Luis Alberto Spinetta


 

Pescado Rabioso - Pescado 2, 1973

Un doppio che miscela, con impareggiabili misura ed esito, vigore hard-blues, trame prog e armonie pop.
Il principale artefice è Luis Alberto Spinetta, giovane talento già in Almendra, che nella saga Pescado Rabioso si circonda di strumentisti d’eccezione. Chitarra ed organo protagonisti, egli lascia fluire libere visioni musicali indotte da universi onirici ed estatiche contemplazioni, diretti influssi dell’età lisergica.
L’aria si surriscalda e si fa tagliente in sfrenate fantasie chitarristiche di ruvida e spontanea aggressività psichedelica; sommate ad organo e percussioni lancinanti, esaltate dalle inusuali doti vocali di Spinetta.
Forme assimilabili ora ai Cream ora a Traffic o a Lynyrd Skynyrd, percorse con audacia e ispirazione (‘¡Hola pequeño ser!’, ‘Como el Viento Voy a Ver’, ‘Sombra de la noche negra’, ‘Nena Boba’).
A proposito della quale, nei momenti più inquieti, afflitti da nostalgia e solitudine, si avverte il tormento di Alex Chilton-Big Star: ‘Iniciado del Alba’, ‘Poseido del Alba’, ‘Viajero Naciendo’, ‘La cereza del Zar’, ‘Credulidad’ (il cui ansioso onirico tema di chitarra è stato indubbiamente ripreso e ribattezzato dai Pink Floyd in “Is there anybody out there?”).
Il fascino di quest’opera, così come di altre che seguiranno nella carriera di Spinetta, consta in un fervore artistico del tutto singolare ispirato da fascinazioni per l’inconscio e da un dissidio romantico che lo muove come un sonnambulo (i temi di caducità e rinascita..).

 

Pescado Rabioso - Artaud, 1973

“Fuggirò sempre come fuggirò qualunque tentativo per imprigionare la mia coscienza in precetti o formule, in una organizzazione verbale qualsiasi”.
Un insieme di figure melodiche in conturbante discontinuità: “Artaud” è sintesi e rinascita dell’alienazione tormentosa di Pescado 2 nello strano ordine del sogno e dell’illusione, che cancella cornici e identità.

Un emisfero nostalgico e instabile avvolto nel silenzio e nel mistero conclude la trilogia Pescado; canti blues quieti e stravaganti, ruscelli d’armonie beatlesiane vi scorrono come intrusi.
Primattore è l’eccentrico ardore libero e inquieto di Spinetta, una scrittura dal prodursi vivace e ondeggiante (che si farà “Kamikaze”), in una recita per nessuno di Artaud.
Di Artaud lo stesso istinto di fuga e dissoluzione, ricerca ‘rabiosa’ di un riscatto dalla presunta logica, dal precetto, dal simulacro.

 

Invisible - Durazno sangrando, 1975

Nel secondo atto di questo supergruppo si rinnova inconfondibile, elegante e possente la suggestione di una scrittura atipica, lirica e visionaria com’è quella di Spinetta, che sin dagli esordi con Almendra si innerva in un intenso rock-blues (Pappo’s Blues ed eredità Pescado), tanto quanto nel libero ibrido jazz rock prog all’europea (Soft Machine, Canterbury, Re Cremisi).
Un corpo maculato, ‘macchie solari’ dal retaggio melodico non convenzionale, che attirano magnetiche ..“en forma allucinatoria”.. e plagiano lo stesso demiurgo; il cui approccio emotivo al consueto volge teso, in multifocale stilistica, esotica, inquietante e ansiosa.

Imprevedibile è così il complesso Encadenado al ánima ed En una lejana playa del animus, morbidi e allucinati avvicendarsi, come intrecci di Lewis Carroll ed Abbey Road.
Altrove a pianura si celebra il romanticismo, un rigoglio primaverile dai riflessi accesi, tra grazia ed avventura, nella title-track, nei viluppi di Pleamar de águilas, nei tormenti ritentivi in Dios de la adolescencia.

 

Invisible - El jardín de los presentes, 1976

Ennesimo portento dell’ancora giovanissimo Luis Alberto Spinetta. Questo terzo, disarmante e risolutivo capitolo della saga Invisible, è un orto musicale di intense accensioni cromatiche affastellato da esuberanti armonici estri strumentali ed elementi di improvvisazione, a fare ora art-rock ora prog-jazz (“Alarma entre los ángeles”, “Ruido de magia”, “Niño condenado”, “Las golondrinas de Plaza de Mayo”).
Il richiamo costante è ancora sempre a quell’ atavico melodico, recesso nell'anima: l’ideale figurativo d’“Eldorado pop” (“El anillo del Capitán Beto”, “Doscientos años”), che nutre l’immaginario e le opere del musicista di Buenos Aires.
Corde, tastiere avvolgenti e percussioni all’unisono tessono col duttile canto dell’interprete, ispirando visioni di realtà e figure di grazia esplorabili dai sensi, scatenando ogni emotività.

 

Luis Alberto Spinetta - Kamikaze, 1982

Un radiante essenziale intimismo in grande anticipo sui tempi, fatalmente sospeso tra concreto e immaginario, verità e trasfigurazione, in questa perla cantautorale di Spinetta. “Kamikaze” è fatto di voce, chitarra o pianoforte (o tastiera) che librano astratti intrecci fuggevoli dai densi effetti cromatici e dalle chiare, definite linee melodiche.

Pervaso da un torrido languore, scosso nello stile ebbro e in un ritmo guizzante e libero, nei cambi improvvisi dell’autore, un altro Icaro sedotto, raggirato; sospinto dal vibrante romanticismo armonico che gli è congenito.
Questo è un blues scosso tra ragnatele armoniche e sottili trame diafane, che sconta fatale il proprio fato, l’incrollabile straziante solitudine di cui si compone in cui s’agita.

 

Spinetta Páez - la la la, 1986

Una collaborazione col tastierista Fito Páez (più Daniel Wirzt alla batteria) in cui Spinetta assolve il suo istinto pop senza rinunciare al senso aleatorio, al consueto senso d’astratto, al volubile blues del subconscio delle sue composizioni.
Un doppio album, diciannove brani in fiera, in un sublime e surreale supermarket di gusti. Un moderno, sofisticato eclettismo che s’accende in vene soul, in cori beatlesiani (Instant-Táneas), pezzi da camera (Retrato de Bambis), sguardi esotici, aerei (Tengo un mono) mercuriali tepori blues (la splendida Asilo en tu corazón, Jabalíes conejines); costantemente irrorati da acuti chiaroscuri di tastiera (Arrecife), lucide intuizioni che avvolgono e tingono l’ambiente quasi a’la Hisaishi (Woyseek).

La ballata romantica d’atmosfera classica si svela in più mirabili esempi, incendiando in fasce di colore, tra utopie e abbandono alla passione (Asilo en tu corazón, il technicolor di Dejaste ver tu corazón, Todos éstos años.., Pequeño ángel, Estoy atiborrado con tu amor).
Un progetto interessante e un esito di classe, talora giustamente privilegiato nella discografia ‘80 del “Flaco”. Páez farà fortuna con la carriera solista.