pagine metafisiche: l'amore

«Amare senza amaro non si puote»
(Pietro Bembo, Gli Asolani)



La filosofia dell'omosessualità ha una storia molto recente all'interno del più che bimillenario corso della filosofia occidentale. In Platone, infatti, l'omosessualità traspare come uno spontaneo modus vivendi sic et simpliciter non ancora asceso ad un grado di consapevolezza riflessiva. È l'erotica in generale a godere di un ruolo cardinale: la contemplazione della bellezza nei fenomeni empirici ci sospinge verso l'unione con la Bellezza universale, in-sè, e questo a prescindere dal genere, dal sesso, del contemplante e del contemplato. Impliciti riferimenti possiamo ancora trovare nel riduzionismo edonistico epicureo o, per altro verso, nella critica stoica e cristiana, ma nulla di esplicitamente e disinvoltamente dedicato alla considerazione filosofica della sessualità, e dell'omosessualità in particolare. Bisognerà attendere il sensismo illuministico e la rivalutazione di quella res extensa rappresentata dal nostro corpo, al di fuori di moralistici giudizi di valore, per tentarne una disinteressata analisi.

E la prima, sistematica, data 1844: è la Metafisica dell'amor sessuale di Arthur Schopenhauer, ovvero il supplemento 44 del suo capolavoro, Il mondo come volontà e rappresentazione, comparso nel 1819. Il "Saggio di Francoforte" approda ad una disincantata visione della natura, dove tutto non è che il rendersi oggettivo di un principio primo inconscio, la Volontà. Il guaio, però, è che ogni fenomeno, dalle forze fisiche elementari alla vitalità delle piante agli istinti degli animali fino alle individualità umane, possiede in sè in nuce tutta l'energia di questa Volontà universale: l'orizzonte che ci si presenta è dei più desolanti, con infiniti "centri di volontà" che vogliono solo autoconservarsi e che in forza del loro egoismo finiscono per combattersi a vicenda in vista della riproduzione e della conservazione della propria specie. È qui che Schopenhauer fa rientrare la considerazione dell'amore, di questa "astuzia della natura" che ci illude con lenti rosa sull'essenza della nostra vita, ma che ha in mente solo un mero scopo riproduttivo (e già Lucrezio, Montaigne e sir Thomas Browne l'avevano, seppur parzialmente, intuito). All'omosessualità è dedicata addirittura tutta l'appendice finale: la natura, sempre ad un livello inconscio, non permette che si riproducano determinati individui portatori di difetti che noi diremmo "genetici", pericolosi per la sopravvivenza della specie, e ne dirotta quindi l'incoercibile libido sessuale verso forme spontaneamente onanistiche, sterili (Schopenhauer 1989: 1470-1479).

La prima analisi del fenomeno si presenta così anche come la più spregiudicata, fastidiosa sia per i benpensanti che vogliono sentir parlare solo della sessualità eterosessuale, sia per gli stessi omosessuali, ridotti a pedine deterministicamente manovrate da madre natura, o madre volontà, o matrigna volontà! La mia analisi si vuole fermare, però, ad una determinata corrente, la scuola schopenhaueriana, anche perché nel secolo XX si apriranno molteplici fronti ermeneutici, da quello sociologico a quello psicoanalitico, e il discorso si farà molto più complesso e frammentario. Questa "scuola" rinuncerà subito alle tesi biologiste del Maestro e si nasconderà dietro le precomprensioni moralistiche tradizionali. Eduard von Hartmann innanzitutto, considerando la sessualità in generale, tese a idealizzarla, non disconoscendone il valore morale e mostrandone tutta la dignità e le potenzialità altruistiche (Hartmann 1904: 194-206). Il vero ribaltamento lo avremo, però, con Piero Martinetti, probabilmente il maggiore schopenhaueriano italiano: "L'attrazione sessuale maschera quasi sempre un'oscura aspirazione spirituale", dice nel suo Breviario spirituale (Martinetti 1972: 153), e non viceversa, come dimostrato nelle contemporanee opere di Sigmund Freud e poi di Wilhelm Reich.

La maggior parte dei filosofi iniziavano allora a parlare della sessualità, ma pochi si avventuravano nell'imbarazzante terreno dell'omosessualità: Martinetti fu uno di questi, ma sinceramente era meglio che non lo facesse... "Animalità bestialmente istintiva" la definisce (ibidem: 155), e così conclude: "Sii dunque casto!" (ibidem: 158). Anche L'amore ne parla, sempre però nei termini di "colpa, vergogna, degradazione" (Martinetti 1998: 82), oppure riduzionisticamente di "feminatezza" (ibidem: 43), oppure ancora avvilendola nella perversione, come quando sottolinea che Friedrich Haarmann, il mostro di Hannover, che uccideva le proprie vittime mordendole al collo al momento dell'orgasmo, era omosessuale! (Ibidem: 72. L'amore, già pronto per le stampe nel 1938, incontrò molte resistenze e difficoltà editoriali ed è stato pubblicato solo dopo sessant'anni: allora troppo ardito, oggi troppo rétro!). Peccato, perché Martinetti è stata una delle menti filosofiche più lucide del secolo scorso, intellettualmente degno di stare accanto agli altri idealisti Croce e Gentile. Non era cattolico né comunista né fascista, amava dire ironicamente: "Io sono l'anima di un neoplatonico trasmigrata innanzi tempo"... (Giornata martinettiana: 23). Libero, quindi, da ogni schiavitù ideologica, non ebbe strali da risparmiare, ad esempio sulle origini del cristianesimo e sulle leggende e superstizioni che di là son nate e che segnano ancora tristemente la nostra spiritualità (si veda la trilogia religiosa Gesù Cristo e il cristianesimo, Il Vangelo e Ragione e fede). Altro argomento tradizionalmente tabù, ad esempio: il suicidio. Come Schopenhauer, come Buddha, così Martinetti lo considera indifferente, e non moralmente riprovevole: i trattati dogmatici, dalla Torah ad Agostino a Wojtyla, suonano pressappoco così: "Essendoci stata largita da Dio la vita, non è lecito a noi togliercela"... "Ora io chiedo a qualunque persona di buon senso se, nell'ora in cui alcuno mediti seriamente di togliersi la vita, sarà una massima di questo genere quella che ne sosterrà lo spirito contro gli assalti dell'angoscia e della disperazione" (Martinetti 1972: 54).

Questo libero esame della tradizione anteriore non lo portò ad un'autonomia di giudizio anche nei confronti dell'omosessualità... Martinetti scelse la castità come proprio habitus etico: un'esistenza travagliata e profonde delusioni sentimentali lo isolarono sempre più dalla società e dalla storia e la sua Weltanschauung non poté che rispecchiare e difendere i vecchi pregiudizi. Il suo atteggiamento fu senz'altro un meccanismo di difesa (più genericamente anti-sessuale) che gli permise di vivere in pace tra i suoi libri, i suoi filosofi, e l'innocenza della natura. Tanto di cappello, quindi, a Schopenhauer che, un secolo prima, in Germania, riuscì ad esprimere la propria opinione, seppur discutibilissima, precorritrice di certe interpretazioni genetiche contemporanee: è il clima dell'idealismo post-kantiano, del romanticismo, di un'estrema libertà di pensiero e di azione che poteva portare tanto alle sperimentazioni del socialismo utopistico quanto ai sogni del positivismo oppure al superomismo nietzscheano o all'igienismo di Schallmayer o al suicidio cosmico dei vari Hartmann, Bahnsen e Mainländer... In Italia, invece, decenni dopo, si ripiomba nella più assoluta asfissia culturale, complici la Chiesa e gli altri poteri politici dominanti. Qualche spirito isolato tenterà timide critiche, ma ancora senza troppa lucidità: si veda il caso di Julius Evola che, nel 1958, avrà il coraggio di scagliarsi contro Angelina Merlin e la sua incomprensione del fenomeno della prostituzione. Ebbene, anch'egli rimase incagliato nella flagellazione della perversione omosessuale, come abbondantemente testimoniato dai suoi stessi, spesso aberranti, saggi critici (cfr. Evola 1994, riduzione divulgativa di Evola 1996: §18).

Il "Solitario di Spineto" [di Castellamonte, n.d.r.], che visse i suoi ultimi dieci anni insieme alla sorella, in un celibato non sappiamo quanto costretto da infausti casi esistenziali, quanto auto-costretto da un pregiudizio intellettualistico che pesa secolare sulla filosofia ("Non per caso Cartesio, Spinoza, Leibniz, Kant, Schopenhauer rimasero soli", Martinetti 1998: 162), punta tutta la sua attenzione sulla "platonicità" dell'amore spirituale, e nell'esposizione di questo obiettivo raggiunge vertici di genuina ispirazione, nutriti da copiose citazioni letterarie, generalmente estranee al suo stile. Ma non dimentichiamoci che anche Schopenhauer, ventenne, scriveva: "Togliamo dalla vita i pochi momenti della religione, dell'arte e dell'amore puro: cosa resta se non una serie di pensieri triviali?"... (Schopenhauer 1996: 13).





ARTHUR SCHOPENHAUER:

Nasce a Danzica nel 1788. Si laurea in filosofia a Jena nel 1813 con una tesi su La quadruplice radice del principio di ragion sufficiente. Queste riflessioni gnoseologiche sull'idealismo lo portano a sposare gli studi orientalistici allora nascenti e alla definizione in senso volontaristico e pessimistico del suo sistema, compiutamente esposto ne Il mondo come volontà e rappresentazione (1819). Schopenhauer tenta la via dell'insegnamento, ma si scontra con l'intellighenzia filosofica allora dominante, monopolizzata da una visione distorta del kantismo, il panlogismo razionalistico, il cui principale pubblicista, Hegel, riscuote il consenso assoluto. Tutti i dissentori sono messi a tacere: nel 1833, Schopenhauer si ritira allora a vita privata a Francoforte sul Meno. Una sua raccolta di aforismi, Parerga e paralipomena (1851), lo vede finalmente protagonista indiscusso del dibattito culturale europeo, ispirando le riflessioni e le opere, tra gli altri, di Julius Frauenstädt, Francesco De Sanctis, Richard Wagner... La morte lo coglie nel 1860.





PIERO MARTINETTI:

Nasce a Pont Canavese nel 1872. Si laurea in filosofia a Torino nel 1893 con una tesi su Il sistema Sankhya. Insegna filosofia teoretica e morale all'Università Statale di Milano dal 1906 al 1931, pubblicando opere di vasto respiro, come l'Introduzione alla metafisica e La libertà. Nel 1926 presiede il sesto Congresso Nazionale di Filosofia, o almeno tenta di farlo, dato che, per alcune polemiche sorte con agitatori politici fascisti (Armando Carlini) e cattolici (padre Agostino Gemelli, rettore dell'Università Cattolica), è costretto a ritirarsi e a sciogliere il congresso dopo soli due giorni. Nel 1931 il Ministro dell'educazione nazionale Balbino Giuliano impone ai professori universitari il giuramento al regime fascista: Martinetti fu tra i dodici che si rifiutarono recisamente fin dal primo momento "per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste ed annunzia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori" (da una lettera ad Adelchi Baratono, in Bobbio 1964: 104). Conosce il carcere nel 1935 per la sua sospetta corrispondenza con intellettuali invisi al regime, esponenti del movimento clandestino Giustizia e Libertà. Solo e malato, ma sorretto dall'amicizia di ammiratori, colleghi, discepoli ed ex-studenti (oltre che dall'affetto dei suoi numerosi gatti), muore a Cuorgnè nel 1943.





I FILOSOFI E IL SESSO:

"Il teologo va contro il sesso; il filosofo, invece, presuppone che il sesso non vada con lui... Alcuni dei più importanti scapoloni recalcitranti furono virginalmente asessuati, come Leibniz, Spinoza e Kant; mentre altri soffrirono una tormentata astinenza, come Kierkegaard o Nietzsche; quelli che si lasciarono prendere dagli ardori, come Abelardo, fecero una brutta fine. Neppure il matrimonio risulta essere una via normalizzatrice molto convincente: a cominciare dall'esempio di Socrate e Santippe... Se non avessimo avuto i philosophes del XVIII secolo -eccetto D'Alembert, naturalmente...-, Sant'Agostino, Bertrand Russell, Sartre e un pugno di audaci, dovremmo concludere che la filosofia è un'aria per soli contralti. Conforta allora ascoltare una confidenza del già anziano Ortega y Gasset a Octavio Paz: «Avere un pensiero è come avere un'erezione. Io ancora penso...»" (Savater 1992: 30).





BIBLIOGRAFIA:

· Bobbio Norberto, Italia civile (Lacaita, Manduria 1964).
· Evola Julius, Sesso e libertà (Stampa Alternativa, Viterbo 1994).
· Evola Julius, Metafisica del sesso (Mediterranee, Roma 1996).
· Giornata martinettiana: Torino, 16 novembre 1963 ("Filosofia", Torino 1964).
· Hartmann Eduard von, Philosophie des Unbewussten (Berlin 1904).
· Martinetti Piero, Breviario spirituale (Bresci, Torino 1972).
· Martinetti Piero, L'amore (Melangolo, Genova 1998).
· Savater Fernando, Filosofia e sessualità (Tranchida, Milano 1992).
· Schopenhauer Arthur, Metafisica dell'amore sessuale (Rizzoli, Milano 1992).
· Schopenhauer Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione (Mondadori, Milano 1989).
· Schopenhauer Arthur, Scritti postumi, I (Adelphi, Milano 1996).



VIDEOGRAFIA:

· Bergman, Ingmar: Una lezione d'amore. - En lektion i kärlek. - Svezia : 1953.
· Ivory, James: Maurice. - Gran Bretagna : 1987.
· Kieslowski, Krzysztof: Film bianco. - Trois couleurs: Blanc. - Francia ; Svizzera ; Polonia : 1994.
· Muccino, Gabriele: L'ultimo bacio. - Italia : 2001.
· Ullmann, Liv: L'infedele. - Svezia : 2001.


© Babilonia (n. 204, novembre 2001, pp. 60-62).



POSTILLE:

"L'amore non è una faccenda spirituale,
ma fisica, se non addirittura chimica!"

(Anacleto Verrecchia, Diario del Gran Paradiso.
- Torino : Fògola, 1997. - P. 197).


"Fu, il primo, uno sguardo casuale e rapidissimo. Ma, come avviene talora quando per la strada l'uomo incontra la donna e gli occhi si incrociano per una frazione di secondo e sul momento lui non ci fa caso però, fatti pochi passi, sente un rimescolio, quasi i due occhi sconosciuti gli avessero messo dentro una cosa che non si potrà mai più cancellare. E allora, dominato da un richiamo misterioso, arresta il passo, si volta e vede lei che, con identica mossa, in quello stesso istante, pur continuando a camminare, volge la testa indietro. Quindi per la seconda volta gli sguardi dei due si incontrano e ancor più forte quel turbamento, come acuta punta, si configge nell'animo, arcano presentimento di una fatalità"
(Dino Buzzati, Un torbido amore, in Il colombre.
- Milano : Mondadori, 1992. - P. 110).


"Ma davvero mi ami?
Non è che lo dici solo perché sei innamorato dell'idea dell'amore?"

(Luciano De Crescenzo, Vita di Luciano De Crescenzo scritta da lui medesimo.
- Milano : Mondadori, 1989. - P. 75).


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