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800 CHERRIES

Opuscula (Clover Records, 2000)

Recorded on weekends between 1999-2000”.

Il mini cd “Opuscula” è il congedo dalle scene di 800 Cherries, una delle band nipponiche più comunicative e talentuose che la memoria ricordi. Memoria che sempre rifiorirà in virtù del capolavoro “Romantico” (1999), ma anche per altri album come l'esordio demotape “Piccolo” (1995) e dalle innumerevoli, struggenti canzoncine annesse in antologie di pop nipponico e non.
Ma storia a sé esige l'Ep che qui presentiamo e che proviamo a descrivere. Nel proprio languore, nella sua impercezione, esso risulta essere tra i più avvenenti e toccanti “mini” della storia dell'indiepop.

“Opuscula” racchiude sensazioni pure, emozioni vive e immagini, colte nel loro prodursi sensoriale.
Myricae sparse, transizioni di toni, sobria ineffabile diluizione casio-pop “post-Romantico”. Un mini album fuggevole ma anche parsimonioso, incompiuto e incompibile, terminale.
Terminale di contrasti, spazio di puri frammenti, contatto e contagio tra esterni freddissimi ed interni infuocati.

“Opuscula” è un anticerimoniale che esprime per istanti di vita. Fugacità dell'esistenza, incanto, stupore dal cospetto del creato.

Manami e le sue perlacee, viscerali modulazioni come contemplazioni estatiche notturne: uniche espressioni ammesse prima dell'alba (che coincide per 800 Cherries col crepuscolo, il congedo dalle scene).
Un'alba fatta pudica che sospende la comunicazione verbale affrancandosi e volgendosi sensitiva, dal codice elegiaco disarticolato e duttile, in parvenze, cellule.
Flusso e flagello di suoni morbidamente elettrici misti a trilli di sirena fatale e distante. Un bagno di luce trasparente tra vuoti senza luce e lampi di consapevolezza.
“Le Papillon Et La Fleur”. “Morning Walk (vs. evening walk)”. “Winter Calling (Once Again, Alone)”: Manami è la poetessa, la viaggiatrice. Noi la guardiamo soggiogati, muovere e affondare. Manami e Masayuki, come Pindaro e Amore; pigolio, battito cardiaco, nuove lesioni, lacerazioni.
"Opuscula" è torrido, straziante lirismo oltre la fiducia, oltre ogni speranza. Nelle sue apparizioni transitorie oniriche e nei suoi baleni, “Opuscula” è sguardo su una tormenta, è rumore attutito, colori vividi durante la pioggia. È riflesso sul letto di fiume d'una notte buia e sterminata.

(settembre 2005)

 

Romantico (Clover Records 1999)

"if it be love indeed, tell me how much".
"Then must you need to find out new Heaven, new Earth".

(W. Shakespeare, Anthony And Cleopatra)

Una ossessione. Un influsso, una direzione sul nostro immaginario, fatalmente sedotto e incantato al punto da restare condizionato.
800 Cherries sono i nipponici Manami Marufuji e Masayuki Takahashi. Poco so di loro, tra le poche certezze, quella che Romantico è il più incantevole elettro pop mai concepito.

Elettronica dalle pareti, umide, che proiettano e assorbono le nostre sensazioni, particolari, immagini. Carezze di strumento che portano lontano, oltre, forte e medesima è l'intensità di ogni incontro, di ogni impatto con essa. Ormai violato e incapace di reazione è il nostro sistema immunitario.
Ogni residuo istintivo moto di rivolta viene inibito da segni inafferrabili, eppure visibili, addirittura palesi.
Musica fatta di gravide emozioni, disperazione e dolcezza avviluppate insieme, amplificate in una maniera drammaticamente romantica; un romanticismo viscerale, uno struggimento possibile mai concepito prima in altro lavoro di genere che la memoria ricordi.
Musica che invoca e pretende solitudine per sprigionarsi e parlare in confidenza, riportandoci ad uno stato di grazia, guidandoci con ogni premura e benevolenza a vedere le cose come un tempo (perduto), ad ammantare di bizzarria e di inconsapevole poesia la meraviglia, il mistero, che dona ogni amore che nasce o che si conclude.
E che muove lavando la coscienza della nostra piccolezza con lacrime rigeneranti, al cospetto della profonda, misteriosa e meravigliosa forza del potere del sentimento sull'animo umano.
(2002, 2005)

EKKEHARD EHLERS PAUL WIRKUS Ballads (2009)

“Molte parti sono state ottenute improvvisando dalle tastiere dei nostri laptop con insolte figure di Reaktor, o a volte su una base di contrabbasso e clarinetto”. Comunque la si veda su ideali attinenze, questo piccolo album pubblicato in formato .mp3 e loseless (.flac) offre un viaggio scabro e affascinante i cui elementi, nelle maglie dello spettro sintetico, si presentano in uno stato particolare di sospensione.
Ombroso e solenne, pensoso e talora astratto ma capace di slanci, relazioni e aperture spiazzanti: “Ballads” trae ogni virtù da un budget esiguo (seguìto a sventure "meteorologiche" che hanno precluso ai due artisti un progetto di maggior portata).
Ehlers e Wirkus, di ritorno da un viaggio in zone rurali tra Germania e Polonia in cerca di suoni su un’unità mobile, si chiudono in uno studio di registrazione per ordire percorsi e dimensioni senza tempo che popolano la memoria ed esplorano nuove, suggestive sembianze di vissuto. Al cui ascolto suonano ideali, possibili repliche del recente fennesziano “Black Sea”. Ma più che le immagini marine suggerite dal lavoro del viennese, questi ambienti indefinibili alludono a dimensioni interiori disagiate; assumono, con insolita aderenza, le dure pieghe della terra, dialogano col tormento, con l’isolamento e con il travaglio artistico. In questo risultano assai prossimi all’inquietudine, tra vita e arte, che accompagnò la carriera di molti jazzisti del Novecento.

Il suono tipicamente cupo e ricco del contrabbasso, misto ad apparati digitali, porge sostegno vivido e sintomatico, rimandando efficacemente a un sostrato jazz-camerista. La libertà di coazione in cui spesso si esalta il lavoro di Ehlers tesaurizza uno stato incerto o ignoto dall’abisso dell’anima, attraverso incursioni in temi musicali calati in monocromo; plasmando forme per poi bruciarle, evaporando come fumo in un jazz-club; e via sempre verso altre sembianze, toni, colori.
(Fabio R. 24/03/2009)

7+
http://www.ondarock.it/rec...spaulwirkus.htm



EMBASSY– Futile Crimes (2002, Service)

Embassy é un duo svedese di Goteborg, Fredrik Lindson e Torbjörn Håkansson. Fredrik é cantante e chitarrista, Torbjörn é ingegnere del suono. La loro musica possiede affinità con etichette storiche quali Sarah, Cherry Red, Marina, simile essenza e volontà, ma diremmo anche simili risultati…
Sottende e produce Bjorn Olsson, membro di Union Carbide e Soundtrack of Our Lives.
Futile Crimes degli Embassy é uno degli esordi pop più seducenti degli ultimi tempi. Una soleggiata levità elettronica sintonizzata su procrastinate onde Sarah, a testimoniare nel corso del tempo un'inestinguibile passione per il pop romantico e malinconico della più grandiosa tradizione britannica. Dibattuta eternamente fra sogno e memoria, questa musica perdura agitandosi in un limbo di vaghezze, tra brancolamenti inquieti e slanci vitali; si ammanta di una cordialità sentimentale sotto forma di cristallina veste corporea digitale tagliata su misura, adattata su un'inappuntabile serie di quadretti melodici.

L'aspirazione civettuola di Boxcar ad aprire le danze, la voce incontaminata di Fredrik, una performance che accende il desiderio, un crooner a lungo agognato in gruppi affini. Una malinconia tenera s'inoltra, torna a farsi sentire ancora una volta. Bissa The Great Indoors People quell'ardore suscitato.
It Never Entered My Mind con le sue mosse sospese, incantatorie, da fiaba, rivela sublimi affinità con Michael Head e i suoi mai abbastanza onorati progetti Shack e Strands.
Toni rossastri e foschi, benefici influssi scandinavi rappresi nel pendio di Just A Dream Away, le sue evidenze autunnali, le sue evocazioni nostalgiche imbevute, inquiete.
Attutisce la lucentezza piana di The Pointer, adorabile e misteriosa figura pop a base di rintocchi di tastiera (e la solita voce-flashback), che appare quasi inavvertita ma poi impossibile da abbandonare, in mirabile simbiosi con giorni di mezza estate.
Beggin´ e Sincerely Yours sono discorrenti allegorie synt-pop anni ottanta; ben altra impressione suscitano le delicate e invischianti La Haine prima e Hurt poi, a sancire ineluttabilmente nella musica di Embassy il primato dell'essenza del sogno.
La luminosa cometa di Futile Crimes ha il solo limite di contenersi, di risolversi troppo presto, troppo facilmente; appare dunque più meteora che vien meno all'improvviso, fuggendosi con inconscia violenza, quanto più a contatto con l'atmosfera.
(giu. 2003)

ERASMO CARLOS Sonhos e Memorias 1941-1972 (Philips, 1972)

A un anno dal già fulgido “Erasmo…”, Erasmo Carlos torna con uno zibaldone melodico che è un sunto esistenziale, un approdo dall’impareggiabile verve pop: “Sonhos e Memorias 1941-1972”.
Un ottundente corrispettivo brasiliano dei maestri pop anglofoni da parte di un istigatore della scena, che s’ispira all’immaginario occidentale e s’intinge in arrangiamenti psichedelici, contrappunti jazz e nostalgiche pulsioni-visioni beat-rock.

Sonhos e Memorias è stato scritto interamente assieme all’amico compositore Roberto Carlos (il cui coevo omonimo, o "Detalhes", gareggia in grandezza), la cui alleanza ha avverato apici artistici innumerevoli. Il disco è indubbiamente un capo d’opera per i due ex Jovem Guarda ed Os Sputniks, tanto quanto per la MPB tutta. Un variopinto e intimo repertorio sentimentale di torbido fascino, che ripercorre il tempo e svanisce la giovinezza tra inquietudine e incanto (“Minhas dores, meus pecados, meus amores”).
Strumentalmente annovera ogni sorta di chitarre in cui eccede Erasmo (elettrica, acustica, 12 corde, hawaiana), più piano ed organo in delirio e il sax di Roberto Simonal.
Introduce la raccolta Largo Da Segunda Feira, che incalzante effonde un torrido languore e sparge un’ansia romantica di pallido incanto, istintivamente Harry Nilsson. Seguono brani come Mané João coi suoi febbrili istinti bahiani e la ballata Grilos, alternandosi con intrigante varietà alle trascinanti Bom Dia Rock'n'roll e la celebre riedita É Proibido Fumar.

Diversi brani offrono intarsi stilistici di grande effetto: Minha Gente e le sue avvolgenti venature psyche, Sorriso Dela con la natura popsyke affonda nella dolcissima melodia d’organo e in un battito urgente e allucinato.
Mundo Cão attacca con un rapinoso giro funky di basso, tra ancelle di chitarra e vocalizzi in delirio.. fino ai pensieri inquieti e nostalgici fugati dall’abisso, nel fuoco degli occhi dell’amata, in Vida Antiga, sommo vertice.
(Fabio R., 2009)


ESPERS s-t (2004)

I tre Espers di Philadelphia sono il già noto tastierista Greg Weeks, insieme con Meg Baird alla voce e Brooke Sietinsons ad armonica, clavicembalo, campane... coadiuvati da colleghi e amici come Helena Espvall e Chris Smith, si iscrivono istintivamente alla nuova copiosa invasione "folktronic" statunitense del vario "cantautorato ambientale" degli Steven R. Smith, Thuja, Child Readers, Blithe Sons, Birdtree.
Eppure, più esattamente, per Espers la critica ha scomodato la tradizione folk moderna britannica degli aristocratici custodi Bridget St.John, Pentangle e Bert Jansch, Trees, Sandy Denny.
Debutto assolutamente folgorante per questo trio statunitense che annovera il folletto Greg Weeks, la cui opera solista ci attrasse con riserva, rinvenendovi qualche ridondanza pathos.
“Espers” è filigrana folksyche oggi rarità estrema, d'estrazione umile, popolare.
Luogo privato dolce e inafferrabile, ove il malessere allenta la stretta in luoghi sonori eccentrici, mistici, attoniti.
Narra emorragie con l'umanità e la spontaneità che si conviene parlando di luoghi di origine, una panica dolente malinconia esistenzialista che scopre continue fascinazioni e attinenze nell'atmosfera; un farsi e disfarsi nell'ambiente.
Vibrante e magnetica è l'intonazione della Baird (“daughter”, “flowery noontide”), musa confidenziale e devota che dispone di quell'originaria elusiva aura folksy, irrora quel sacrario. Dall'intesa con Weeks nascono solidali e sofferti duetti sinergici che mostrano un legame psicologico, non senza percettive ambiguità di fondo (“meadow”, “hearts & daggers”, “byss & abyss”, si direbbero trascendenti).

Uno spirito s'inerpica e dissolve in brughiera, su isolati sentieri di nebbia, recando gli ultimi riflessi, gelidi trasparenti bagliori (“voices”).
L'alchimia è riprodotta da corde di chitarra, violoncello, e fiati, flauto, synt analogici e gelide tastiere.
Prosodie di voci, effetti nell'ambiente svelano e preservano essenze, codici e atmosfere tradizionali arcaiche, protette eredità rurali.
Ascendenze fatte appena contagiare con la tecnica.
Le code strumentali sono gorghi avvolgenti, estasi di incandescente psichedelia sgargiante e polimorfa.
Lo sguardo si fa qui obliquo, la dimensione immaginativa interiore allucinata sopravviene, e scrutandosi, prova a liberarsi d'ansie e d'ombre.
(apr. 2004)

 

 

Everything But The Girl - Eden (1985 Blanco Y Negro)


Dopo lo scioglimento di Marine Girls, Tracey Horn formò assieme a Ben Watt Everything But The Girl in cui proseguire e sviluppare quell'ibrido pop-jazz. Imparentandosi idealmente a colleghi inglesi come Style Council, Carmel, Joe Jackson ma anche Working Week ed il Fagen solista, EBTG formarono una sorta di "cool company" tutta aromi esotici, soul, che occultavano densità strumentali in vesti su misura. Questo esordio mantiene ancora oggi la consistenza d'una piuma, una miscela fresca, una spontaneità per lo più acustica, rivelatasi massiccia influenza in tanti autori che seguirono. Una scaletta concentrata, come corpo a sé da cui invochiamo almeno "each and everyone", "the dustbowl", "bittersweet". Sentimentalismo languido munito di leggiadra eleganza, l'eleganza benedetta dai fan di Steely Dan e Marc Jordan in particolare, più un'acutissima, malinconica rarefazione trascinata dalle torpide proiezioni della narratrice Tracey Horn.

L'album "Eden" è, diventa, ciò che il titolo annuncia, non tradisce anzi amplifica ciò che il pensiero sollecita. Quella copertina informale, le significative forme astratte ma riconducibili e i colori pastello, citano d'istinto un'isola a largo da tutto, un'oasi incontaminata, virginale. La musica, lì a poco, segue naturalmente, per emanazione.
(2003)