvisorio strumento… E chissà poi chi sarà (e quando) l’ultimo a suonarlo?!». Come diceva Borges? «Le cose durano più della gente», a proposito delle armi bianche in L’incontro, in Il manoscritto di Brodie (Milano : Rizzoli, 1971: 49).

E concludo con una nota dolente, visto che sembra che i plagi aumentino: Branduardi è un ascoltatore troppo attento! Dopo i lieder di Richard Strauss (41/1 Wiegenlied Prima di ripartire in Si può fare. – Milano : EMI, 1992, a sua volta copiato dal quinto notturno di John Field, che chissà da chi aveva copiato…) e le danze tradizionali ungheresi, i fan registrano un altro indebito furto della melodia di Enya Orinoco flow per Lo straniero e la track ghost di Battiato in Fleurs per il pezzo latino di quest’ultimo CD, mentre chi si aspettava che proprio Vanità di vanità fosse in realtà l’irlandese The raggle taggle gypsy?! Sentire l’ultimo lavoro dei Chieftains, Further down the old plank road, per credere...

(apparso su Mellophonium online il 16 dicembre 2004)



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