Pre-Indiepop


 

Se volessimo cercare i padri putativi dell'indie-pop, dove potremmo cominciare? Esisteva qualcosa di simile venticinque, trent'anni fa?
Cercando di mettere un pò d'ordine, capita di seminare caos. Indagando l'entità "indiepop" negli anni '70, vengono fuori termini come power-pop, pop-punk, mod revival, pub-rock.

Si prospettano intricate genealogie, che fanno capo a Move, Raspberries, Badfinger, Todd Rundgren, The Scruffs, Big Star, ovvero gli albori degli anni settanta. O, ancor prima, Who, Beach Boys, Beatles, Flamin' Groovies, Nazz.


Saltiamo a metà anni settanta: il pop si andava miscelando ininterrottamente. Già nel '74 bands come Big Star, The Scruffs o Sweet offrivano una ricetta che nel giro di due anni, avrebbe fatto proseliti.
Essi già possedevano grinta ed energia pura, assieme ad un irresistibile senso amatoriale propriamente “indie”.
Quando esplose il punk, ci fu come un big-bang infragenere, nuovo approccio alla materia, più scaltro, diretto, senza orpelli formali. E allora giù nuove e inaudite contaminazioni linguistiche, mutazioni irreversibili a diversi livelli.

Con l'iniezione adrenalinica del punk, il power-pop era pronto a diffondersi massivamente, tra vecchio e nuovo mondo. Alfieri del suono della nuova generazione furono i teen-idols stradaioli idrofobi e scalpitanti, nuovi menestrelli folk.

Alcuni million seller sono ben noti, artisti spesso eccellenti e sulla bocca di tutti: Cars, Blondie, The Police, Cheap Trick; gli esordienti Nick Lowe, Elvis Costello, Joe Jackson e Xtc.
Altri, come Madness, The Pop, The Romantics, Van Duren, giocavano più a situarsi su confini adult-oriented, ska revival, pop-soul.

Decisamente meno si sa di un altro mucchio di debuttanti, tra '76 e '80; musicalmente simili, ma attivi, per necessità o convinzione, in ambiti più underground.
Lavoravano per ottenere il massimo partendo dal minimo. Budget ristretti, registrazioni la cui fedeltà va dal discreto al citofonato; le melodie offrivano un corpo pop-rock nuovo, teso e in grado di bissare tanto l'innocenza e il candore dei primi teen-idols dei 'cinquanta, quanto la rabbiosa impulsività “teenage”, infettiva con pochi semplici accordi.
Nei loro dischi, soventi ritmi obliqui, non convenzionali e audaci, comunque d'impatto.
Gruppi com'è da pensare, di poca ricercatezza e alquanto sgangherati ma grande senso primordiale e compattezza di suono.
Precursori di culto della folta e multiforme progenie pop-rock odierna, questi autori fecero musica indie a tutti gli effetti.

I titoli dei loro album? Spesso, semplicemente mancano, non ci sono. Coincidono col nome del gruppo.
Esordi senza titolo, spazio lasciato vuoto, semplice introduzione del gruppo e di ciò che il gruppo ha da dire.
Manifesti bianchi dunque, aperti e lasciati al caso, al nuovo, al futuro.
Titoli assenti perché ancora da fare, ancora da vedere e scoprire, da realizzare.

E le copertine? Nuove, strane, diverse.
Stile casereccio, spigolose e affilate, collage dal linguaggio audace, persino shockante. Complici indubbie di questo nuovo spirito, memori dei caratteri ritagliati tipo brigatista, su Never Mind the Bollocks, Sex Pistols.

Allora come oggi: indie-bands da uno o due album col loro paio di immancabili e solide hits, ma dal destino mai troppo benevolo.
Ma il tempo (a volte) è galantuomo. Quindici di loro -che definiremo appunto 'i quindici'- sono stati oggi rispolverati, ripresentati, riconsigliati, in questa sede. Un pò come dire, la nostra modesta parte, l'abbiamo fatta...

 


The Nerves (The Nerves Records/Bomp, 1976)

We don't want to be part of the scene, we want to be the scene." (Jack Lee)

Assolutamente impensabile qualsiasi lista o breviario indie-pop di fine '70 senza nominare il trio Nerves. Il gruppo di Jack Lee (voce e chitarra), Peter Case (voce e basso) e Paul Collins (voce e batteria) nacque a Los Angeles nel 1975 e si sciolse nel '78 dopo appena un 7" autoprodotto.
Ciò che li rese leggende, oltre a una serie di trascinanti esibizioni dal vivo, fu la manciata di rade, fulminanti canzoni che scrissero.
Oltre al 7''omonimo, “Notre Demo” del 1981 e un omonimo dell'86 per Offence Records raccolgono le loro incisioni.
Tra esse, i classici immortali squisitamente pop-wave “Hanging on the Telephone" (poi nel repertorio di Blondie), “give me some time”, “paper dolls” tutte di Jack Lee, e “when you find out” di Peter Case.
Ciascuno dei musicisti si ripropose di lì a breve, fondando carriere o gruppi importanti come Plimsouls e Beat.
Ma l'esperienza The Nerves fu di quelle davvero indelebili, un amalgama di quelli rari.

 

The Knack - Get the Knack (1979)







The Rubinoos (Beserkley Record, 1977)

 

 


The Bongos - Drums Along The Hudson (PVC, 1982/Line Records)

Tra fine anni '70 e metà '80, i Bongos da Hoboken, New Jersey, furono i tre Richard Barone, chitarrista e compositore, Rob Norris al basso e Frank Giannini alla batteria. Questo primo album accorpa vari singoli e 12'' editi tra '80 e '81 per l'etichetta Fetish, più l'Ep di 8 brani “Time and the River”.

Wave e pop-rock tra Talking Heads, B52's e Tom Tom Club, qualche tocco di esotismo come i tamburi su “in the congo”, “burning bush” e “glow in the dark”, e il delirio free sax “certain harbours”. Ed è nell'accortezza e nella suggestione di questi assidui tocchi “perturbanti” che il gruppo sorprende.
Altrove la forma è più saputa e corrente: “video eyes”, “automatic doors”, “hunting”, “zebra club”.
Il doppio Ep “Numbers with Wings/Beat Hotel" (RCA, 1983) mostrerà la maturità del gruppo.

 


Squeeze - Cool For Cats (A&M, 1978)

Rispetto ad altri gruppi qui menzionati, gli Squeeze furono più prolifici e fortunati (vedi produzione esordio da parte di John Cale, e seguenti collaborazioni con Paul Carrack e Elvis Costello), oltre che talentuosi.
I primi album di questi cinque londinesi, targati '78-'80, restano indubbiamente i più freschi ed elettrizzanti, perfettamente in tono, anzi, vincolanti in ogni credibile lista pop degli anni settanta.
Il successo del miele intossicato di “Tempted” è ancora lontano, arriverà col tempo. E' il 1978: "Cool For Cats”, grande secondo album, lancia i cinque verso il successo. Linea voci-chitarra-basso-batteria, assieme a tastierine, poi tipiche, del suono Squeeze.
Al massimo fulgore le melodie del duo Chris Difford-Glenn Tilbrook: per molti i Lennon-McCartney dell'indie-pop di allora. "Slap and tickle", "revue", "up the junction", "goodbye girl", "cool for cats" sono tutti brani indimenticabili, da consumare senza posa, entrati di diritto nella leggenda del pop.
“Argybargy” (1980) accrescerà, se possibile, gli entusiasmi. Sense of humour e misadventures di tanti ragazzi inglesi, tra un match dei blues Chelsea e una (o più) half-pint al King's Road. Ma 'questi cinque' erano speciali. Inarrivabili.

 


Shoes - Black Vinyl Shoes (1977, Blank Vinyl Records)


Insieme ad altri maiuscoli del pop seventino come The Scruffs e Big Star, questo quartetto dell'Illinois composto da Jeff e John Murphy, Gary Klebe, e Skip Meyer (due chitarre, basso e batteria) ha portato avanti il linguaggio del genere, quasi reinventandolo su misura per la propria epoca.
Nuove prospettive offerte dal fai da te, da incisioni casalinghe e autoprodotte (è il caso dei due precedenti del gruppo, “Un Dans Versalles” e l'inedito “Bazooka”, del '75 e '76), e delle label personali (la loro, Black Vinyl Records).

Questo 'nuovo esordio' "Black Vinyl Shoes” fu inciso in casa dei Murphy (mai fu così palese!). Un muro di suono di gran fascino, personalissimo, un senso dei primordi in voci perdute, dissipate, immerse in distorsioni e strumenti acidi, noise e feedback.
A ben vedere è la stessa formula, pur non sempre schizoide, dei Guided By Voices di Bob Pollard e Tobin Sprout.
“Black Vinyl Shoes” è una memorabile collezione di brani pop-rock, da “boys don't lie” a “she'll disappear”; da “fire for awhile” a “someone finer”.
Che siano brevi o più articolati, sfoggiano una sorprendente varietà di registri alla cui scrittura contribuiscono tutti gli elementi del gruppo.



20/20 (Bomp, 1979)

20/20, attivi tra Tulsa e Los Angeles, furono i class-mate Steve Allen alla chitarra e Ron Flynt al basso, assieme con Mike Gallo alla batteria (poi Joel Turrisi) e Chris Silagyi alle tastiere. Suonarono un quintessenziale pop-rock glassato new wave, tra Cars e Tom Petty.
Armonie dai ritmi sostenuti, onnipresenti cori dalle reminiscenze Byrds e pareti di tastiere.
Anche questo gruppo, particolarmente in quest'album d'esordio, non lesinò alcuni grandi classici del genere, alla cui scrittura contribuirono tutti e quattro gli elementi.
Si prenda ad esempio “yellow pills” e “cheri”. Ma anche “tell me why”, “jet lag”, “leaving your world behind”, tutte carica e stile atmosferico; ma anche sorpresa autentica, nell'anticipo di indie-rock washingtoniano dell'incedere incalzante “remember the lightning”.


The Vapors - New Clear Days (1980, Liberty/United Artists Records)


Da Guildford i britannici The Vapors, fondati e guidati dal chitarrista ex-folkster Dave Fenton, realizzarono in questo esordio dell'80 un piccolo gioiello di new wave pop.
“New Clear Days”, sussultante one-hit wonder, respira sincopate atmosfere new wave aleggianti tra opposte sponde dell'Atlantico.
Vengono in mente affinità con i ritmi obliqui di Xtc, Devo e Talking Heads di fine settanta.
Perfettamente in linea con questo stile funambolico, è il brano che diede celebrità al gruppo: l'irresistibile, spasmodica "turning japanese", il cui singolare testo… “was deciphered as a paen to masturbation - looking facial distortions one pulls in the moment of climax”. Fenton, a riguardo, è più evasivo: “It means whatever you want it to mean”.
Altri momenti di sano isterismo pop, di pasta simile, li offrono “cold war”, “trains” e “spring collection”; ribadendo la singolare abilità dei Vapors di accordare neuroni e ormoni.


The Beat (1979, Columbia)

Gruppo di Los Angeles capitanato dall'ex-Nerves Paul Collins.
L'eredità dei Nerves è trasferita nel nuovo progetto dell'ex batterista. Melodie pop a volte powerizzate, infettive come “different kind of girl”, “walking out of love”, appena più smussate come “rock and roll girl” s'appaiano al primo Costello, e “don't wait up for me” agli Knack.
L'immediatezza di queste two-minute songs ritrae ineccepibilmente l'entusiasmo e lo spirito del pop del periodo: da viversi e bruciarsi durante l'ascolto.
La coesione d'insieme garantisce a questo album di porsi tra le migliori realtà in fieri del periodo, salvo dileguarsi dopo due soli album (oltre all'omonimo, “The kids are all the same”, del 1981), per intraprendere, Paul Collins, l'attività solista.

 

The db's - Stands for Decibels (1980 Shake)

 


The Toms (1979 Not Lame)

Alter-ego di Tom Marolda, polistrumentista del New Jersey, sorta di Todd Rundgren del low-fi/do-it-yourself.
Uno stile “secessionista” il suo, che anticipa i metodi economici di Robert Pollard e Lou Barlow.
A differenza di quello che si pensa, Marolda è artista prolifico come pochi. Questo suo nuovo impedibile esordio, intitolato semplicemente “Toms”, rappresentò un piccolo, grande culto per i seguaci del pop rock al tramonto dei settanta (“It sold 12 000 copies just by word of mouth", Creem Magazine), suona ancora oggi irresistibile e urgente, forte di canzoncine immediate, vischiose come mastice, tra Beatles, Kinks, e lo stesso Rundgren.

Da “let's be friends again”, a “you must have crossed my mind”, da “other boys do” a “wasn't that love in your eyes”, Marolda resta un esemplare pescatore di perle, tra fumi e vapori della tradizione e senso del nuovo.



Code Blue (Warner 1980)

Anima di questo trio è il chitarrista Dean Chamberlain di stanza a Los Angeles, già nei primi Motels (nonchè prolifico solista).
Chamberlain unisce a sé il batterista Randall Marsh e il bassista Michael Ostendorf (poi sostituito da Gary Tibbs) e dà vita ai Code Blue.
I tre offrono in questo omonimo del 1980 un avvincente esempio di power pop-rock, spesso accortamente agile e nervoso come insegnarono i primissimi Xtc (“whisper/touch”, “somebody knows”, “the need”) e Police (“burning bridges”). Arie non dissimili, producendo Nigel Grey, reduce dallo studio d'incisione di Sting e soci.
In questo vinile imperversano anche ventate rock'n'roll senza fronzoli (“other end of town”, “paint by numbers”) e più concilianti ingressi wave alla Cars (“where i am”, “settle for less”).

The Plimsouls (1981)



The Last - L.A. Explosion (Bomp!, 1979)

I losangelini The Last sono i tre fratelli Nolte: Joe il chitarrista, Mike la voce e David al basso, con una nostalgica ossessione per la musica della propria infanzia.
Il loro esordio, “L.A. Explosion” del '79, è uno sconcertante, disinvolto capolavoro, un modello di scrittura da american-graffitti, che attraversando, riluce d'immenso i generi della musica giovanile del passato ('50/'60) e del presente ('70).
Si ripercorrono beat, pop-syche, surf, garage, folk. E poi ritorno, al pop-rock del periodo. Si attinge da band come Kinks, Who, Everly Brothers, Rolling Stones, Modern Lovers, aprendo la breccia per gli anni '80, quando verranno gruppi spesso osannati come Violent Femmes, Dream Syndicate, Green.
“She don't know why i'm here”, “this kind of feeling”, “walk like me”, “slavedriver” “every summer day” ed altre, fanno di quest'album un colosso del pop-rock indipendente di tutte le epoche.
Il batterista Jack Reynolds e Vitus Matare all'organo, completano la formazione e contribuiscono in maniera decisa all'alchimia e al successo di un sound tra i più prodigiosamente maturi e sgargianti della propria generazione.

Altered Images - Happy Birthday (1981)



 

The Records (1979 On The Beach Recordings)

Strumenti risonanti, cori, registrazione non impeccabile. L'esordio dei britannici The Records cattura in auge l'essenza della tradizione power-pop degli anni settanta (via 'Byrds'), rivendicando filosofia e metodi propriamente indie di incisione 4-piste , con esiti che avrebbero tenuto alla larga qualsiasi padre putativo.
In effetti, Will Birch e John Wicks, batterista e chitarrista della formazione, concepiscono il loro gruppo come degli Knack da cantina. “The Records” (conosciuto anche come “Shades in Bed”), sfoggia affinità di strutture coi più spudorati Sweet (“teenarama”, “starry eyes”), efficaci intrecci vocali, a volte melensi ma anche acuminati, quasi a soppesare l'aggressività delle chitarre (“up all night”, “girl”). L'amalgama è impressionante, perfetto.

(novembre 2004)