La spinta

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La spinta: questo è il personaggio centrale di ogni motore. Solamente che nei comuni motori questa spinta si sviluppa attraverso una serie graduale di passaggi, in parte di natura termochimica ed in parte (nella maggior parte) di natura meccanica, ed i suoi effetti sono in certo qual modo tangibile, suscettibili di essere apprezzati subito. Nel motore-razzo non esistono, invece, tutti questi passaggi ed il propellente, una volta acceso (cioè effettuata l’unica trasformazione termochimica alla quale deve essere assoggettato), viene avviato ad un’apposita uscita di scarico e qui, per semplice eiezione cioè semplicemente uscendo dal chiuso della camera di combustione all’aperto dello spazio esteriore, genera la spinta.

Si capisce subito che una spinta derivante dal veloce flusso di gas spesso perfino incolori (perciò invisibili), non può essere facilmente percepita.

 

Due qualità importanti

Le caratteristiche motrici di un propellente possono sintetizzarsi in due soli elementi: la durata per la quale esso è in grado di sviluppare questa spinta; l’entità. Il valore di questa spinta.

Nei confronti della durata bisogna distinguere i propellenti liquidi dai solidi; per i primi la durata è subordinata alla quantità di propellente disponibile (cioè alla capacità dei serbatoi), ma è stabilita dalla velocità della combustione. Entro certi limiti si può influire su quest’ultima variando l’afflusso dei propellenti nella camera di combustione, dal che deriva che nei motori-razzo a combustibili liquidi la velocità di combustione è regolabile. Questa regolazione non è stata fino ad oggi che raramente e poco sfruttata, per il semplice fatto che il più gran numero di applicazioni presuppone l’utilizzazione di essi a pieno regime e per un breve periodo di tempo; bisogna però prevedere che questa caratteristica di regolabilità servirà a mantenere un chiaro distacco fra i motori a propellenti solidi e quelli a propellenti liquidi.

Anche nei motori-razzo a propellente solido è importante la quantità di propellente disponibile, ma qui la velocità di combustione non è regolabile in quanto à una costante caratteristica del propellente stesso. Data dunque una certa quantità (un peso x) di propellente solido, la sua durata di combustione è praticamente fissata e da lì non si esce; né la combustione può essere arrestata, cosa che in linea di massima può essere perfettamente effettuata nei motori a propellenti liquidi chiudendo un rubinetto (a parte il modo come questa chiusura potrà effettuarsi). Si sono, tuttavia, studiati vari accorgimenti per cercare di variare la velocità della combustione, e quindi la durata di essa per una data quantità di propellente; l’unico per ottenere variazioni di questo genere è quello di variare la superficie di combustione, ossia la superficie di propellente solido impegnata nello stesso tempo a bruciare.

Ci sono molti tipi di forma data alla ‘cartucce’ di propellente tanto che si è riusciti non solo a variare la rapidità della combustione in senso assoluto, ma anche in senso relativo (ossia relativamente al procedere della combustione). A seconda della forma si hanno, in altri termini, cartucce a combustione costante, a combustione regolarmente rallentata, a combustione regolarmente accelerata, infine a combustione varia (ad esempio per tanti secondi crescente poi decrescente) e così via. Questi risultati si ottengono come si è detto, variando il "fronte di combustione"; se questo si mantiene di area costante, allora si ha una combustione a velocità costante ed una spinta pure costante; se l’area è crescente anche la spinta cresce (perché aumenta la quantità di propellente bruciato nell’unità di tempo); se l’area è decrescente anche la spinta decresce (per il motivo opposto).

Lasciando andare per il momento queste possibilità di variazione (che possono diventare preziose all’atto dell’applicazione, per ottenere determinati effetti), veniamo all’altro dato che interessa conoscere di un certo propellente. Esso è la spinta unitaria che è capace di sviluppare bruciando. E’ un dato di importanza fondamentale, perché caratterizza il propellente, e ne condiziona l’utilizzo.

 

Momento di spinta e pressione di spinta.

Dal punto di vista scientifico si distinguono due aspetti della spinta e precisamente quello che è il suo effetto dinamico (definito appunto con l’espressione "momento di spinta"), ed il suo effetto statico (definito come "pressione di spinta").

Il momento di spinta è definito come il prodotto della massa di propellente (naturalmente combusto) che esce nella unità di tempo al foro di scarico, moltiplicato per la velocità di eiezione.

La pressione di spinta è invece data dall’area del foro di scarico per la differenza delle pressioni interna del getto di scarico e quella regnante nell’ambiente esterno nel quale il getto scaturisce.

Da queste due definizioni scaturiscono alcune conseguenze che elencheremo perché permetteranno al lettore di rendersi conto di quelle caratteristiche proprie ai propellenti che debbono essere considerate più interessanti. Nei confronti della spinta dinamica (o momento di spinta), per aumentarla (cosa che è il desiderio di tutti coloro che utilizzano i motori-razzo) si può agire su due differenti elementi: la massa eiettata; la velocità con la quale avviene l’eiezione. E’ chiaro che se invece di lasciar fuggire gas leggeri dal foro di scarico, facessimo scapparne fuori granelli di sabbia, di gran lunga più pesanti, il prodotto in questione aumenterebbe di colpo. Ma sarebbe estremamente difficile attribuire 8senza spesa eccessiva) a granelli di sabbia di massa consistente le velocità di eiezione che invece riusciamo ad attribuire ai gas. Reciprocamente, se riuscissimo ad aumentare le velocità di scarico di questi gas, a parità di massa eiettata otterremmo un risultato analogo. Ecco dunque spiegato perché da una parte si cerca di realizzare propellenti che diano prodotti di scarico pesanti (si tende addirittura ad utilizzare metalli vaporizzati, dato che le molecole e gli atomi metallici pesano di più di quelli di liquidi o gas), dall’altra parte propellenti che diano velocità di eiezione sempre più elevate.

Nei confronti della pressione di spinta, a parità di area del foro di scarico (e non si costruiscono normalmente ugelli di scarico a sezione variabile, sebbene nella tecnica non ne manchino esempi) la spinta ottenuta da un determinato propellente aumenta man mano aumenta la differenza fra la pressione del getto e quella dell’ambiente nel quale esce; e si capisce subito che questa differenza diventa massima (e perciò è massima la spinta ottenuta) quando la pressione esterna diventa zero, nulla. Ciò spiega nuovamente perché il motore-razzo non solo è l’unico motore capace di funzionare nel vuoto, ma che addirittura è l’unico che nel vuoto dà il suo massimo rendimento.

Queste osservazioni hanno valore, come abbiamo detto, per le applicazioni dei motori-razzo. Noi qui nonci occupiamo delle applicazioni, ma del modo di valutare i propellenti. E da quanto sopra scaturisce che diversi sono gli elementi da determinare.

 

Molti parametri, un solo risultato.

Gli sperimentatori importanti, quelli che hanno a che fare con motori di tonnellate di spinta, hanno molti parametri a determinare perché lo studio del propellente resti completo. Nel caso importante, dunque, sono da determinare la temperatura del getto gassoso, la sua velocità, la quantità di propellente consumata in una unità di tempo, ed anche la pressione che il getto conserva alla sua uscita nell’aria ambiente. Questi dati sono evidentemente da misurarsi per poter applicare quelle formulette di cui parlavamo prima.

Queste, però, sono esperienze "da farmacista", per così dire, esperienze da laboratorio, per studiare più che altro l’individualità chimica del propellente e poterne valutare in via teorica tutte le possibilità. Sono cose utilissime, che però servono più allo scienziato che al tecnico.

Il tecnico lavora in forma più globale (o grossolana), cioè non si sofferma a calcolare gli elementi isolati che entrano nella formula di utilizzazione, ma praticamente il risultato finale. Ecco dunque che il tecnico prende il motore che vuole adoperare ed il propellente che ci vuole bruciare dentro. Preso un esemplare del primo, e munitolo di quella quantità di propellente occorrente, lo dispone su di un "banco di prova", lo accende e lo fa funzionare per un certo tempo. Durante il periodo di funzionamento egli misura i vari parametri che abbiamo sopra indicato, ma più che altro lo fa a scopo di controllo; ciò che misura con la massima attenzione è ovviamente la spinta globale che il motore sviluppa. Se si vogliono paragonare fra di loro due propellenti, onde valutarne separatamente le capacità rispettive, allora il tecnico ricorre al mezzo più semplice, ossia al confronto diretto. Dopo avere misurato la spinta sviluppata nel motore X di determinate caratteristiche, dal propellente A, vi immette l’altro propellente B che vuol confrontare col primo. A parità di tempo di durata, le due spinte fornite danno un elemento generico di confronto. Naturalmente non bisogna dimenticare la quantità di combustibile bruciata nei due casi, ciò che da’ la velocità di combustione, e cioè il consumo caratteristico dei due propellenti per confronto diretto.

Questo metodo di confronti globale è praticamente quello che nel nostro caso – volendo cioè rendervi conto delle capacità di spinta del nostro combustibile per modelli di razzi – applicheremo.

Per farlo occorrono (come scaturisce da ciò che abbiamo precedentemente detto) due sole cose: un motore-campione (che cioè sia sempre uguale per tutti i propellenti che vorremo esaminare), ed un banco prova.

Il motore-campione è ovviamente diverso sia che si abbia a che fare con propellenti solidi o liquidi. Per i primi la cosa è più facile: una capsula chiusa, di determinate proporzioni, nella quale si introdurranno le cartucce di propellente opportunamente calibrate, ed un tappo di chiusura nel quale è praticato un foro (ugello di scarico). Acceso il propellente mediante miscela o accensione elettrica, non c’è che da misurare la spinta sviluppata.

Il motore-campione per propellenti liquidi diventa una pura e semplice camera di combustione; ossia un vano chiuso (tranne l’apertura di scarico o ugello) nel quale si fanno convergere i liquidi che costituiscono il combustibile ed il carburante, e vi si fanno accendere con un metodo qualsiasi (per contatto, con un catalizzatore, con accensione elettrica o con un filo incandescente). Questo vano va collegato ai serbatoi rispettivi, ma non con semplici tubazioni, bensì con condotti protetti contro ogni possibile incidente (rottura, contatto con le fiamme, eventuale possibilità di miscela dei liquidi fuori della camera di combustione) ed inoltre con sistemi di sicurezza capaci di interrompere il flusso in caso che la combustione tendesse a propagarsi nelle tubazioni stesse (valvole di ritegno a un senso solo e scatto automatico comandato a pressione o a temperatura). Ci si rende conto, anche qui, che avere a che fare con i combustibili liquidi è sempre più complicato e pericoloso che non con i combustibili solidi.

 

Il banco-prova

Ed eccoci al punto centrale di tutto il nostro discorso: il banco-prova.

Infatti possedere il motore-campione è importante, ma più importante è il poterlo adoperare misurando la spinta che in esso viene sviluppata dal propellente. Questa misura è fondamentale. Solo conoscendo la spinta che potremo ottenere dal nostro propellente sapremo quanto potrà pesare il nostro razzo, e se potrà sollevarsi o no.

Da un punto di vista puramente teorico un banco-prova del genere che a noi interessa è estremamente semplice. Si tratta di un semplice dinamometro (letteralmente misuratore di forze), ciò che in termini pù volgari può anche definirsi una ‘bilancia’ (che, infatti, misura la forza ‘peso’). In realtà dal punto di vista pratico non è poi la cosa più semplice di questo mondo, e questo perché noi dobbiamo sforzarci di effettuare la nostra misura evitando tutti quegli errori che possono introdurvi effetti o forze esterne.

Un dinamometro di questo genere può essere costruito sia con la forza da misurare (spinta) agente in senso verticale che in senso orizzontale. Ovviamente non si prendono in considerazione direzioni inclinate, perché bisognerebbe allora calcolare "componenti di spinta" e di pesi dirette in questi due sensi principali.

Nella pratica normale (quella dei grandi stabilimenti di motori) le due tecniche vengono applicate indifferentemente. Esistono infatti banchi-prova verticali, col getto del motore diretto verso il basso, ed altri col getto diretto orizzontalmente. Del primo tipo sono anche in linea di massima quelli per motori di maggior potenza, e ciò deriva dal fatto che si tratta di motori di sostentazione e si desidera provarli ella posizione stessa che avranno nella pratica applicazione; il sistema però comporta varie complicazioni, sia per dare via libera al getto, sia per controbilanciare con esattezza tutti i pesi morti estranei all’esperienza (le ‘tare’ derivanti dal peso del motore, le sue attrezzature, le tubazioni etc.), Queste complicazioni, che possono essere affrontate, studiate ed eliminate in un grosso impianto, difficilmente potrebbero esserlo in uno piccolo quale quello che può servire al razzomodellista.

Per questa considerazione è allora preferibile il banco-prova orizzontale. Esso offre il vantaggio che la maggior parte dei pesi (quello del motorino e dei suoi accessori, degli strumenti di misura e registrazione) non hanno influenza, essendo assorbiti dai supporti, e che la spinta è l’unica forza orizzontale in gioco, e quindi l’unica della quale ci si ddeve preoccupare per misurarla.

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Il disegno schematico che pubblichiamo mostra un banco-prova a spinta orizzontale sistemato come un piano oscillante su gambe parallele ed imperniate alle estremità, che vengono a costituire un parallelogramma articolato. In questo modo il piano superiore è libero di oscillare sotto l’effetto della spinta S; ma questa libertà è contrastata da una molla tarata M, che è una vera e propria molla da stadera, e che quando è in riposo (ossia quando l’indice del quale sarà munita segna zero), tiene le gambe che reggono il piano oscillante perfettamente verticali.

Sul piano disporremo un ‘supporto di arresto), sul quale viene ad essere solidamente assicurato il motore-tipo di cui disporremo (può essere, all’atto pratico, esattamente il motore-razzo di cui avremo intenzione di servirci) mediante attacchi o fasce F. La molla M potrà avere un indice libero che scorre sulla scala (e che sarà osservato direttamente, a vista o tramite telecamera), oppure potrà disporre di un indice scrivente capace di tracciare su una carta che si svolga sotto l’indice (su un rullo, ad esempio) i suoi spostamenti, in modo da scrivere il diagramma dell’esperienza. La spinta segnata dalla molla M darà la spinta sviluppata dal motore R in relazione alla lunghezza delle gambe (b nella figura) e del punto di attacco della molla (a nella figura). Il rapporto è il seguente: S=(a/b)s nella quale S è la spinta del motore (che noi vogliamo conoscere) ed s è lo spostamento della molla, ossia lo sforzo segnato sulla molla durante il funzionamento del motore.

Se avremo disposto le cose in modo da avere un diagramma dell’esperienza, allora avremo nello stesso tempo uan visione concreta del modo come la spinta si è sviluppata e di quanto è durata. Sapremo, cioè, la durata di funzionamento del motore ed il modo come esso ha sviluppato la spinta.

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Se il diagramma è simile a quello in figura, sapremo che la durata di funzionamento sarà espressa dalla lunghezza D per quel numero di secondi occorrente (che avremo misurato in anticipo) perché quella lunghezza di carta passi sotto l’indice scrivente; che il razzo ha sviluppato una spinta crescente per il tempo a (in genere molto piccolo), l’ha mantenuta costante per il tempo d e poi si è afflosciato non bruscamente, ma in un tempo r. Con diagrammi simili potremo anche seguire l’effetto della diversa sagomatura delle cartucce di propellente, e vedere se avremo spinte costanti, crescenti, decrescenti etc.

La spinta del razzo va misurata in grammi. A questo valga la taratura della molla, che sarà fatta prima di ogni esperienza mediante l’applicazione di pesi noti e controllando che lo spostamento corrisponda bene.

Ed infine una raccomandazione: tenere uno schedario, o per lo meno un accurato registro di tutte le esperienze. In esso noterete la composizione del propellente, i risultati dell’esperienza, e sarebbe bene annotare le condizioni ambientali (temperatura ed umidità dell’aria) perché hanno influenza sui risultati.