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Natural Snow Buildings - Laurie Bird

Emozionante ritorno per Natural Snow Buildings, transalpino duo folk-drone attivo da dieci anni circa. Dietro la sigla i polistrumentisti Mehdi Ameziane e Solange Gularte, anche in Twinsistermoon e Isengrind.
La prima lunga traccia di questo nuovo album, diffuso purtroppo in tiratura limitata, si chiama “Song For Laurie Bird”: una complessa, screziata elegia nostalgica che accende un’alba nuova; un denso tripudio cromatico di tastiere cosmiche, rifrazioni oniriche, dissonanze e distorsioni estasiate.

Nel proprio corso, sul volgere, tracce acide, di misticismo; echi di vertiginose astratte tensioni in viluppo.
A volte tenera e chiarissima, altrove grave: questa suite è una sublimazione della bellezza che si manifesta piena e cosciente, che fiorisce inesplicabile e fuggevole. Per poi osservarsi mera sembianza, e sconvolta, serrare nel proprio dissidio.
Loops e drones in (dis)integrazione, quali componenti strutturali di un poema sonico, piovono giù in una cattedrale di vetro, come chiari frammenti di un film immaginario, che percorre a ritroso l’immaginario.
“Song For Laurie Bird” è un commosso memoriale, lucido e inquieto, un’opera nell’opera. Un tentativo di intercedere e comunicare attraverso il ‘medium’ musicale, avvicinando corpi, risvegliando anime.
 

“Cockmotherfighting” è d’altro canto il rovescio interiore, in prima persona. Dapprima innesca una danza tetra, incalzante e marziale, cadenzata e iper-rallentata, come fosse sui binari di uno spietato “slow-motion”, in simbiosi a una nota sequenza del film di riferimento ideale, “Cockfighter”.
Un cataclisma sospeso su un crinale del non ritorno, in cui qualcuno indugia in un gioco pericoloso.
Poi, lentamente, tutto addolcisce, stempera in una cantilena taumaturgica accesa e avvolgente. Un tripudio di colori che dà sollievo, mostra possibili realtà oltre la scorza d’assurdo che spinge al rigetto.
Bordate di psichedelia ipnotica e divorante, pulsante e vitale; una caotica stratosfera percorsa e segnata dall’angelico canto femminile.
 

“Orisha’s Laments” è un’altra processione suggestiva e ispida, coercitiva e abrasiva, che riluce e si accentua, trivellata di cuspidi scintillanti, intrisa di sonagli e di strumenti a corda; e che decompone accumulando livore, tra effetti e fragori.
Nel riprodurre immagini, agitandosi tra ombre senza nome, solleva figure ataviche, di riti sciamanici. Origina quindi un contrasto inquietante, nel proprio indistinto.

Natural Snow Buildings ripercorrono persuasivi l’angoscia e lo smarrimento di un’esistenza sull'orlo dell'abisso (la giovane Laurie Bird del titolo, che finì suicida), non distanti dalle atmosfere tese e ansiose, fatte di 'panoramiche musicali' distorte, che ispirarono il loro connazionale Ilitch/Thierry Muller nel suo "10 Suicides" (1980).
Da testimoni a cospetto, essi mimano l’angoscia: impuntata come un disco incantato, dimenata come in trappola; liberandosi sfocia protesa, inevitabilmente, in un “fade out” perpetuo. (marzo, 2008)

 

Isengrind / TwinSisterMoon / Natural Snow Buildings - The Snowbringer Cult (2008)

Disponibile da qualche mese sul mercato in un migliaio di copie, il doppio “The Snowbringer Cult” è compendio ideale, esaustivo e rivelatore, il più eccitante e inquieto tra i progetti di questo duo di trovatori d’oltralpe, lui e lei: Mehdi Ameziane e Solange Gularte alias Isengrind, Twinsistermoon e Natural Snow Buildings. Progetti nei quali hanno pubblicato e autoprodotto, a tiratura limitata e in ogni formato possibile – dal Cd-r al vinile, dai mini cd alle cassette-, una gran quantità di musica in 8 tracks Stereo.

Il loro è un particolarissimo weird-folk strumentale, cosmico e spirituale, è aereo e istintivo, è hippie ma anche austero, d’ampio respiro. Un rituale pregno di umori, proteso tra sogno e tradizione senza tempo; una fragorosa processione che si ammanta di un’aura surreale e allucinata, che reca e che gronda gioie e malesseri.

Si ergono ampi panneggi di drones e tamburi funerei: pitture in tinte aspre e accese, pennellate ampie e violente, ma parimenti prendono corpo ambienti rarefatti, in cui i densi rivoli di corde folk (dal banjo alla tampura, dal mandolino alla chitarra acustica) si estendono in inni e sospiri infiniti.
Un toccante senso di dolore, d’oppressione e caducità stillano spontaneamente e senza compromessi da ogni brano ed ogni ambiente, evocati come un mistico, assurdo sortilegio.
La rara voce muliebre mima con gli strumenti l’eterna tragedia dell’umanità in una poesia perpetua, straziata e senza parole, attraverso richiami, echi o canti che vaneggiano dolci svaporando perenni, in languidi echi lontani e sinistri.

Nella parte centrale dell’album, nel cuore ardente riservato alla creatura Twinsistermoon, Mehdi evidentemente incarna una Medea lacerata, che sconta angoscia e isolamento librandosi in canti melliflui e catartici.
Nondimeno, affiora agli occhi una Vashti Bunyan assorta in un limbo, che geme inerme innanzi a noi, rassegnata in un’estasi, protesa in un tormento nostalgico; un supplizio in stille di corde, scosse e segnate (“The Spears Of The Wolf”, “Kingdom Of The Sea”).

L’ampia e ridondante panoramica affidata poi a Natural Snow Buildings, in cui volge e tramonta questa saga, questo cosmo sonico, s’affida a lunghe e rapinose fughe quali “Salt Signs”, “The Desert Has Eyes” e “They Do Not Come Knocking There Anymore”, offrendo un “totale” esauriente di un’arte esotica e pagana, ora splendente ora tetra.

Su “The Snowbringer Cult” si trovano, più che ogni altrove, i due artefici, Mehdi Ameziane e Solange Gularte, a tutto tondo. “The Snowbringer Cult” è un’apparizione fantasiosa e vivida, la visione di un ancestrale espressionismo musicale suggestivo e violento, brado e ribelle; un mantra possente e ossessivo, come magma che cola a valle, arcaico e inesorabile.
(Fabio R., 2008)

 

NED DOHENY

Hard Candy (Columbia, 1976)
Prone (Columbia 1978, 1979)

Tra il 1976 e il 1978 questo cantautore californiano realizza due tra i più brillanti album di pop west-coast.
Entrambi prodotti da Steve Cropper (arrangiatore, chitarra aggiunta), Hard Candy e Prone sono segnatamente secondo e terzo atto della breve e altalenante carriera di Doheny.
Due album-capolavoro che con le proprie ipotesi di suono tratteggiarono un intero immaginario musicale.

Nel 1976 Hard Candy costituì una piacevole novità, inesauribile desiderio, multifocale prospettiva ora su piste soul, vice Motown e Stax -"get it up for love", "Valentine"-, ora pop (variamente funk) -"if you should fall", le squillanti e cangevoli meraviglie di "each time you pray", "sing to me", "on the swingshift"-, o comporre continue, inaudite ibridazioni, morbide alchimie d' insuperato esito -"when love hangs in the balance", "a love of your own"- e il conclusivo, superbo lento "Valentine".

il secondo, "Prone", composto nel 1977, è il plausibile parossistico punto d'arrivo della ricerca intrapresa da Doheny e dagli strumentisti di cui si circondava. Un altro inestimabile esito di gruppo, senza nulla togliere al protagonista Doheny.


Grandissima eleganza e purezza eufonica, sfavillante e visionario omphalos di pop sofisticato. Suoni più rivolti in forma canzone rispetto ad Hard Candy, tuttavia ancora rimasti sospesi, un perenne bilico, senza, sbilanciandosi, rivolgersi a un genere, come invece compromisero tanti altri più o meno stimabili successori lì a poco.
Prone è mimesi pura, è un inno, un inno per la California. Ma la California non l'ha mai vista.
Mai pubblicato nei patrii U.S.A. da Columbia, l'album trovò asilo due anni dopo in Giappone.
Album fantasma dunque, che verrebbe oggi conteso o quantomeno, pubblicato senza problemi da dozzine di micro etichette discografiche.

Brani mirabili come "to prove my love" "the devil in you" e soprattutto "funky love" svelano un'arte pop senza tempo, prototipi senza figli e figliocci, sempiterni fiori all'occhiello della produzione pop U.S.A., sunny side.
Zeppo di appetibili brani che disegnano un'esemplare, scioccante scaletta pop-soul funk. Si pensi ai nuyorkesi Steely Dan in vacanza (post-Aja), o a un Todd Rundgren più sentimentalmente conteso, meno titano (ma altrettanto integerrimo) della sala d'incisione.
Doheny qui stilla il suono che quindici anni dopo ricalcherà, con assai più artificio, Jason Kay; il quale ironicamente pubblicherà, con gran plauso, per la stessa etichetta discografica di Doheny.
Ned Doheny è un musicista pop all'avanguardia. Ancora oggi questi suoi due dischi suonano perfettamente integri e correnti.
(estate 2004)

 

Nedelle

Republic Of Two (2003 Kimchee records)


Nedelle Torrisi è nata a Vacaville, Nord California. Oltre a comporre e a cantare è anche polistrumentista (suonando chitarra, organo, piano e violino) cresciuta in una famiglia di musicisti jazz.
Assieme a Jordan Darlymple (alla battera e all'organo) gestisce il progetto Nedelle, con l'aiuto di altri amici come Shayde Sartin e Zack Proto che si alternano al basso, e David Copenhafer chitarrista aggiunto.
Un nuovo album dal nome Summerland è stato preparato, la cui uscita è prevista per l'anno prossimo.

Republic Of Two è un delizioso piccolo album per una giovane interprete californiana di Sacramento.
Un pop tenue, con smaglianti venature soul avvicina ai primi Everything But The Girl e Carmen.

Un'idea aggiunta di bossa, l'atmosfera amatoriale (ma non trascurata) e la strumentazione vintage tipica di questi tempi rende pressoché inestimabile quest'incontro di mezzo autunno.
La gracile Nedelle possiede un timbro non alto ma intenso e coinvolto, un'interpretazione sobria che evoca un'idea spasimante, di malinconia e di sottile misteriosa inquietudine.
Una familiarità con Ella Fitzgerald, Shirelles e Tracey Thorn, è stato notato.
Republic Of Two è un'esordio toccante, composto di undici panneggi en plein air di durata spesso irrisoria e del tutto inadeguata a fortificarli, ma è forse (anzi, sicuramente) meglio così, per giustificare e lodare il loro intimo delicato e sperduto, un metabolismo vulnerabile.
Tra le tante micro-gemme giova ricordare “these days” (un desiderio di neppure un minuto), “come around” (melodia cristallina, armonie vocali seducenti che richiamano un pop acustico anni ottanta), “too late” (un'incantevole bossanova fra voce e tastiere), “possess me” (un altro gioiello di solitudine), “grow willow grow”(con cori femminili e pianoforte per un'aria quasi gospel).
(autunno 2003)


From the Lion's Mouth (Kill Rock Stars, 2005)

Dopo le piacevoli didascalie bossa a'la Marine Girls e Tracey Thorn, sull'esordio “Republic of two” del 2003 e “Summerland” del 2004 (realizzato assieme al musicista e sound-engeneer Thom Moore), la tenera polistrumentista californiana Nedelle Torrisi torna, notevolmente maturata, nella scuderia della mitica eclettica Kill Rock Stars, forte d'uno stile ben valutato, mantenendo assieme natali liberi e viandanti.

Nedelle la devota si nutre ancora della memoria di giornate trascorse coi vinili paterni, ma in più sa come rubar con gli occhi mestiere e apparenze a Joanna Newsom, Ani DiFranco o Diane Cluck, o al Mccartney del primo periodo post-Beatles.

Note di corde sollevano toni disinganno e mestizie, spoglie o a volte accese da cadenze d'arco o fiati. E sbocciano innanzi a noi piccoli, luminosi capolavori di interpretazione e di arrangiamento come “tell me a story”, “blundering wood”, "oh, no!", “our little selves” accesa di rapinosi toni verdeoro, “good grief” piccolo capolavoro di due minuti ove lo spirito torna a immergersi in quell'”Eden” ideale, con le sue sterzate a'la Laura Nyro, e l'inviolata, maccartiana “world warrior”.

Il pathos si immerge e si stempera in sensi di dolcezza, ma non scolora. Dolci strofinii di leggiadri cori femminili e stasi di suadente e soave grazia giungono all'orecchio in punta di strumento.
Nedelle Torrisi diventa così l'anima candida di Kill Rock Stars. Genera continuamente climi di serenità riconoscendosi prontamente, più che cercare ipocritamente identità altrui agitando angosce e tristezze che non possiede, solo per tacer dell'etichetta cantautorale.
Una giovane interprete sempre molto piacevole, che affascina veder crescere.
(primavera, 2005)

 


Need New Body - Where's Black Ben? (5RC, 2005)

Il disco che non ti aspetti. Dopo un primo Need New Body (omonimo, Pickled Egg, 2000) piece art-wave bella radicale, coagulo e frammento di Beefheart, This Heat e Residents, Silver Apples e Colin Newman, pubblicato nell'indifferenza generale, scovato e apprezzato da una nicchia di estimatori ossessionati da nuovi mondi possibili, atterrava (e atterriva) il secondo " UFO " (Pickled Egg, 2002), monstre dagli occhi faustiani, alieno ma più domesticabile (i piccoletti di Close Encounters, per dire), gettava ponti, mediazioni, compromessi pop-wave.
Un altro passo ancora, insomma, e NNB sarebbero stati, irreversibilmente, i nuovi Pavement, Sebadoh, insomma, il successo, la prima pagina. E invece. Il nuovissimo Where's Black Ben? (2005 5 Rue Christine), si rituffa inopinatamente nel magma, torna nulla e tutto, collage art-rock, new-thing acommerciale di fighetti che repellono fighetti, Zappa sui piedi, musica essenzialmente per passione, per spirito.

Esigenza costante di uscir di pelle, di far uscire di pelle la musica circostante, nuove ipotesi, nuove direzioni in musica (senza offesa per Miles Davis) sogno di non-conferme. Seguire il proprio libero delirio di band, necessità di nuove forme costantemente febbrilizzate.
Inquietanti esplorazioni strumentali, mutamenti di ritmo, batteria ariete in avanscoperta. Un incipit fantastico spiana la strada, tutto basso e voci salmodia come Brite tha day , chorus assassino che e asciuga la "Giuliani" di !!! regredendoli ai propri esordi; più in là un banjo pop minimale alla Sufjan, proiettato on outer space, "chiacchierato" dalla nostra combriccola, di poppa B . Provate e vi ritroverete tutti a canticchiare per strada "na na na naaaa.... my dancing shoes, my dancing shoes ". Immezzo, tutto destruttura, molecolarizza, come entro il vortice d'una gravità alterata. E'delirio Dada, flusso di sensi in prospettiva infantile (ripulitasi dall'esibizione compiaciuta dell'era slacker ), i giustamente evocati Thinking Fellers Union Local e Caroliner , nelle variopinte fantasie strumentali delle tante totally pos paas, mouthbreather, outerspace, inner gift, peruividia.
Insomma, fossero stati bene, in salute intendo, e fossero rimasti lì, soddisfatti dei propri corpi, Need New Body avrebbero consegnato al mondo un album domestico, un regolare banchetto Beck-Barlow appena aggiornato.
Invece, meraviglia. Sorpresa. Squillo di trombe (nel vero senso): ecco la molla avanguardia, l'orgoglio intellettuale, il gusto della sofisticazione-wave, lo sberleffo ala regola, l'attaccamento ancestrale alla cantina. Rinnovarsi, smettere i panni al resto del mondo, dunque: noi si resta a inventare, prospettare e a divertirci assieme in garage.
In sintesi, Where's Black Ben è per me uno dei dischi più vertiginosi ed entusiasmanti del 2005. Ciò che avrei auspicato da Gang Gang Dance, dopo il loro capolavoroso Tour-cd.
Tra i più fuori, consustanzialmente nuovi e inopinabili finora; tra i più ( tra i più per dire: dove sono infatti gli altri? a casa a filare la calzamaglia) più schizzati, polimorfi, sgargianti, euforicamente diversi, eppure coerenti est a ticamente.
NB - da un rapido sguardo sul web, per l'ennesima volta i nerds yankee sputano nel piatto in cui mangiano. Non fidatevi delle loro parole (neppure di queste) e ponete orecchio in questa ipotesi di musica eccitante.


NEU! Neu!2 (1973)


Neu! è un Faust fatalmente irretito dal maligno, dal torbido, un'anima sedotta dalla lascivia e dall'ostilità.
La colpa è aver osato visitare la sfera dell'ignoto, portandosi oltre, oltrepassando il possibile. La tragicità sta nella consapevolezza, che segue al peccato di hybris.
Violatore delle regole, peccatore indurito e disperato, Neu! vive il delirio.

Le percussioni convulsive e lancinanti, le impressionanti distorsioni di chitarra, gli sconvolti deliri vocali nelle pareti di lila engel, la sordità disumana, la cupa potenza nelle piaghe e nel clangore livido e maligno di Hallo excentrico!, il cuore di ferro di super 16 e Cassetto, l'isteria psicotica in super 78 non rappresentano staticamente il loro grado di giri alterato, di stretching di tempo. Sono già spazio-temporalmente altro. Dispongono rallentamenti e accelerazioni semantici che intuiscono dati e codici sottostanti, elementi e piaghe invisibili ma attivi. Scrutano con grande incisività mutazioni e degenerazioni, indizi di un'alterazione nascosta dalla normalità.

La disintegrazione fisica é accompagnata alla disintegrazione del linguaggio (e del cantato). Un silenzio trasparente, rivelatore; sparse rovine, frammenti della memoria legati al reato che scivolano ruvidi senza grazia su una puntina di giradischi.

Neu!2 è conforme al discorso tragico, il cui principio organizzatore è esterno alla sfera dei valori e alla solidarietà etica tra autore e pubblico.
Il tragico è scepsi, ricerca solitaria, enigma, ambiguità, interrogazione: da qui deriva l'assenza di messaggio, il silenzio, la relatività. Tutte caratteristiche proprie di quest'opera sconvolgente e irripetibile, che capitalizzando il fortuito di un budget ridotto ha fatto epoca.

(inverno, 2003)

 

THE NEW PORNOGRAPHERS

Electric Version (2003)

Il quintetto canadese The New Pornographers è nato rastrellando gli elementi da ogni dove.
Carl Newman ex Zumpano, compositore e arrangiatore, Den Bejar compositore anch'esso attivo in proprio (Destroyer), la frontgirl del gruppo Neko Case ex esponente folk, John Collins al basso, già Narduar's Evaporators e Smuggler, il tastierista Blaine Thurier e il batterista Kurt Dahle.

The New Pornographers propongono una avvincente, policroma miscela di poprock retrò, tra new wave e glam.
I New Pornographers sono una band che dovrebbe stuzzicare l'interesse dei fans del power pop di ogni epoca, a seguito di un esordio trascinante che non si dimentica -Mass Romantic del 2000 Mint Records, edito poi in Italia nel 2002 da Matador-; per chi scrive, straordinario esempio del genere.
Per farsi ricordare, Mass Romantic possedeva tutte le canzoni (the fake headlines, dovessimo fare solo un nome), canzoni simili per struttura ma altrettanto per esiti.
Una base di rombi di chitarra e ritmiche incalzanti, toni cantilenanti e/o urgenti, melodie e ritornelli ineccepibili.
Logico che l'attesa per il nuovo capitolo fosse pressoché febbrile.
In questo nuovo Electric Version la forma non cambia di una virgola, e questo sarebbe già un punto a favore, prescrivendo il genere un adesione e un conformismo totale, anche a distanza di trent'anni dalla nascita.
Scorrono new wave (in particolare Knack e Cars, poi DB's, Feelies, Utopia), glam (T.Rex, Tubes), punk pop (Superchunk, Fastbacks ecc.).
Il fatto di non modificare il modello può non sempre portare al simile ineccepibile risultato.
Pur non demeritando si ha l'impressione che Newman, Case e soci abbiano raggruppato senza guardare granché al processo. Electric Version é un pò confusionario e incerto qualitativamente, dunque.
A volte lo smalto, la freschezza e l'aggressività suadente del primo album é agevolmente recuperata (the laws have changed, the brown speakers, miss teen wordpower, loose translation, all for swinging around you, the electric version…).
Electric Version possiede una immediatezza affine all'esordio pur privandosi di quella invidiabile, brada fisicità che caratterizza solo i capolavori del genere.
(primavera 2003)

Twin Cinema (2005)

In mezzo a tanti progetti collaterali, i New Pornographers -ben sette: Dan Bejar, Carl Newman, Neko Case, John Collins, Kurt Dahle, Todd Fancey, Blaine Thurier- non smarriscono la bussola proseguendo i propri sinodi. Un supergruppo dunque, forse quello per antonomasia del pop contemporaneo, in pianta stabile ormai, gustosa abitudine.
Questo terzo album a nome “Twin Cinema” offre nuovamente un viaggio a ritroso nel pop, 360 gradi tra scosse power, tripudi orchestrali, ballate canoniche senza privarsi, l'insieme, di quella suspance dovuta in particolare all'abile arte di due mastri compositori come Dan Bejar e Carl Newman.

Una formula non più forsennata come nell'esordio “Mass Romantic” -del quale, personalmente, mai cesserò di tesser lodi-. Una teoria del “giusto mezzo” che può accettarsi di buon grado, pur se ahimè a scapito di certo istinto “killer” dissennato che esaltò gli esordi dei Pornografi.
La ricetta oggi è più ordinata e composta, meno immediata e più pensata.
In questo terzo album c'è comunque uno spazio per tutto. Si prendano ad esempio la title track "Twin Cinema”, eccitante ripasso del repertorio power-pop del gruppo, tra Cars e Nerves, così come "Star Bodies”. Le voci della Case (un po' Blondie un po' Crasse Hynde) e di Newman si involano con grande efficacia in duetti avvincenti.
Non mancano spunti strumentali di livello come nel crescendo nel refrain di “Falling Through Your Clothes”.

Altrove primeggia Dan Bejar, l'altro caposquadra del gruppo. “Jackie, Dressed In Cobras” e “Broken Breads” sono quasi extended anfetaminiche delle numerose gemme dell'ultimo Destroyer (ovvero il suo progetto solista). Bejar è dei sette l'interprete che più ammiro, forse il talento effettivo e più lucido del gruppo. Quando alza la testa sono dolori (in senso buono): i due brani menzionati sopra sono assolutamente vibranti e varrebbero da soli il prezzo del disco.

In tutta onestà tuttavia mi attendevo qualcosa in più dal ritorno di New Pornographers, data l'attesa di due anni e più, stante l'indiscutibile valore individuale/collettivo dei protagonisti.
Alcuni brani sono meno all'altezza di altri, se taluni sono poco più che doppioni del vecchio repertorio, talaltri appaiono un po' deboli e pigri, col rischio di svigorire spinte e propulsioni dell'insieme, che tra l'altro risulta anche un po'disordinato.
Molti di questi musicisti sono in effetti stati coinvolti nei rispettivi progetti individuali e il tempo speso assieme non è stato sufficiente a partorire un'opera memorabile.
Tuttavia ci si può soddisfare: ho come l'impressione che senza l'espressione di gruppi come New Pornographers il pop stesso, la sua coscienza, avrebbe a rimetterci.
(agosto, 2005)

NICE SYSTEM - Playing with a different sex (2001)

Nice System é il progetto parallelo dei membri di Remington Super 60, il gruppo norvegese capitanato da Christoffer Schou, che l'anno scorso fu capace di incantarci con quel clamoroso esordio, etereo e nostalgico, a nome Pling 2001, pubblicato da S.h.a.d.o.
Il disco di Nice System é distribuito in Europa attraverso l'etichetta fiorentina ed è stato rivelato dalla statunitense Radio Khartoum, che dopo "De Loin, Les Choses" del francese Gypsophile è tornata a deliziarci con un altro gioiellino, di durata appena superiore ad ep, ancora teneramente malinconico e incantatamente sospeso in un limbo.
La memorabile copertina inquadra un ragazzo e una ragazza colleghi al lavoro in un call center. Lo sguardo dell'uomo è fisso su di lei, perduto. Vorrebbe nascondere l'imbarazzo ma l'espressione tradisce quello che prova.
Le canzoni dell'album, accostate a tale immagine, indicano il complemento in musica. Potrebbero rappresentare pensieri, sensazioni, visioni, ciò che quel ragazzo sogna dentro di sé di poter rivelare a lei, ma che è assolutamente incapace di fare. Una sottile enfasi viene trasmessa all'ascoltatore dagli strumenti acustici; echi di delicate tastiere a cui non è alieno un certo lodevole gusto per la sperimentazione. Comunicano fragilità e vulnerabilità, debolezze di un carattere candido e fragile, che rende perfettamente vano ogni tentativo di rimedio.
Prima o poi si comincerà a parlare di Christoffer Schou quale novello Brian Wilson e Burt Bacharach, e oltre.
(primavera 2001)

99 CENT DREAM – The Hottest Demo Of The Season – Greatest Hits vol.10

Le raccolte“99 Cent Dream” composte dal solista di Portland J. Gray (anche collaboratore della band concittadina Sauvie Island Moon Rocket Factory), con 4 e 8 piste casalingo, incarnano idealmente quella particolare impronta psichedelica minimale e sotterranea, dolce e torbida, inseguita dall'etichetta Best Kept Secret.
Una deriva depressa e svaporata, mai apocalittica.

Arie dissolte e stemperate provenienti da chitarra e elettro tastiere romantiche levano detriti Smiths e Velvet Undreground più abulici, con distorsioni noise (Disco, Transitional sunshine), assieme all'interpretazione stonata di Gray suggeriscono un senso visionario, estasiato e pastorale a volte non dissimile da Young Marble Giants, Durutti Column (Child of the 70's, Julia stiles' boyfriend, All the guns and roses…, Your space), ma anche Silver Jews (Miranda).

L'insieme è costituito da seducenti atmosfere invischiate in una consueta malinconia, a mostrare una creatività sensibile, tenera, stralunata non disgiunta da una quale intrigante inclinazione allo sperimentalismo (Composition 1, Swell).
(ago.2003)

 

NIZA - Canciones de Temporada

Ancora Spagna, Niza sono i madrileni Silvia e Roberto, più gli amici strumentisti Guille Ellos al basso, Erik alla batteria, più qualche intervento dell'Orchestra Sinfonica di Granada.
Accasati da Elephant, in ottima compagnia.
Dopo due singoli fra 1999 e 2000 diffusi anche in Giappone, ecco l'esordio, realizzato a Granada dopo una lunga gestazione, prodotto da Ian Catt già con St. Etienne, Nosoträsh e Trembling Blue Stars.
Con questi ultimi (più Harper Lee, Souvenir, Lovejoy) Niza hanno diviso recentemente il palco dal vivo.
Niza è un'ennesima magia ispanica.Canciones de Temporada è esordio di discinta sensibilità, perplessa tra languore nostalgico e ardente allegria, a scacciare i cattivi pensieri e pulire i graffi del tempo.
Tradiscono le promesse, l'allegria e la beatitudine dell'incipiente Amor cubico: già Por las tardes ammonisce coi propri timori e le inquietudini di fiati, fisarmonica, viola e chitarra.
E poi ancora sopraggiungono, incantatori, l'aurora Isolee, i pentimenti di Solsticio de verano, Septiembre, Tan fragil, Tal como eramos.
La vocina svanita e premurosa di Silvia, il suo accento castigliano, si strugge senza commiserarsi, ispirando un'immagine materna, un senso d'amore istintivo, innato.
Una panacea cui congiungersi e condividere sconforto.
Benevola perché disperata, pudica perché vulnerabile.
Arde per istinto nel desiderio malinconico, lacerandosi per qualcosa e qualcuno ormai distante, inarrivabile.
Pattina su un tappeto melodico altrettanto esile, di bossa pop (la loro passione, come hanno dichiarato), elettroacustica, cameristica: tutto è percepito estremamente sottile, friabile, candido. Sorretto da un equilibrio misterioso, naturale. Per quanto ammaliante risulti questa scaletta di brani, la fatata avvenenza della bossa A contraluz sormonta e risplende. Fa reame a sé.
Inestimabile emotività, in poco più di due minuti racconta un'esistenza; rivela una dolcezza nella sfiducia, uno spasimo nel rimorso.
Come la gemma Gold mine, Sant'Elena dei Watoo Watoo, la cui particolare avvenenza sanciva l'inevitabile condanna: il confino è la sorte per espiare troppa bellezza. Libera una ammirazione ingenuamente infantile, invischiata nelle brume della memoria, risvegliandone il senso.
Si avvertono albe equatoriali, sospese atmosfere. Si avverte promiscua un'aria rappresa d'umidità seguita a un nubifragio; si rigenera la vita. Un senso di risveglio già mostratoci, qualche tempo fa, dal memorabile esordio del francese Gypsophile.
(nov. 2003)

Nocturnal Emissions - Tissue of Lies

Assemblato a Londra nell’autunno 1980, Tissue Of Lies è un incubo notturno a base di noise sconnesso, industrial della prima ora e musica concreta. Concepito in origine come Ep, il disco è frutto di innumerevoli edit, trapassi e rimontaggi, improvvisazioni.
Nigel Ayers s’ispirò dalle lettere manoscritte di qualcuno che soffrì di disturbi psichici e di manie di persecuzione. Inquesta sorda e agghiacciante trance a occhi aperti (gli ‘eyes wide shut’ di copertina), abissi di follia sono indagati a fondo da stridenti bordate noise, raffiche di cut-up sovversivi e altre manipolazioni claustrofobiche (echi, textures di corde), a precipitare e immergere il subconscio in un doloroso e allucinatorio universo di pece, realista e metafisico, astratto e iperreale. Che inghiotte in un gorgo onirico e divora nell’oscurità, tra tattiche di sbarramento e nuove possibili strutturazioni e morbose conflitti pre-Tetsuo, tra suono e corpo.

Un inconsulto concept sull’alienazione e sulla paranoia, ora nei panni del carnefice, ora della vittima. Provocatorio e ribelle estetico, Ayers muove tra fascino del sadismo, gusto del macabro, smanie auto-distruttive.

Nella riedizione del disco, realizzata 10 anni dopo nella ristampa cd del ’90, com’è conosciuto pressoché unanimemente, Ayers decide di prescindere dall’incipit originario (“When Were You Last In Control Of Your Dreams And Aspirations”), tutta singulti elettronici kraut-pop, rimontando il tutto come “Apocalypse When” prima, e “Trade nuclear space mission” poi. Quello che ottiene è una progressione ancor più cupa e inquieta (che giunge indubbiamente all’apice perverso in “Limited Holocaust Engagement”). Un disturbante e visionario prototipo per il noise-industrial anni ’80.

 

Novos Baianos

Acabou Chorare (1972)

Acabou Chorare, secondo album di Novos Baianos, è un gioiello meno appariscente e noto rispetto ad altri, più schiaccianti capolavori di quel periodo aureo della MPB. Ma è vitale e comunicativo come ne fatico a ricordare.
Indubbiamente, assieme al seguente "Novos Baianos F.C." è l'album di maggiore impatto inciso dal collettivo di Moraes Moreira, Paulinho Boca de Cantor, Baby Consuelo, Pepeu Gomes, Luiz Galvão ecc. Esattamente come nei capolavori dell'altro baiano Tom Zè, anch'essi tra 1972 e '75, una forza sottile ma tenace sprigiona da vivaci invenzioni di corde elettriche ed acustiche (Moreira e Galvão) ambito folk, tzigano, armonie vocali in morbida evidenza, coazioni, digressioni e licenze carnevalesche collettive.

Si levano, come vele, immagini magiche e scene tangibili, una percepibile leggera surrealtà come oasi salvifica permea liriche e melodie stregandole, eternandole in uno strano limbo di euforica malinconia.

L'apertura affidata 'Brasil pandeiro' del concittadino baiano Assis Valente, mostra una percepibile discontinuità rispetto al lavoro dell'anno prima, quell' "É Ferro na Boneca" di più nette movenze beat rock occidentali unite a sensi tropicalisti.

"Eu sou um pássaro /Que vivo avoando
Vivo avoando/ Sem nunca mais parar"

L'Eldorado "Acabou Chorare" schiude e rivisita preziosamente ogni impronta autoctona: samba, bossanova, tropicalismo, cultura e controcultura, in chiave gioiosamente anarchica una festa pre-avvento di democrazia brasiliana, infondendo di suo un memorabile balsamo intimo acquarello, via melodie pastiglia contagiose come "Swing do Campo Grande", "Mistério do planeta", "Besta é tu ".

Ogni cosa si colora e si ravviva in volubili fantasie, viaggi in recessi privati o tra fervide febbri condivise.
Mozza il fiato un intimo madreperla, come solo João Gilberto o Vinicius (eminenze ben note al gruppo), a cuore dell'album: "Acabou chorare" e "A menina dança".
L'interperetazione della ventenne Bernadete Consuelo in particolare, stordisce per quell'intimo 'feminino' istintivo, autentico, che sciorina duttile e per quanto dichiara se stessa, da quella fragilità ebbra in cui percepisce ogni fremito di vita. Si scambia e si dimentica in una liason sentimentale per ritrovarsi ancora di nuovo, dentro un sambodromo.
"Novos Baianos F.C." (1973), altro disco ricchissimo, troverà la sintesi magistrale per questa Trilli di Peter Pan: "Sorrir e cantar como Bahia".

“É sofrer e chorar como Maria/ Sorrir e cantar como Bahia!”

Il biennio 1972/73 è per Novos Baianos il più vigoroso dal punto di vista creativo. Se “Acabou Chorare” è l’opera fastosa che fa conoscerli ben oltre il continente, “Futebol Clube” è di stessa pasta, dittico ideale. Il collettivo bahiano in quei tempi si rinforza in uno spirito collettivo da ‘comune’ e rincara la dose attingendo dallo stesso humus samba - ‘tropicalhippie’, dei lavori precedenti. Ne traggono vita un gruppo di melodie imperiture, irrobustite dallo spirito di squadra (poi anche sportiva), tradizionalmente ‘chorinho’ (“O samba da minha terra” di Caymmi),  nonché avanti per come vagheggiate strumentalmente. Infuse di sogno, fede, aspirazione, risolutezza (“Cosmos e Damião”, “Vagabundo não é fácil”, “Quando você chegar”).

"Se eu não tivesse com afta até faria uma serenata pra ela. Que veio cair de morar em cima da minha janela"

Un corpus omogeneo concepito in inni protesi tra terrigno e celestiale (“Sorrir e cantar como Bahia”, la più alta sintesi di forme dei Novos Baianos); un immaginario che è florilegio di bandolim, cavaquinho e altri creoli assortiti, ritmi autoctoni a fianco di chitarre elettriche a supporto a contagiosi febbricitanti crescendo.