X

 

XTC

Mummer (1983)



Alcuni brani di Mummer possiedono una particolarissima connotazione, una freschezza e limpidità, come l'aria alla fine di una tempesta. Il filo conduttore è una originalità fluttuante, un'energia e una pulsione ancestrale e tribale, un fascino per l'ignoto, una paura/attrazione del/per il vuoto. Ci si ata avventurando in una sorta di wonderland, una storia concept dove ogni segno e destino sono ancora incerti per gli stessi descrittori visionari.
Il risultato è ampiamente godibile e apprezzabile per quanto detto sopra, molte sono le gemme benchè non tutto sia allo stesso livello (ci sono, a questo proposito, un paio di brani meno ispirati rispetto al livello qualitativo della loro produzione).

 

Skylarking (1986)

“…sub tegmine fagi
silvestrem tenui musam meditaris avena…”

“Skylarking”, brillante e trasparente, nitido e sottile, col suo gioco naturalistico di contorni marcati e di sentimento lirico, è un delizioso orto chiuso, protetto e intaccabile. Sobrio e uniforme al punto da far sembrare illogica l’idea che il suo governo abbia suscitato contrasti e dissidi tra i propri artefici.

È il tempo in cui l’arte musicale di Partridge e Moulding compie la più alta sintesi di sé, sfocia come non mai, apollinea e fastosa, in flutti Beatles e Beach Boys, a comporre un panegirico della Primavera.
Colore primaverile dunque come forma e valore unificante dell’opera. Le nebbie dell’alba si levano a favore di un’atmosfera luminosa, un chiarore che accarezza e leviga gli strumenti e le armonie vocali.
Xtc riprendono alcune atmosfere pastorali esibite in “Mummer” tre anni prima, spostandole in lande di Utopia; un luogo che è ricorso, quasi destino, se pensiamo alla figura del produttore del disco, quel Todd Rundgren genio assoluto del pop che di Utopia (la band) è fondatore e che qui ruba sovente la scena, imponendo a “Skylarking” simmetria e restaurazione in abiti immaginari e anomale essenze retrò. Argini minuziosi per acque che non straripino.

Il disco ha un’energia vitale quasi sottratta ad un caldo affresco campestre, che compie nel primo lato un autentico miracolo di musica pop. Prende vita tra le mani degli artefici un’ispiratissima scaletta di quadretti arcadici e simbolici idealmente corrisposti, che lascia sedotti.
Senza soluzione di continuità i brani ondeggiano intrecciati, scambiano e si rispecchiano sinuosi.
L’elegante varietà delle soluzioni strumentali e l’inserto di sottili effetti elettronici o d’ambiente (un’intro quasi amniotico di tastiera, il frinire di cicale) infonde ogni possibile ricchezza espressiva.
I battiti creoli su "Grass" sono attenuati rintocchi esotici riapparsi smussati rispetto agli analoghi, più crepitanti presidi di "Beating of Hearts" nel precedente “Mummer”.
Formidabili i trasporti in cristallino softpop psyche 60’s (pallino degli Xtc anche nei coevi alter-ego Dukes of Stratosphear) in "That's Really Super, Supergirl", nell’estasi "The Meeting Place" e "Season Cycle" (in cui la successione tra fasi diverse spinge a riflettere sulla fugacità del tempo); o un ritornello realizzato in una danza in cerchio nel giardino degli dei, citato dal verso “orange and lemon” in "Ballet for a Rainy Day".
Il segno del temporale anche su "1000 Umbrellas", percorsa obliqua da archi ostinati di Dave Gregory e dal violino sferzante di John Tenney con alcuni cori cupi a corredo. Raggi di luce spiovono influenti da nubi raggrumate.

Il secondo lato del disco accentua poliritmia e imprevedibilità compositiva, accorpa e avvalla riflessioni eterogenee, dispute nella penombra di uno scenario inviolato e misterioso, sfumato in giochi chiaroscurali.
Misticismo e sensualità effondono assorte e sospese dai tepori di "Another Satellite" e "Dying", sgargianti nelle allucinazioni acid-beat a Levante in "Big Day". Incanta l’arcana suggestione tra corde e ottone in "Mermaid Smiled" (così Partridge cita questo brano, espunto in alcune tracklist del disco: “This was briefly on Skylarking but when “Dear God” -which wasn't on the album at first- became a hit something had to go and so I took off the shortest song.”); "The Man Who Sailed Around His Soul" dopo un inizio stretto tra fremiti latini si fa quasi “hard-bop” alla Ben Sidran/Joe Jackson.
L’opera infine riaffiora e si leva nell’atmosfera, congedandosi da noi, nel disvelamento del torbido fingerpicking e in volteggi d’archi pirotecnici in "Sacrificial Bonfire".