Lucio Dalla - “Com'è Profondo Il Mare”
È il 1977 e nell’Italia musicale e discografica avvengono cambiamenti di rotta generazionali e decisivi. Lucio Dalla, musicista estroverso e anticonformista, si trova a un crocevia della propria carriera e si ritira volontario nelle isole Tremiti e a Ponza, per lavorare a un nuovo progetto.
Attraversando il mare e separandosi dalla vita quotidiana egli si fabbrica un esilio fuori dal clamore e dall’annebbiamento metropolitano. Tra poesia e musica, tra mare e costa, Dalla saprà cogliere, come si vedrà, quel cruciale proscenio del ‘77 nella sua viva alterazione sociale, nel passaggio fatale e inquieto, ferale e sospeso.
“Sono fatti di ieri ?”
Il frutto di quel travaglio artistico sarà il disco “Com'è Profondo Il Mare” (1977); ascoltandolo si percepisce quello che fu il legame artistico tra Lucio Dalla e Roberto Roversi.
Intellettuale e poeta bolognese, tra i maggiori del dopoguerra, Roversi è un maestro con cui chiunque vorrebbe aver a che fare almeno un po’. I due realizzarono tre dischi, dal 1973 al ’76 (“Il giorno aveva cinque teste”, “Anidride solforosa”, “Automobili”), autentici fiori all’occhiello, visionari, rivoluzionari e improntati su temi sociali e impegno civile.
Lavori “di movimentata insofferenza umana e artistica” che già denotano esattamente l’uomo Dalla, calato nella parte con passione, con istinto ed estro inconsueti.
In quegli anni Dalla ha tessuto e incitato un linguaggio originale per la canzone d’autore, un spirito d’osservazione critico e tenace coniugato con lo sguardo riflessivo e pietoso sulla natura umana.
Cronache di ferite che non si rimarginano e di speranze ardenti che non si estinguono. La salvezza è riposta in vincoli d’affetto sempre possibili, valore aggiunto che mitiga ogni dramma.
“Com'è Profondo Il Mare” è il primo disco in cui Dalla, affrancato, scrive tutto da solo. Egli libera e si sfoga quanto stivato in anni di formazione.
A partire dal brano che titola l’opera, autentico baluardo della canzone italiana, Lucio è navigatore e superstite nel mezzo d’un mare incendiario come un fuoco. È l’Ulisse che canta con tensione poetica la forza dell’amore e il coraggio nella disperazione, attraversando la storia umana, tra ricordo e irrazionale, sorpreso e allucinato.
Storia di ingiustizie e diseguaglianze, di assassini e d’oppressi, di piccoli grandi testardi che vivono del proprio spirito e della forza d’animo.
Tornare a…mare
Dopo la separazione con Roversi (dovuta essenzialmente a motivi di censura artistica, i due restano in buoni rapporti), la necessità di rinnovarsi era imperativa e Dalla si ripensa, tornando a monte, anzi.. a mare.
Isola come luogo ancestrale e dei primordi; nel proprio isolamento sacro immutabile, ogni cosa, ogni uomo si ritrova e si purifica.
Si offrono nuove prospettive, e una nuova aria cui adattare il respiro e lo sguardo, con cui ossigenare la mente. Aria che poi coincide con la realtà ed è tutt’altro che fittizia, ma non è ancora stata esaminata a fondo: l’artista coglie tratti immutabili e legittimi del quotidiano suo e di ciascuno, attuali ieri come oggi dopo trent’anni.
Appunta e organizza ogni pensiero su un’agenda divenuta nel tempo un’ “icona della memoria”, da cui non si separa mai. Legge e ripensa a racconti fantastici, a visioni cinematografiche e, tra l’isolamento e il richiamo nostalgico della vita sociale, rinviene nuovi impulsi, un subbuglio creativo, l’urgenza d’un risveglio dello spirito.
Un mare incendiario
I testi firmati da Dalla sono l’autentica mossa, la vera, ‘nuova musica’ di “Com'è Profondo Il Mare”. Sono accessibili e aperti, divertenti e anomali, sono prese di coscienza in flussi di coscienza; rispecchiano un mondo irrequieto, complesso e paradossale. Quei testi sono licenze a “delirar per vero”.
Come già in canzoni del passato, la discussione di temi sociali scomodi e di soggetti disturbanti è pretesto e ragione per questo nuovo esordio, simbolico “pezzo zero”, un punto e a capo della canzone d’autore e del pop italiano, che andava cambiando pelle.
La musica anch’essa rinnovata e tirata a lucido, amplifica lo spettacolo. Armonie di registro mutevole, vibranti invenzioni d’arrangiamento e strutture insolite, performances canore spiazzanti e ‘apertura mentale’ a sovrintendere. Complice uno stuolo incomparabile di strumentisti attorno al nostro, di tecnici del suono e della ‘famiglia’ RCA, coi suoi infiniti mezzi e la particolare disciplina.
Ciascun elemento ebbe un valore strategico per l’esito eccellente di questo prodotto discografico.
Chi lo ha frequentato riconosce a Dalla quell’ostinata determinazione, costante e parallela, che lo porta ad essere allo stesso tempo cantante pop e jazz, attore, poeta, cronista, saltimbanco, uomo comune. Ed è lo scarto decisivo tra lui ed altri cantautori di ieri ed oggi, ancor più che la lunga gavetta artistica.
Disperato è umano
Da qui, per Dalla, l’idea di pedinamenti immaginari, come Zavattini, come avesse una cinepresa dentro il berretto. Sguardi a fuoco su uno stimolo, su un cambiamento necessario, su un allarme sociale. Farsene portavoce, svelare e amplificare richiami dell’uomo comune.
Le canzoni che abitano il globo specchiato e molteplice di “Com'è Profondo Il Mare”, sono storie di ordinaria.. normalità, accentuate in certi aspetti singolari ed esaltate nel paradossale (l’invasata “Corso buenos aires”, la famigerata “Disperato erotico stomp”).
La musica in quei toni fluidi, evidenti e luminosi, è allegoria della salvezza, bagna e investe di raggi violenti poeti e derelitti (“uccisi quindici volte in fondo a un viale”).
Chiare luci strumentali avvolgono di dolcezza e lusinga ogni miseria (“Treno a vela”), depressione (“Quale allegria”) o tradimento (“Il cucciolo Alfredo”), in roventi balsami cromatici e in riffs preliminari (autentici ‘hooks’ pop di cui Lucio resta un maestro unico).
Il pensiero come il mare impetuoso a largo, è ora mansueto a riva e volge in miraggio soave e cedevole; come un’apatia per l’anima esausta tra barche assonnate, culla ogni cosa in una docile risacca (“Barcarola”).
E comincia a volare
“Com'è Profondo Il Mare” fu registrato interamente da Dalla agli studi RCA a Roma e poi missato nella città di Carimate, in un castello attrezzato a studio da parte del produttore artistico Alessandro Colombini.
A proposito della title-track, per come si presenta, fu decisivo il giudizio di Francesco De Gregori, legato allora artisticamente a Dalla –e vicino tra l’altro, il loro resoconto di una tournee di enorme successo di pubblico, “Banana Republic”, forse il più celebre e riuscito ‘live’ del pop italiano-.
Messa da parte una versione originaria di “Com'è Profondo Il Mare”, più riflessiva, tradizionale e meno spinta, De Gregori propose di ri-registrarla, dotandola di una ritmica musicale incalzante (“quasi alla Neil Young”, ricorda Dalla), che accentuasse la scioltezza.
Una folgorante scala di basso e quel groove sostenuto e perpetuo come lo conosciamo, su cui si inerpica e assale la celebre declamazione di Dalla, quasi un rap intonato e ante litteram.
“Treno a vela” e “Il cucciolo Alfredo” sono due eufonici bastimenti in sequenza, coi loro vibranti scampoli d’umanità metropolitana, riversati con naturalezza l’uno entro l’altro.
Giocano su “equilibrismi melodici e armonici” di corde e tastiere Fender in morbida evidenza, tra singulti, sospensioni ed aliti d’aria.
“Quale allegria” è il pezzo più classico composto in questo disco da Dalla, una canzone vera di cui appare una versione interpretata da Ornella Vanoni.
Arrangiata con archi, sferra e affonda con tastiere confortate da voci muliebri da sirena (anche nel precedente album “Automobili”). Così come in “Corso buenos aires”, sarabanda pop nel mezzo d’una una viva cronaca “in diretta”; brulicante mucchio di caratteri, percorsi strumentali -il piano elettrico di Dalla, batteria e le chitarre- trucchi linguistici, e invenzioni come lo scat, (sorta di lingua fittizia a mimare strumenti, brusio, voci).
“Disperato erotico stomp”, definita dall’autore una risposta al moralismo ipocrita, “provocazione sia nel linguaggio sia nella ragione stessa della canzone”, si fa con due accordi di Dalla; cresce poi con chitarra, basso e un’influenza reggae nell’amalgama, accoppiata con efficacia al particolare, emblematico resoconto ‘in divenire’ della narrazione.
La malinconia mediterranea che inizia a propagarsi nell’epilogo del disco, è annunciata da “E non andar più via”: Dalla solo al piano, timbri asciutti di desolazione, senso d’attesa e una tragicità e disincanto di liriche ancora Roversiane (“dove se apri le orecchie non le chiudi dalla rabbia e lo spavento”).
Infine, “Barcarola”, stasi incrollabile e traslucida, quasi una perdita di memoria e di identità; come un’emorragia propagata distende un corpo spento, dopo un’attesa faticosa.
Sul piano musicale è richiamata da un particolare phasing a pedale montato su una chitarra elettrica a suggerire tra l’altro, il suono un mandolino.