Per un mondo migliore

Freeman Dyson




lunedì, 23 novembre 2009


        Freeman Dyson è un grande fisico, una personalità eclettica che ha a cuore il destino dell'uomo. Il brano che segue è tratto dalle pagine iniziali del suo libro "Turbare l'universo", edito dalla Boringhieri.

        Cercai di comprendere le radici profonde dell'odio che ci stava trascinando verso il conflitto, e conclusi che la causa fondamentale era l'ingiustizia. Se ciascun uomo avesse avuto una giusta parte delle ricchezze del mondo, se avesse avuto uguali possibilità nel gioco della vita, non ci sarebbero stati nè odio nè guerra. Giunsi così a rivolgermi l'antichissima domanda: Perchè Dio permette la guerra, e perchè Dio permette l'ingiustizia?, e non trovai risposta. Il problema dell'ingiustizia mi sembrava ancora più ostico di quello della guerra. Io avevo la fortuna di disporre di intelligenza, di buona salute, di libri, di istruzione, di una famiglia che mi amava, per non parlare del cibo, dei vestiti e di un tetto; come concepire un mondo in cui il figlio del minatore gallese e quello del contadino indiano fossero fortunati come me?

        La folgorazione mi giunse all'improvviso e inaspettata, un pomeriggio del mese di marzo, mentre stavo andando a leggere gli avvisi nella bacheca scolastica per vedere se ero nella lista di quelli che l'indomani dovevano giocare nella squadra di calcio. Non ero nella lista, e un lampo di luce interiore mi rivelò la risposta a entrambi i miei problemi: quello della guerra e quello dell'ingiustizia. Si trattava di una risposta straordinariamente semplice, e io la chiamai "unità cosmica". Essa diceva: C'è soltanto uno di tutti noi; tutti noi siamo la stessa persona; io sono te, e sono Winston Churchill e Hitler e Gandhi e ogni altro essere umano. Il problema dell'ingiustizia non esiste, poichè le tue sofferenze sono anche le mie, e il problema della guerra scomparirà se comprenderai che uccidendo me non farai altro che uccidere te stesso.

        Per qualche giorno sviluppai con tranquillità nella mia mente la metafisica dell'unità cosmica: più ci pensavo, più mi convincevo che la mia idea era la pura verità. Dal punto di vista logico era incontrovertibile: per la prima volta forniva alla scienza della morale un saldo sostegno; proponeva all'uomo una radicale inversione di sentimenti e mentalità:inversione che era la nostra unica speranza di pace in un momento di pericolo disperato. Rimaneva da risolvere solo un piccolo problema: dovevo trovare il modo di convertire il mondo al mio pensiero.

        L'opera di conversione iniziò assai lentamente: non sono un buon predicatore, e dopo aver esposto la nuova fede per due o tre volte ai miei compagni di scuola, vidi che era sempre più difficile tener viva la loro attenzione. Non erano particolarmente ansiosi di approfondire il concetto; anzi, tendevano a scantonare, quando mi vedevano arrivare da lontano. Erano bravi ragazzi, e di solito chiudevano un occhio sulle bizzarrie altrui, ma il mio tono di alta dedizione morale li inorridiva: quando predicavo, il mio modo di parlare finiva per assomigliare un pò troppo a quello del preside della scuola. Alla fine quindi riuscii a fare soltanto due proseliti: uno del tutto convinto, l'altro solo in parte, ma neppure il mio discepolo più convinto volle prendere parte all'opera di predicazione. Preferiva tenere per sé i suoi convincimenti. A questo punto, anch'io cominciai a sospettare che mi mancasse qualcuna delle qualità richieste a un capo religioso: la relatività era un campo più adatto a me. Dopo qualche mese rinunciai a fare nuovi proseliti; quando qualche amico mi domandava allegramente: "Allora, come sta oggi l'unità cosmica?", mi limitavo a rispondere: "Ottimamente, grazie", e lasciavo cadere il discorso.

        Durante le vacanze estive feci un ultimo tentativo di conversione. Chiesi a mia madre di fare un'altra passeggiata sull'argine, e le trasmisi il mio messaggio di speranza e di gloria. Fu, ovviamente, molto felice di vedere che avevo scoperto l'esistenza di altre cose nel cielo e sulla terra, oltre alle equazioni differenziali: mi sorrise, e quasi non parlò. Quando ebbi terminato, le domandai cosa pensasse delle mie idee, e lei mi rispose lentamente: "Si. Anch'io credo a qualcosa di simile. Da molto, molto tempo."



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