Daedelus

Of Snowdonia (Plug Research, 2004)

"Of Snowdonia", terzo album di Daedelus, nulla ha a che spartire con la label messinese, pur richiamandola nel titolo. "Of Snowdonia" conferma le mitomani inclinazioni di questo musicista californiano di Santa Monica, già sbizzarritosi nell'accattivante esordio "Invention" (2002), e nel seguito "Rethinking the Weather" (2003) in un indefinibile, intrigante cinematico sfumato, ove navigano e svolazzano incerte sibilanti vocine ancelle.

Il nostro possiede un senso della regia e del montaggio non indifferenti, mistando samples della preistoria del vinile a ritmi drum'n'bass e hip hop, da attoniti a rutilanti nel volgere d'un batter d'occhio.
E ancora, inserti classicisti, bossanova e jazz, genialmente riesumati e fatti improbabilmente convivere nell'insieme.
Come un treno che percorre anni anziché paesi, l'insieme si pervade d'un daltonico nascondersi e ritrovarsi nella notte dei tempi, ipermoderno e insieme antiquario.
Onirico, annebbiatamente.
"Of Snowdonia" prosegue l'escursione infragenere, per noi con piglio sempre più scaltro e geniale ("Aim True ", "Shinkansen" "Telling Meaning", "Overdressed"), secondo quel teorizzato idillico love sound, abbandono gentile e romantico, che tutto a sé convoglia e redime.
Sognando di danzare.. Assieme con DNTEL e Chessie, Daedelus è nome di punta della Plug Research.
(2004)

A Gent Agent (Plug Research, 2004)

L'impossibilità di essere normale... ecco a voi Daedelus. Il suo gusto dell'ibrido sempre più su di giri, fitto, carico di informazione, esibito in gran disinvoltura.
Stavolta si è colpiti in modo fatale dalle visioni tessute da questo artista.
In questo nuovo lavoro "A Gent Agent" (dopo il recente "Of Snowdonia"), Alfred W. Roberts in arte Daedelus combina nuovamente isteriche suggestioni ad effetto "subliminale", samples infra-decade, con sempre maggiore, certosina perizia collagista, sorprendente scaltrezza e abilità creativa.
Come un sogno panoramica fast-forward, frenesia puramente cinetica, propulsive visioni ove ogni momento, ogni adesso, è fatalmente già altro, altrove, inarrestabile.
La percezione che si ha di questi lavori è sempre di assoluta irriducibile novità. L'appagamento è nel continuo desiderio demiurgo, essere e trovare altro, altrove, il più possibile simultaneamente.
In questo rapace e naturale esplorare, trasformarsi, rimodellare dentro e fuori arredamenti.

Comune denominatore, su "A Gent Agent" una serie di campionamenti d'exotica; scaglie e sospiri per un sognante sensuale tripudio retro(non più)futurista. Textures space-age pop; voci, cori, corde in estasi, a combinare senza alcuna coazione. Ricomporre continuamente, rifrangere in sembianze frantumo-glitch immagini e codici, senza posa.

Ogni nuovo Daedelus fa invecchiare clamorosamente tanti suoi colleghi ignari, ma anche, alquanto, i propri precedenti discografici. Rivale, ostile dunque, anche a se stesso?
Il tempo, il cambiamento, dirà. Intanto, sta abituando i fan alla propria natura schizoide: quanti altri album, prima del 2005, e altrettanto eccelsi per giunta?
(autunno, 2004)

Exquisite Corpse (Mush, 2005)

Prosegue incessante la produzione di Daedelus, certo uno dei progetti sempre seducenti, creativi ed avanti nel panorama odierno.


L'ispirazione “muove” al solito, in sacro orrore verso ogni idea di fissità, si apre a naturalezze e spiritualità armoniche con un vivo senso del movimento e frammentarie; rimandi all'immaginario retrò di riviste pseudoscientifiche o di science friction anni cinquanta, a base di futuri “mai arrivati”, di ottimismo e radiose enfatiche aspettative.
Corde e eufonie d'archi sullo sfondo apprestano tutto questo, vestite di tappezzerie di samples onniveggenti (jazzy, bossa, sinfonico-classicheggianti, persino una “stille nacht”) e roboritmi spasmodici, voci seminascoste e per lo più recitanti.

Quest'album oltre a lasciar immaginare questo contesto fa tornare coi piedi per terra, avvalendosi di collaborazioni con svariati personaggi noti della cultura indie hip-hop. "Exquisite Corpse” potrebbe in questo senso, rappresentare l'album della svolta commerciale per Daedelus.
Senza mancare mai le proprie coordinate, evidente è il peso, in questo progetto, di Prefuse 73, di TTC su “Cadavre Exquis”, Cyne che recita -novello Gil Scott-Heron- e produce “Drops”; o ancora, Mike Ladd su “welcome home”, MF Doom su “Impending DOOM”, “Move on” con Sci (da Scienz of Life), e l'interludio “Now & Sleep” con Laura Darling. Tutte personalità ben evidenti che sprigionano in queste convivenze continue spinte, contrasti irresistibili e nomadismo salutare presieduto dal demiurgo da studio Dedalo.

Ma a nostro avviso è solo un depistaggio, un artificio. Brani “solo” come “the crippled hand” rinnovano quest'arte sempiterna, illusoria e convulsa dell'one-man/God-band Daedelus, fatta di taglia e cuci immaginarii paradisiaci Cinemascope, s-regola virtuosista e ripiegamento in stasi magnetiche.
Sempre un autore di grande interesse.
(inverno, 2005)

The Long Lost

The Long Lost è un duo composto da Alfred A. Darlington, autore pluristrumentista californiano già noto come Daedelus, assieme a sua moglie Laura, a cui è affidato il canto.
La loro è una forma di bossa elettroacustica, riservata e intima, spontanea e immediata, con micro-innesti atmosferici a corredo, come traccia residua in dissolvenza di sussurri amorosi.

Anticipato dal singolo manifesto “Woebegone”, questo esordio omonimo della coppia di Santa Monica prontamente svela il legame musicale col progetto Daedelus, con quel suo particolare gusto space-age pop surreale in foggia da camera. Un’abile sintesi in miniatura di moderno e antiquario, tra un campionamento di exotica, tripudi cromatici ritentivi dell'immaginario science-fiction, corde e tastiere su di giri.
Si proietta un ineffabile cinematico, nostalgico e romantico, su cui poggia e dondola, incerta e sibilante, una vocina ancella ispirata a Trish Keenan (Broadcast) e a Isobel Campbell.

L’incipit dei brani sovente sagoma un leggiadro fingerpicking o declina in un arpeggio appaiato a un sample: un rapporto complementare e suadente che suscita un piccolo turbamento, spande un senso dolcemente onirico e spaesante (“Overmuch”, “Past Perfect”).
L’interpretazione calibrata e squillante di Laura percorre senza posa un sentimento, esplora un impulso, accostandosi ai Belle & Sebastian più desolati e crepuscolari; a Omnichord e computer machines s’alternano basso e chitarra, clarinetto e flauto, violini e figure d’archi.
Alfred e Laura procedono così, fuggevoli e appaiati, ape e fuco, nella loro remota isola fuori dal tempo, a sud dell’Equatore. Un tenue enigmatico reame amoroso avvolto in un cromatismo terso, opalescente, tra un’aria leggera e un mare calmo.

Si irradiano rifrazioni luminose la cui tangibile, serena qualità emozionale si misura in pennellate sciolte e in colori profondi e vivaci, ora nitidi e raggianti ora sfumati o smorzati; a rinsaldare un legame, il vincolo nuziale (“Amiss”, “Colour”, “Cat Fancy”, “Regrets Only”).
Giochi e baruffe a cui l’ascoltatore assiste ospite, ammaliato, vagamente stordito.

(23/02/2009)