Arthur Schopenhauer e lo schopenhaueriano italiano degli inizi del ventesimo secolo Piero Martinetti rappresentano due importanti figure nella storia della "filosofia religiosa", quella corrente razionalistica, cioè, che si prefigge di riportare la vita religiosa alle sue genuine radici filosofiche.
V'è un filone illuministico in Occidente che si è sempre fatto promotore di questa Weltanschauung e che si può far risalire all'Eleatismo, giù giù fino all'Ellenismo, al Neoplatonismo e ad alcune figure della nostra età moderna: Giordano Bruno, Baruch Spinoza, Immanuel Kant...
Ma è in Oriente, in India, che dobbiamo guardare se vogliamo conoscere dottrine che non subirono influenze nefaste dall'ambiente e dalla cultura circostanti: mi riferisco alle origini del Buddhismo e del Giainismo che, con purezza e onestà teoretiche, basandosi solamente sullo sforzo individuale, seppero rivolgersi contro la tradizione vedica e tentarono nuove soluzioni ai problemi dell'esistenza, valide ancor oggi!
Pensiamo solo al problematico concetto di "retribuzione" e alle gravi contraddizioni che ne scaturiscono una volta che lo si voglia applicare all'esperienza.
In questa, infatti, la logica conclusione che il male conosca, prima o poi, una giusta espiazione, a ben vedere, non è quasi mai confermata: è facile dimostrare, come Schopenhauer ha saputo più volte magistralmente fare (ma basterebbe conoscere anche solo un po' di letteratura universale per convincersene, che poi così di "fantasia" non è fatta!), "il lato terribile della vita, i dolori senza nome, le angosce dell'umanità, il trionfo dei malvagi, il beffardo dominio del caso, la disfatta irreparabile del giusto e dell'innocente" Il mondo come volontà e rappresentazione (Mondadori, Milano 1989) [W]: 366!¹
Martinetti non sa offrirci argomenti tratti dai tragediografi, greci come cristiani, europei come indiani, ma ha saputo scovare altrettanto interessanti referenti...
L'apocalissi di Esra, ad esempio, innalza a Dio questo lamento: "Tu sopporti i peccatori e risparmi gli empii: tu hai distrutto il tuo popolo, ma hai conservato i tuoi nemici. Meglio sarebbe mai non essere venuto al mondo che vivere nel peccato e soffrire e non saperne la ragione!" Gesù Cristo e il cristianesimo ("Rivista di Filosofia", Milano 1934) [GC]: 69.
E Baruch nella sua apocalissi: "Perché i giusti continuano a soffrire? Perché tarda il regno di Dio?" [GC]: 71.
Questi due autori auspicano finalmente una prossima distruzione del mondo.
In Oriente si è cercato di dare una risposta introducendo la dottrina del karma, complice la metempsicosi: l'anima espia rinascendo, e rinasce solo se vi è qualcosa da espiare!
Ancor oggi ci capita di sentire, nelle canzoni meno superficiali (cioè non meramente sentimentali), versi come questi:
Ciò che scagli su di noi
Un giorno ritornerà
Come un freddo boomerang
Che presto ti colpirà.²
Quanto presto? Se sì, certo non in questa vita: la giustizia è "divina", cioè meta-temporale: nella visione karmica la retribuzione avviene, comunque, nelle successive reincarnazioni (nel sistema castale: altrimenti non ha molto senso... Oppure nei regni vitali extra-antropici... Oppure ancora sempre nella nostra società: tanto chi è "decettivo" lo rimane eziandìo nel lusso di sete e marmi pregiati!); ma il bello è che anche la visione cristiana non differisce molto: la piena retribuzione avviene, infatti, nel giudizio finale! In entrambi i casi, non vi è assolutamente bisogno di una giustizia "terrena", storica, fenomenica... Cfr. Woody Allen, Citarsi addosso (Bompiani, Milano 1976): 27.
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