martedì, 24 marzo 2009
Riporto un brano tratto dal libro di Randy Pausch "L'ultima lezione". Nel nostro Paese abbiamo dato molta enfasi all'idea dei "diritti dell'uomo". Ed è un'ottima cosa, ma non ha senso parlare di diritti senza accennare anche alle responsabilità. I diritti devono pur avere una fonte, e provengono dalla comunità. In cambio, tutti noi abbiamo delle responsabilità nei confronti della comunità. Dobbiamo essere attenti al sociale. Molti di noi hanno smarrito quest'idea, e nei miei vent'anni di carriera come professore ho notato che sempre più studenti neppure afferrano più il concetto. L'idea che i diritti portino con se delle responsabilità risulta loro letteralmente estranea. Chiedevo agli studenti di sottoscrivere all'inizio di ogni semestre un accordo che stabiliva i loro diritti e le loro responsabilità. Dovevano acconsentire a lavorare in squadre, a partecipare a certi incontri, ad aiutare i compagni dando una valutazione onesta. In cambio, avevano il diritto di frequentare le lezioni, di ricevere osservazioni sul loro lavoro nonchè la possibilità di presentarlo e di darne una dimostrazione. Alcuni studenti erano riluttanti a sottoscrivere questi accordi, forse perchè noi adulti non siamo esattamente dei modelli di responsabilità sociale. Per esempio: tutti sbandieriamo il nostro diritto a un giusto processo con una giuria imparziale. Eppure molti fanno di tutto per aggirare l'obbligo di sedere tra i giurati. Così volevo che i miei studenti sapessero: tutti devono contribuire al bene comune. Non farlo ha un solo nome: egoismo. Mio padre non solo ci ha insegnato questo mettendolo in pratica ogni giorno nella sua vita, ma ha cercato sempre nuovi metodi per insegnarlo agli altri. Compì a quest proposito un'impresa notevole quando era presidente della Lega pulcini di baseball. Aveva avuto problemi a reclutare arbitri volontari. Era un lavoro ingrato, in parte perchè ogni volta che si decretava uno strike o un fuorigioco, qualche ragazzo o genitore protestava sbraitando che l'arbitro aveva visto male. C'era anche la questione dell'incolumità fisica: bisognava stare lì in piedi mentre ragazzini poco esperti tiravano mazzate a destra e a manca in battute violente e incontrollate. Comunque, papà ebbe un'idea. Anzichè reclutare persone adulte, chiamò i giocatori di squadre più grandi e li uso come arbitri per i più piccoli. Fece in modo che diventasse un onore essere selezionato come arbitro. Quest'idea produsse una catena di risultati. I ragazzi compresero che arbitrare è davvero un mestiere faticoso e da quel momento smisero quasi di protestare contro gli arbitri. Si sentivano anche utili perchè davano una mano ai ragazzini delle squadre più giovani. Nel frattempo i più piccoli vedevano i più grandi come esempi da seguire, perchè avevano permesso lo svolgimento del campionato. Mio padre aveva messo in piedi una rete sociale. Lui lo sapeva: quando lavoriamo per gli altri, diventiamo persone migliori. |